“Io ho tutto. Tutto vince l’amore”: due tra le frasi che meglio hanno espresso la vicenda umana di Chiara “Luce” Badano sono state scelte dall’Istituto Nazareth di Napoli per aprire l’incontro che, insieme alla Fondazione Giuseppe Ferraro Onlus, ha voluto offrire ai suoi studenti con quattro privilegiati testimoni del lascito di fede e letizia della giovanissima beata di Sassello: i genitori Maria Teresa e Ruggero Badano e gli amici d’infanzia Chicca e Franz Coriasco.
La storia di Chiara commuove e, al contempo, dona coinvolgente speranza per la grazia che la pervade e che continua a trasmettere: quella stessa grazia che, come ha ricordato Maria Teresa, nel 1971 dona Chiara ai suoi genitori, che a lungo avevano pregato la Madonna per la sua nascita, e che si fa evidente quando, a 9 anni, incontra il Movimento dei Focolari, «iniziando quel cammino col Vangelo sotto braccio che avrebbe condotto fino ai suoi ultimi giorni».
La straordinarietà di Chiara è fatta, però, di una assoluta ‘normalità’, testimoniata dall’amica Chicca: “Come ci insegnava Chiara Lubich, vivere il Vangelo era per noi amare coloro che ci erano accanto e le cose che facevamo nella nostra vita di adolescenti. Con semplicità offrivamo a Dio i nostri sogni, nella certezza che Lui ci seguiva passo passo e aveva un progetto su di noi».
«Chiara era davvero una ragazza ‘normale’, ma in un modo assolutamente ‘speciale’ – ha confermato Franz -. Era aperta, ma anche riservata, graziosa, ma discreta, aveva ideali ma i piedi per terra; e queste ‘armoniose contraddizioni’ si sono esaltate nel modo in cui ha vissuto la malattia. Io non ho fede, ma non posso negare la lezione che, come tante persone in tutto il mondo, ho imparato da lei: c’è qualcosa che nella vita posso fare, ed è questo che mi è chiesto, di fare ciò per cui sono stato voluto».
La malattia stravolge la vita della ragazza e della sua famiglia all’età di 16 anni, accolta subito, però, come occasione di rifare l’esperienza di Cristo. «Chiara chiese di fare esami medici per dei dolori lancinanti ad una spalla – ha ricordato la madre – e, quando il medico ha portato a me e mio marito l’esito della tac – il tumore osseo più aggressivo – ho sentito un’angoscia indescrivibile, ma ho pensato che Chiara avrebbe voluto trovare la sua mamma sorridente. Ci siamo abbracciati e detti che solo Gesù ci avrebbe potuto aiutare a dire “sì”: lo abbiamo detto sottovoce, e, come prima che nascesse, abbiamo affidato Chiara alla Madonna. A distanza di tempo posso dire che la preghiera fu esaudita: la Madonna ha tenuto Chiara sotto braccio fino all’ultimo».
In ciò la giovane trova la forza di abbracciare la sofferenza: «Ci eravamo trasferiti a Torino, per un primo intervento, ed un giorno non avevo potuto accompagnare Chiara all’ospedale per nuovi esami, da cui avrebbe appreso la gravità della sua malattia», ha continuato Maria Teresa. «È tornata cupa in volto, e quando mi sono avvicinata mi ha detto: “ora non parlare”, e si è buttata sul letto. Vedevo sul suo volto la lotta che faceva per dire “sì” a Dio, come aveva sempre fatto, ma nella gioia, mentre ora doveva farlo nel dolore, e non ci riusciva. Sono trascorsi 25 minuti, poi si è voltata col sorriso di sempre e ha detto: “mamma, ora puoi parlare”, ma io sentivo che non avevo più nulla da dire, perché Chiara riusciva a trasformare il dolore in amore. E dopo quel “sì” Chiara non si è più voltata indietro e ha iniziato la sua corsa verso il calvario nella piena gioia e serenità».
Ruggero Badano ha ricordato come la fede di Chiara aiutasse anche i suoi cari a sentirsi uniti nell’amore di Dio, e a accompagnarla nei momenti di dolore più acuto: «Dopo una crisi particolarmente grave, Chiara ha chiesto a sua madre se stesse per partire, e lei le ha risposto “Non lo so, ma tu hai la valigia pronta: al momento giusto Gesù ti prenderà per mano e ti dirà ‘Vieni’”. Nei momenti più duri stavamo davanti all’Eucarestia e ci sentivamo come paracadutisti, che sentono di cadere, ma sanno che il paracadute si aprirà e li salverà».
«In quei giorni Chiara era felice, al punto che non veniva da commiserarla, ma da invidiarla – ha ricordato Franz Coriasco -. Il motivo era il Dio di cui si era innamorata, lo stesso che sulla croce diceva “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Chiara Lubich diceva che quello era il Dio della postmodernità, il Dio delle domande che ogni uomo, ogni giorno, si pone senza capire la risposta. Anche io non capivo, e mi chiedevo dove fosse quel Dio. Ma durante un viaggio ad Auschwitz, trovandomi vicino alla torretta da cui si vedevano passare i convogli dei deportati, ho capito che quella era una cattedrale di quel Gesù abbandonato, e me ne sono venute in mente migliaia di altre, come una favela, o un reparto oncologico, o una discarica dove i bimbi più poveri cercano cibo, fino ai piccoli grandi dolori della vita di Chiara da adolescente, una bocciatura, un amore non sbocciato. Questo è il Dio che è stato di Chiara e anche io, non credente, posso vedere questa speranza di fede di chi non ne ha».
Gli ultimi momenti di Chiara diventano, così, una vera festa, in cui le piccole cose avvicinano sempre di più a Dio lei e i suoi cari. «L’ultima estate – ha raccontato Chicca -. Chiara era ormai paralizzata, e allora nella sua cameretta abbiamo provato i canti per il funerale, ma con grande gioia, e il vestito bianco, fatto da mia madre, con cui voleva essere sepolta, e che la rendeva bellissima. Ha fatto un passo alla volta, ma sempre in donazione».
«Il giorno di San Valentino – ha ricordato Maria Teresa Badano – ha voluto che io e suo padre ci vestissimo bene e uscissimo, dicendomi: “ditevi ‘ti voglio bene’, e ricordatevi di farlo anche in futuro”, e poi: “ricordati, mamma, che prima di me c’era papà”. Io non avevo mai pianto, ma uscendo mi sono accorta di avere le lacrime agli occhi, e, a Ruggero che mi chiedeva perché, ho risposto: “perché Chiara ci insegna a camminare da soli”».
«L’ultimo giorno di vita di Chiara – ha concluso la madre – tante persone erano venute a trovarla, e lei ha voluto salutarli. I giovani li ha accolti in modo diverso, dicendo: “loro sono il futuro: io non posso più correre, ma vorrei consegnare a loro la fiaccola, come alle Olimpiadi. I giovani hanno una vita sola e vale la pena che la spendano bene”. Poi si è riposata e io mi sono avvicinata, mi ha scompigliato i capelli e mi ha detto: “mamma, sii felice, perché io lo sono”».
La prof.ssa Elisa Rotriquenz, coordinatrice delle attività didattiche dell’Istituto, ha voluto, dunque, concludere il toccante incontro riprendendo e rilanciando agli studenti l’invito della beata: «Spero che ognuno di voi sappia far tesoro del dono di questa giornata e prendere questa fiaccola, per continuare a correre come ha fatto Chiara».
WIKIMEDIA COMMONS
“Mamma, sii felice perché io lo sono…”
I genitori della Chiara Luce Badano testimoniano sulla malattia e sulla morte della loro figlia, poi beatificata: “Ci ha insegnato a camminare da soli”