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Il paradosso del perdono

Meditazione quotidiana sulla Parola di Dio — Mt 5,20-26

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Lettura
I versetti del Vangelo odierno si riferiscono al rapporto che si deve avere con i fratelli. Il Maestro, con lo stesso stile dei rabbini dell’epoca, si serve tanto del “e io vi dico”, quanto del “ma io vi dico” senza valore di contrapposizione con la legge ebraica, ma solo per riprendere ed approfondire quanto era già presente in essa.
Meditazione
Siamo tutti convinti che uccide più la lingua della spada. Pertanto, qualsiasi affronto, o maldicenza, o critica, o calunnia, sono gravi e possono pesare sul fratello quanto un’uccisione fisica. Peccato gravissimo è la calunnia: un male antico e sempre attuale. San Girolamo, nel momento di lasciare Roma e salpare per la Palestina, accusato di relazioni vergognose, protesta la sua innocenza e si sfoga scrivendo: «C’erano di quelli che mi baciavano le mani e intanto, con una lingua da vipere, mi calunniavano. A parole manifestavano dolore, e nel loro intimo gongolavano di gioia» (Lett. Ad Asella). Quante storie analoghe! L’insegnamento di Gesù apre dunque sulla malizia e le conseguenze di questi atteggiamenti che hanno spesso origine da un animo cattivo, invidioso del bene altrui, quando non perverso, al punto di giungere ad azioni di violenza inaudita. Tanto l’offesa quanto la maldicenza e i giudizi temerari, seppure non tutti della stessa gravità, chiedono una riparazione adeguata, per quanto la persona ferita non dimentichi facilmente l’affronto subito. Ma ripensare a un torto ricevuto, scavare nel passato, porta spesso a gonfiare a dismisura le offese, mettendosi nella situazione di non giungere mai al perdono e di entrare in uno stato di vera morbosità: un odio che duri tutta la vita. Si dà pure il caso che l’offeso non ammetta la possibilità di un errore involontario, una parola di troppo uscita senza cattiveria. Newman direbbe: “Siamo padroni delle parole non dette, ma siamo schiavi di quelle che ci siamo lasciati scappare”. E allora la vita si complica. Il mondo oscuro del sospetto e del rancore non produce che disastri, divide le persone, alimenta inimicizie, distrugge coppie e famiglie, quando poi non giunge alla vendetta finale con la violenza assassina. Gesù è chiaro: chiede amore per tutti e di non allargare le ferite, perché il male penetra anche dalle più piccole fessure. Dice che la malevolenza va estinta sul nascere e che bisogna tendere la mano al fratello, quando ci accorgiamo che nutre rancore contro di noi: un atto eroico, sempre, da far precedere a qualsiasi atto religioso. È Gesù a richiederlo: «Misericordia io voglio e non sacrifici» (Mt 9,13).
Preghiera
Dio onnipotente, donami la luce dello Spirito Santo, lo spirito del tuo amore; proteggimi dalle insidie del nemico, e dammi la forza di saper sempre dare e ricevere il perdono con animo aperto e generoso.
Agire
Non togliere il saluto alle persone dalle quali si sono ricevute offese, e tendere loro la mano.
Meditazione del giorno a cura mons. Alberto Maria Careggio, vescovo emerito di Ventimiglia – San Remo, tratta dal mensile “Messa Meditazione”, per gentile concessione di Edizioni ART. Per abbonamenti info@edizioniart.it

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ZENIT Staff

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