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Unioni civili. Un vademecum per i sindaci obiettori

Non riconosciuto il diritto all’obiezione di coscienza, monta la preoccupazione tra molti sindaci italiani. I “casi” Ladele ed Ercep e le indicazioni del Centro Studi Livatino

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Tutto come previsto. Nessuna obiezione da parte del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nei confronti della legge sulle unioni civili, malgrado gli “evidenti profili di incostituzionalità” che, tra gli altri, ha ravvisato in un’intervista a ZENIT anche il presidente emerito della Corte Costituzionale, Cesare Mirabelli.
Il Capo dello Stato ha firmato il testo, che lo scorso 5 giugno è entrato in vigore. Diventa così legge che “due persone maggiorenni dello stesso sesso costituiscono un’unione civile mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni”, e che “l’ufficiale di stato civile provvede alla registrazione degli atti di unione civile tra persone dello stesso sesso nell’archivio dello stato civile”.
Tuttavia, laddove la coscienza di Mattarella non ha indugiato nell’obiettare, potrebbe presto aprirsi un solco. A scavarlo, frotte di sindaci italiani (i primi cittadini leghisti della Lombardia in testa) riluttanti all’idea di dover diventare degli esecutori di un matrimonio camuffato tra persone omosessuali.
Le loro istanze sono state raccolte nel marzo scorso dall’on. Fabrizio Di Stefano, che alla Camera ha presentato un emendamento al ddl Cirinnà per chiedere l’introduzione della facoltà, per sindaci e amministratori pubblici, di ricorrere all’obiezione di coscienza.
A nulla è servito il suo gesto. Il rapido iter d’approvazione della legge, garantito dalla solida maggioranza di cui gode il Governo alla Camera, ha triturato ogni discussione e emendamento sull’altare delle rivendicazioni lgbt.
Ecco allora che i sindaci contrari alle unioni civili (e anche alla trascrizione dei matrimoni omosessuali celebrati all’estero, prevista dal comma 28 del ddl Cirinnà) si troveranno di fronte a un dilemma: compiere un atto vietato dalla propria coscienza o abdicare assumendosi i rischi connessi al fatto che la legge in questione non riconosce il diritto alla obiezione medesima?
Sul tema ha provato a fare chiarezza il Centro Studi Livatino, che nei mesi scorsi aveva sollevato diverse perplessità in merito alla legge sulle unioni civili.
I giuristi dell’istituzione intitolata al magistrato siciliano non esitano a sottolineare che l’assenza del diritto all’obiezione di coscienza è “fonte di non poche preoccupazioni”.
A tal riguardo, viene citato il “caso Ladele”. Dopo l’approvazione delle unioni civili in Gran Bretagna, nel 2004, una funzionaria comunale inglese, Lillian Ladele, sollevò obiezione di coscienza, sostenendo che sulla base delle sue convinzioni religiose non era tenuta ad officiare una cerimonia di tal risma.
Il rifiuto le costò il licenziamento. La Ladele fece allora ricorso, dapprima alla giustizia britannica e poi, dopo una prima sentenza favorevole e un secondo grado che la ribaltò, si rivolse alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu). I giudici di Strasburgo, con sentenza definitiva del 2013, respinsero però il ricorso per l’esplicita ragione che in Gran Bretagna manca una norma specifica che autorizzi l’obiezione di coscienza.
Su questo tema la giurisprudenza offre tuttavia spunti difformi. La stessa Corte di Strasburgo nel 2011 decise all’unanimità che la Turchia aveva violato il diritto alla libertà di coscienza di Yunus Ercep, un testimone di geova turco che era stato condannato e imprigionato per la sua obiezione di coscienza al servizio militare obbligatorio.
Le toghe decisero di dar ragione all’uomo, nonostante la legge turca non riconosca l’obiezione di coscienza alla leva e perciò non preveda un servizio civile alternativo. Motivarono la decisione spiegando che l’art. 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che protegge la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, è “uno dei fondamenti di una ‘società democratica’”.
“Benché sia necessario talvolta subordinare gli interessi individuali a quelli di un gruppo – scrissero i giudici -, la democrazia non significa semplicemente la supremazia costante dell’opinione di una maggioranza: deve essere raggiunto un equilibrio che garantisca l’uguaglianza di trattamento delle persone appartenenti alle minoranze e eviti qualsiasi abuso della posizione dominante”.
Mettendo a confronto le due sentenze della Cedu, emerge come i giudici si siano espressi nel “caso Ladele” non contro il merito del suo ricorso, bensì a favore dell’ordinamento giuridico britannico; nel “caso Ercep”, invece, si sono espressi nel merito del ricorso adottando una linea a favore del rispetto della fede religiosa.
Il Centro Studi Livatino, rilevando che l’obiezione di coscienza riguarda il tema del rapporto tra lo Stato e il singolo individuo, afferma che “in uno Stato democratico, la questione ‘politica’ si esaurisce con l’approvazione della legge da parte del Parlamento e la firma del Presidente della Repubblica”.
Dopo questi due passaggi – conclude il Centro Studi – “l’azione politica non può che rivolgersi all’abrogazione della legge con un referendum o da parte di una nuova maggioranza parlamentare ovvero – se ve ne sono le possibilità nei termini prima indicati – con questioni di legittimità costituzionale”.

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Federico Cenci

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