Il Figliol Prodigo, Rembrandt Van Rijn / Wikimedia Commons - Hermitage Torrent, Public Domain

La santità: una vocazione universale

Non siamo di fronte ad una forma di compensazione dell’incapacità umana di relazionarsi con la storia e con gli uomini, né ad una sorta di fuga mundi

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In molte persone la parola santità suscita timore, sfiducia, senso di perplessità. Come mai? I motivi possono essere diversi: l’insufficiente comprensione del significato della santità; l’idea che essa sia un privilegio dato da Dio solo ad alcune persone; inoltre, spesso, la parola santità mette a nudo le fragilità, demotivando, già in partenza, chi cerchi d’intraprendere questo cammino. Tali luoghi comuni esistono e potrebbero anche scoraggiare ma non impediranno mai di avvertire degli slanci inspiegabili verso Dio e tutto ciò che attiene al bene, al vero, al bello.
Pertanto, è lecito riformulare la domanda: è davvero possibile farsi santi? Senza dubbio alcuno sì. Infatti, la santità non nasce da una banale smania umana di autoaffermazione  ma risponde a un esplicito volere di Dio: Siate santi, perché io, il Signore vostro Dio, sono santo!” (Lv 19,2). Anche Gesù invita alla santità attraverso la perfezione della vita: “Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48). I due brani mostrano che la santità oltre a essere una richiesta è anzitutto l’interesse principale di Dio per dell’uomo. Dio non chiederebbe all’uomo qualcosa se costui non avesse le forze e le capacità per attuarlo. La santità, dunque, non solo è possibile, ma è necessaria alla pienezza dell’uomo. Rappresenta un serio impegno di vita e la reale possibilità di pervenire al grado sommo della sua felicità già in questa esistenza, pegno della sua beatitudine eterna.
C’è, prima di tutto, una santità che possiamo definire sacramentale: è quella che si acquisisce con il Battesimo, quando si diventa figli di Dio, compartecipi della divina natura, realmente santi. Questa sola, però, non basta. La santità è un cammino ininterrotto che dura tutta la vita. Questo fatto non deve scoraggiare, perché la santità si fonda sulla certezza che la grazia di Dio sostiene i buoni propositi dell’uomo, nonostante i suoi limiti e le sue cadute. Santificarsi significa mettere un “mattone” al giorno lungo il sentiero della fede, vivendo in ogni istante, con perseveranza, sulla strada tracciata dal Vangelo. Procediamo, però, con ordine, cercando di far emergere le condizioni necessarie per compiere tale percorso.
La prima condizione è quella di vivere secondo i dieci Comandamenti. Essi rappresentano una via obbligatoria per vivere nell’amicizia con Dio. Non vanno intesi come un’osservanza legalistica, bensì come uno specchio in cui Dio riflette chiaramente la Sua volontà e, al contempo, il bene specifico dell’uomo. Tale via richiede impegno, accortezza, attenzione e preghiera costante. Perseverando in essi, si acquisisce il santo timore del Signore, quella mozione particolare della grazia che esorta l’uomo a tenere gli occhi della fede rivolti al Signore in ogni momento, infondendogli quel timore reverenziale che lo invita a fuggire ogni occasione di peccato (sia che si tratti di peccati gravi, sia che si tratti di azioni o pensieri ritenuti, più delle volte, marginali). I comandamenti sono, perciò, l’inizio di un cammino serio di conversione, il presupposto imprescindibile per raggiungere la santità. Talvolta, la violazione anche di un solo comandamento porta il credente a considerare banale o di poco conto la trasgressione, sebbene essa sia il segno di una vita spirituale che è, sì, desiderosa di crescita ma non è ancora saldamente ancorata alla volontà di Dio. È qui che la preghiera deve aiutare a purificare i pensieri, a fortificare il cuore nel bene, a superare le fragilità e, soprattutto, a non cadere in quella subdola illusione in base alla quale si potrebbe raggiungere la santità in poco tempo. Sant’Alfonso Maria de Liguori dichiarava al riguardo che quanti s’illudono di essere perfetti in un solo giorno, “pretendono di volare senza le ali!” e rischiano di cadere presto, poiché hanno voluto sottrarsi alle mani del medico.
La seconda via per consolidare il cammino della fede è l’osservanza delle beatitudini. Se i comandamenti dicono cosa evitare (o cosa fare), le beatitudini indicano come costruire il bene secondo il cuore di Cristo. Non è possibile vivere le beatitudini senza essere perfettamente “allenati” nei Comandamenti. È come pretendere di correre i “cento metri” senza un minimo di allenamento. Il fiato verrebbe meno e ci si fermerebbe a metà corsa. Le beatitudini presuppongono l’osservanza dei comandamenti, ma trasformano l’uomo in una nuova creatura, perché in esse è contenuta tutta la forza e la grazia del Vangelo, concentrato nelle otto espressioni di Cristo (cfr Mt 5,1-12), attraverso le quali l’uomo può incarnare lo stile di vita di Gesù, divenendo un “Vangelo vivente” nel mondo. Papa Benedetto XVI definisce le beatitudini “come una nascosta biografia interiore di Gesù, un ritratto della sua figura”. Quindi, esse sono il grado più autentico della fede. Rappresentano il candelabro del Vangelo che diventa luminoso, visibile nel mondo mediante le parole e le opere del cristiano.
A questo punto ci si potrebbe anche fermare alle beatitudini, quale culmine della vita cristiana. Ma c’è ancora una terza via attraverso la quale la santità acquisisce, per la potenza della grazia, maggior luce, divenendo santità perfetta. Tale via è quella dichiarata da san Paolo: “Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). È sublime, certo, pensare la santità come un modo di essere, ma considerarla come piena conformazione ai sentimenti di Cristo significa annullarsi per amore di Gesù. Significa che Cristo, ormai, ha trovato il suo posto, il pieno governo della vita di una persona: ogni pensiero, ogni comportamento, ogni gesto, ogni azione diventa l’assoluta manifestazione di Cristo, di ciò che Egli vuole compiere per quella persona e, tramite essa, per la storia intera.
Da queste considerazioni emerge il fatto che la santità è motivo di crescita spirituale: la santità è possibile. Essa non è una forma di compensazione dell’incapacità umana di relazionarsi con la storia e con gli uomini, quasi una sorta di fuga mundi. Le numerose figure esemplari nella Chiesa, i cosiddetti “santi”, hanno trasformato la loro vita in presenza nitida di Cristo e, per questo, hanno trasformato intorno a loro la storia. Hanno insegnato che la santità è vera quando diventa concretezza quotidiana, quando è nel tempo, non fuori di esso. Essa ha come caratteristica peculiare l’indole sociale e universale, perché non implica affatto un separarsi dal vissuto storico. Si costruisce nella perfetta conformazione ai sentimenti di Cristo. Se l’uomo cambia nella profondità del suo cuore, allora, muterà anche la storia che lo circonda in luce di santità.

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Alessandro Carioti

Alessandro Carioti è docente di Teologia dogmatica nell’Istituto di Scienze religiose di Catanzaro

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