«Ogni volta che libero un bambino, un bambino che ha perso ogni speranza di tornare da sua madre, e vedo sul suo volto il primo sorriso della libertà; ogni volta che una madre che ha perso ogni speranza di rivedere suo figlio, lo abbraccia di nuovo nel suo grembo, e vedo la prima lacrima di gioia scendere giù sulla sua guancia, allora in tutto ciò io trovo una grande ispirazione».
Da più di trent’anni l’attivista indiano Kailash Satyarthi lotta per liberare dalla tratta del lavoro migliaia di bambini schiavi. Per questo, nel 2014, ha ricevuto anche il Nobel per la pace, condiviso con la giovane pachistana Malala Yousafzay. Due esempi che diventano punto di riferimento in occasione della giornata contro il lavoro minorile, promossa in tutto il mondo come ogni anno dal 2002 dall’Organizzazione internazionale del lavoro, l’agenzia dell’Onu che si occupa di promuovere il lavoro dignitoso e produttivo in condizioni di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità.
Un impegno di cui c’è grande ed urgente bisogno, dicono le statistiche: in tutto il pianeta sono almeno 168 milioni i minori impiegati nei settori più disparati. E almeno 340.000 gli under 16 che lavorano in Italia, con un nucleo di 28.000 fanciulli coinvolti in attività molto pericolose per la salute e la sicurezza ed i cui genitori, attesta uno studio effettuato dall’Osservatorio Nazionale sulla salute dell’infanzia e dell’adolescenza, sembrano non cogliere fino in fondo la gravità dell’abbandono scolastico, che oggi riguarda il 18% dei giovanissimi, per la ricerca di un impiego: tra padre e madri uno su due non si opporrebbe con ogni mezzo al lavoro minorile del figlio, il 54% pensa che la crisi lo giustifichi almeno in parte.
È evidente: i bambini costretti a lavorare invece di andare a scuola e di giocare sono una realtà ancora largamente diffusa anche nel Terzo millennio. I progressi registrati nel campo dei diritti non sono riusciti a strappare i più piccoli alla schiavitù ed allo sfruttamento. E non soltanto nei Paesi in via di sviluppo: governi e governanti ritengono evidentemente che il lavoro minorile contribuisca a migliorare i conti pubblici e per questo preferiscono ignorare la questione, trascurando però che essa ha conseguenze negative non solo per ogni singolo bimbo, privato del suo sviluppo, ma anche per la società e l’economia: una generazione di giovani incapaci di leggere e scrivere e senza coscienza dei propri diritti non potrà partecipare costruttivamente e coscientemente alla vita sociale del proprio Paese, né impegnarsi per migliorarla.
I bambini, come ricorda invece Papa Francesco, hanno bisogno di tutt’altro. Di una fanciullezza serena che consenta loro di guardare con fiducia alla vita. Questo deve diventare l’obiettivo comune, nella consapevolezza, per dirla con le parole dell’educatore statunitense Neil Postman, che essi «rappresentano il messaggio vivente che noi trasmettiamo ad un futuro che non vedremo»
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Una fanciullezza serena
Una riflessione in occasione della Giornata Mondiale contro il lavoro minorile