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D’Assisi l’armonia in terra di Cina

Frate Francesco e l’Immagine di San Damiano

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La terra di Cina è stata menzionata la scorsa domenica 22 maggio, al termine della recita dell’Angelus, da Papa Francesco: infatti ha ricordato che due giorni dopo è «la memoria della Beata Vergine Maria “Aiuto dei Cristiani”, venerata nel santuario di Sheshan a Shanghai» e ha augurato che nel presente «Anno della Misericordia possano i cattolici cinesi, insieme a quanti seguono altre nobili tradizioni religiose, divenire segno concreto di carità e riconciliazione. In tal modo essi promuoveranno un’autentica cultura dell’incontro e l’armonia dell’intera società, quell’armonia che ama tanto lo spirito cinese».
Quest’ultimo accenno all’armonia richiama il Cantico di frate sole – più noto come Cantico delle creature – che Francesco d’Assisi ha composto presso la chiesa di San Damiano, poco fuori Assisi. E proprio quest’ultimo luogo assisano è stato indicato da François Cheng, di origine cinese, nel suo libro Assisi. Un incontro inaspettato (Torino 2015) come uno dei luoghi più importanti per comprendere l’esperienza spirituale di frate Francesco.
Il luogo primordiale, beninteso, è San Damiano. È qui che egli fece l’incontro della sua vita, tanto inatteso quanto decisivo. Un giorno qualsiasi, sprofondato nell’inerzia, si trovò faccia a faccia con il crocifisso di San Damiano, in questa chiesa malandata, prossima alla rovina. Udì la voce di Cristo ordinargli di riparare la Chiesa. Chi era lui per ricevere una tale ingiunzione? Un uomo ancora giovane, ma che aveva già una certa esperienza della vita. Si era abbandonato alle frivolezze e ai piaceri facili, aveva conosciuto le albe livide in cui si svegliava con i postumi della sbornia e in gola un sapore di cenere. Si era cullato in sogni di potere e di gloria, ma aveva anche vissuto notti di disfatta e prigionia, in cui la sua anima era risucchiata dalla paura e dalla disperazione. A queste esperienze si aggiungeva la prova della malattia che gli aveva fatto sfiorare la morte. Eppure, aveva avuto dei soprassalti, dicendosi che doveva pur esistere una verità della vita che strappasse l’uomo al suo assurdo destino. Davanti al crocifisso di San Damiano, capì che quella verità non era un’idea astratta, che essa era incarnata dal corpo sofferente di quel Cristo che oppone al male assoluto l’amore assoluto, e insegna che la via della vera vita passa per il farsi carico delle sventure che affliggono l’umanità.
Riparare la Chiesa? E come? Proprio lui, anonimo, insignificante? Certo, poteva compiere i gesti materiali per restaurare l’edificio che minacciava di crollare. Ma ben presto fu assalito dall’idea che era se stesso che avrebbe dovuto edificare un nuovo tempio. Per farlo, doveva operare un capovolgimento da cima a fondo, spingendosi il più lontano possibile nell’imitazione del suo Maestro. Al momento di scegliere, nel pieno degli anni, Francesco esitò tra due vie: consacrarsi alla preghiera, al dialogo con il Creatore, o votarsi all’azione e condividere la sorte delle creature. Per seguire la prima via, era attirato da una di quelle grotte che si trovano lassù in alto, verso la cima del monte Subasio. Quanto alla seconda, propendeva per un angolino situato ai piedi della collina di Assisi, la Porziuncola, una base nel mondo. C’era di che essere dilaniati tra questi due poli. Eppure, non tardò a cogliere l’assoluta necessità di conciliare gli opposti, tanto era evidente, data la sua natura appassionata, integra, che l’uno non avrebbe potuto esistere senza l’altro.
A metà strada fra questi due luoghi estremi, che incarnano la duplice esigenza della sua spiritualità, si colloca San Damiano, il grembo originario grazie al quale tutto ha avuto inizio e a cui Francesco non avrebbe mai smesso di tornare per rigenerarsi presso l’Immagine inziale, e più tardi presso Chiara.
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Per un approfondimento cfr. Giuseppe Buffon, Khambaliq. Profili storiografici intorno al cristianesimo in Cina dal medioevo all’età contemporanea (XIII-XIX sec.), Roma 2014.
 

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Pietro Messa

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