Opere di misericordia Santi Buglioni, Vestire gli ignudi, detto Leonardo Buonafede (Wikimedia Commons)

Opere di misericordia Santi Buglioni, Vestire gli ignudi, detto Leonardo Buonafede (Wikimedia Commons)

Vestire gli ignudi: la terza opera di misericordia corporale

Già dopo la cacciata dal Paradiso Terrestre, Dio ricopre Adamo ed Eva dei loro primi indumenti, come segno di benevolenza, pietà e disponibilità al perdono

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Vestire gli ignudi è una opera di misericordia corporale universale, che può essere praticata da tutti, perché chiunque, a prescindere dalla latitudine in cui vive, ha bisogno di un vestito. Questa opera di misericordia racchiude il gesto di restituire rispetto, dignità ed accoglienza alla vita umana trascurata, emarginata e scartata dagli egoismi di questo mondo.
Il pericolo maggiore è quello di associare il compimento di questa opera al gesto di donare i vesti usati o limitarsi ad offrire una somma di denaro per soddisfare un bisogno primario dell’uomo, quello di coprirsi dal freddo e dalle intemperie.
Queste opere sono buone ma rischiano di rimanere gesti esteriori, se non arrivano a risollevare il cuore dell’uomo che ha sempre bisogno di essere raggiunto, accolto e riscaldato.
Tutta la Sacra Scrittura ed i Vangeli attribuiscono diverse motivazioni e significati all’opera del vestire.
Prima della cacciata dal paradiso, Adomo ed Eva vengono rivestiti con abiti fatti di pelle per essere coperti dalla loro nudità. La prima opera di misericordia corporale, vestire l’uomo e la donna, è stato compiuta da Dio stesso, il quale scorgendo la conseguenza del peccato originale, vuole coprire la vergogna del male commesso per restituirgli la dignità perduta. Il peccato commesso da Adamo ed Eva sarà perdonato pienamente da Gesù con il sacrificio della croce; il rivestire l’uomo è un segno di benevolenza che vuole esprimere la misericordia di Dio, il quale sempre è disposto a rimediare agli errori degli uomini offrendogli un cammino di salvezza per pentirsi dal male commesso, cambiare vita e restituiglirli la pienezza del desiderio di comunione con Dio e gli uomini.
In tutti i tempi della storia l’eleganza dell’abito si accompagna all’importanza dell’evento. Presentarsi con un vestito elegante significa manifestare un giusto rispetto verso chi ci ha invitato ad una festa o ad un incontro. Il racconto evangelico degli invitati al banchetto di nozze, provenienti da vari ambiti della società, rivela la peculiarità dell’abito: tutti erano vestiti con l’abito elegante della festa, ad eccezione di un invitato che viene preso e allontanato dalla festa, perché il suo vestito non era idoneo per quella celebrazione.
L’eleganza non consiste nell’indossare un abito firmato dalla più prestigiosa casa di moda, l’eleganza non significa sfoggiare tessuti preziosi e costosi. Il vestito con il quale ogni essere umano si presenterà al cospetto di Dio per il giudizio finale è quello delle opere di misericordia. Solo avendo vestito un povero durante la vita terrena, indossiamo l’abito che ci apre l’accesso alla vita eterna. Solo partecipando, con il nostro impegno personale, a restituire ad un povero la dignità perduta, confezioniamo il nostro abito con un tessuto che non conosce usura, non conosce strappi e non ha bisogno di rattoppi.
Ma come è possibile giungere ad indossare questo vestito, non prodotto da mani uomo ma offerto a noi come dono della misericordia di Dio? La spiegazione è data dalla parabola del figliol prodigo, il quale dopo aver vissuto una vita dissoluta contaminandosi con ogni sorta di vizi e di peccati, ritorna pentito alla casa del Padre, viene accolto con un abbraccio amoroso e viene rivestito con una abito dignitoso, con i saldali della libertà e con l’anello dell’appartenenza filiale. L’abbraccio del Padre è l’abito della festa, il quale restituisce il senso della vita, perchè riveste di quella dignità perduta, la quale simboleggia l’inizio di una vita nuova e ridona quella relazione filiale senza la quale l’uomo è incapace di vivere la sua vita con gioia, pace e speranza.
Quanto è difficile cucire questa veste! Ogni peccato commesso dall’uomo è uno strappo di questa veste, ma Dio non vuole rattoppare un strappo, vuole ogni volta restituire una veste nuova indossata da un cuore nuovo.
Pietro, dopo aver rinnegato Gesù per tre volte, si ritrova piangente, quando incrocia lo sguardo di Gesù la notte del Giovedì Santo; poi lo ritroviamo spogliato sulla barca durante la terza apparizione di Gesù sul lago di Tiberiade. L’avere il vestito arrotolato ai suoi fianchi esprime per l’apostolo Pietro il sentimento interiore di sentirsi spogliato della dignità: egli avverte tutta la sua vergogna per la gravità del suo gesto di aver rinnegato Gesù. Ma all’udire da Giovanni che quell’uomo che chiede da mangiare sulla riva è proprio Gesù, lo spinge a gettarsi per primo dalla barca per raggiungerlo a nuoto e per essere rivestito di quella dignità perduta. Il suo desiderio non è andato deluso: Gesù gli conferma la sua missione di pastore universale della Chiesa, rivestendolo di quella veste che è la più dignitosa di tutte le vesti, perché è la veste del servizio, la veste del servo dei servi.
Ed infine l’ultimo elemento per comprendere il vero significato della veste: l’essere simbolo di unità. Gesù, prima di essere inchiodato alla croce, viene spogliato della sua veste cucita tutta di un pezzo, una veste che non venne divisa dai soldati romani. La veste sacerdotale di Gesù è un richiamo per ogni cristiano a desiderare, cercare e operare sempre a favore dell’unità in ogni ambito nel quale Dio ci ha chiamati.
Pensando a questo significato della veste ci rendiamo conto della ragione per la quale vediamo sempre di più vesti lacerate: le famiglie che si disgregano, i genitori sempre più in difficoltà ad avere un dialogo con i propri figli, l’allargamento della forbice tra ricchi e poveri, il rifiuto dei valori cristiani, l’incredulità nella vita eterna, la precarietà del lavoro.
L’esistenza terrena pensata e voluta da Dio non è un tempo di riposo ma di impegno, di servizio e di fraternità che si esprime in opere concrete. Siamo chiamati tutti ad essere disponibili ad offrire la stoffa della nostra vita al divin sarto, il quale vuole realizzare per l’esistenza di ogni uomo quel vestito della festa che ci permette di partecipare al banchetto eterno. Tutto questo può essere realizzato solo se non rimaniamo immobili come manichini, ma se ci lasciamo guidare dalla forza dello Spirito Santo, il quale vuole condurci tra le braccia del Padre per ricevere il perdono e per diventare veri discepoli di Gesù, donando il nostro tempo, le nostre capacità e la nostra vita per i tanti poveri spogliati della loro dignità umana.
Davanti alla prospettiva di poter indossare un vestito realizzato dal sarto divino, spogliamoci dei tanti vestiti confezionati con le nostre opere di egoismo, per indossare la veste del servizio generoso, l’unica capace di non logorarsi per l’eternità.

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Osvaldo Rinaldi

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