Le pietre raccontano di San Paolo a Roma

Il prof. Germano Scaglioni illustra le storie, i luoghi, le reliquie della Capitale legate all’apostolo che contribuì alla conversione dei romani al cristianesimo

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Chi era San Paolo? Perché arrivò a Roma? Come fece a convincere gli altri apostoli di poter battezzare i non ebrei? Lui che non aveva incontrato Gesù come faceva a essere così capace nelle conversioni? Dove sono i suoi resti? come sono stati conservati? Quali i luoghi dove visse? Queste e altre domande ZENIT le ha rivolte a fr. Germano Scaglioni, OFMConv, vicepreside e docente di Sacra Scrittura presso la Pontificia Facoltà Teologica “San Bonaventura” e autore di “E la terra tremò. I prodigi alla morte di Gesù in Matteo 27,51b-53” (Cittadella Editrice, Assisi 2006) e di numerosi articoli pubblicati sulla “Miscellanea Francescana”. Fr. Scaglioni è anche animatore delle visite archeologiche “Sui passi di san Paolo” organizzate per conoscere i luoghi più significativi della permanenza dell’Apostolo delle Genti a Roma.
Chi era San Paolo ?
Sicuramente una delle figure più affascinanti della Chiesa delle origini e insieme la personalità più nota del Nuovo Testamento. “Pochi personaggi possiedono uno spessore biografico, storico e psicologico così ricco e avvincente” (G. Benzi): un’anima di fuoco che si consacrò senza riserve al suo ideale, vale a dire l’annuncio – sia ai Giudei che ai Gentili – di Cristo, morto e risorto. Di lui parlano sia il suo epistolario sia la biografia che Luca ci offre nel libro degli Atti degli Apostoli. Scrivendo alla comunità di Roma, egli si definì «servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata e scelto per annunciare il vangelo di Dio» (Rm 1,1). Negli Atti, la sua “presentazione” invece è affidata alle parole stesse del Signore: «Egli è lo strumento che ho scelto per me, affinché porti il mio nome dinnanzi alle nazioni, ai re e ai figli d’Israele; e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome» (At 9,15-16). Nato a Tarso in Cilicia (nell’attuale Turchia), tra il 5 e il 10 d.C., «della stirpe di Israele, della tribù di Beniamino, Ebreo figlio di Ebrei, quanto alla Legge, fariseo» (Fil 3,5), egli si distinse anzitutto come persecutore della Chiesa. Decisivo fu il suo incontro con Cristo sulla via di Damasco, l’evento che segnò per sempre la vita del fariseo di Tarso, trasformandolo da nemico del movimento di Gesù in un infaticabile testimone della fede cristiana. Egli svolse un ruolo unico nell’ambito del cristianesimo nascente, portando il Vangelo nelle regioni dell’Anatolia, in Macedonia e nell’Acaia. Non solo, egli accompagnò la fondazione di comunità cristiane con una riflessione ricca di novità, consegnando alla Chiesa il corpus teologico più ricco del Nuovo Testamento.
Perché è arrivato e cosa faceva a Roma?
Il libro degli Atti degli Apostoli ricorda l’arrivo di Paolo a Roma, al termine di un viaggio avventuroso che da Cesarea lo aveva condotto nell’Urbe (At 28,14). La “Via crucis” di Paolo ebbe inizio nel tempio di Gerusalemme, quando egli poté sfuggire ad un tentativo di linciaggio, solo grazie all’intervento di Claudio Lisia, comandante della fortezza Antonia. Questi sottrasse l’Apostolo alla furia omicida di un gruppo di Giudei che lo accusavano di aver profanato il tempio e predicato contro il popolo e la Legge (At 21,28). Come cittadino romano, Paolo chiese ed ottenne di essere giudicato non da un tribunale giudaico, come richiesto dai suoi accusatori, ma da un tribunale romano. A Cesarea Marittima, la sua causa fu esaminata, prima dal governatore Antonio Felice e in seguito dal suo successore, Porcio Festo. Durante il processo, l’Apostolo – dopo aver ribadito la sua innocenza – si appellò al tribunale imperiale. Il governatore acconsentì: «Ti sei appellato a Cesare, a Cesare andrai» (At 25,12), parole che diedero inizio al viaggio detto “della prigionia o della cattività”, con il quale egli raggiunse la capitale.
Nel libro degli Atti, però, Roma non è solo la capitale dell’impero o la sede del tribunale che avrebbe giudicato l’Apostolo, ma anche la meta della missione paolina, un progetto che da tempo lo Spirito aveva ispirato a Paolo (At 19,21), una testimonianza indicata come necessaria dal Signore Risorto (At 23,11) che trovò ulteriore conferma nelle parole dell’angelo (27,23-24). L’autore degli Atti fa comprendere come l’arrivo di Paolo e la sua permanenza biennale a Roma (At 28,30-31) non furono il semplice risultato di una serie di circostanze fortuite, bensì fatti riconducibili a un disegno provvidenziale. Nell’Urbe, Paolo rimase in attesa del processo che lo vedeva come imputato, processo più volte menzionato, ma di cui gli Atti, in modo alquanto sorprendente, non riferiscono l’esito.
Pur non avendo conosciuto direttamente Gesù, San Paolo è considerato uno degli apostoli più rilevanti. Perché?
Non abbiamo prove di un incontro tra Paolo e Gesù di Nazaret. La sua “prima” conoscenza di Gesù fu probabilmente legata alla testimonianza delle “chiese della Giudea”, come egli stesso lascia intuire in alcuni dei suoi scritti (cf. 1Ts 2,14 e Gal 1,22). Nella Chiesa delle origini, al “carissimo fratello Paolo” fu presto riconosciuta una singolare sapienza, tanto che a «tutte le sue lettere» si attribuì un valore pari a quello delle altre Scritture (2Pt 3,15-16), fatto che rappresentò «uno dei primi indizi di un’equivalenza tra gli scritti cristiani e i libri dell’Antico Testamento» (Bibbia di Gerusalemme). Tutto ciò è ancor più degno di nota, dal momento che Paolo non era uno dei Dodici, considerava se stesso come l’ultimo tra tutti coloro cui era apparso il Signore e si reputava indegno di essere chiamato apostolo, perché aveva perseguitato la Chiesa di Dio (1 Cor 15,8-9). Tuttavia, non senza un punta di orgoglio, fece notare che egli «aveva faticato più di tutti gli altri» (1 Cor 15,11), predicando Cristo, crocifisso e risorto. La sua dottrina, fondata sulla rivelazione divina, la sua intensa attività missionaria e apostolica, insieme a una straordinaria testimonianza di vita e di fede, suggellata dal martirio a Roma, contribuirono a fare di lui l’Apostolo per antonomasia, chiamato anche “il Primo dopo l’Unico” (che è naturalmente Gesù).
Si attribuisce a San Paolo l’indicazione di battezzare anche i pagani. Perché questa proposta era così difficile da accettare in un gruppo prevalentemente di religione ebraica? E cosa ha significato nella storia del cristianesimo? 
Paolo è passato alla storia come l’Apostolo dei Gentili, vale a dire delle nazioni diverse da Israele. Nella giovane Chiesa, non fu certamente il primo a rivolgere il messaggio del Vangelo ai non-ebrei, – Pietro predicò in casa del centurione romano Cornelio e lo fece battezzare, insieme con altri pagani (At 11,44-48) – ma fu Paolo a sostenere con forza che anche i Gentili potessero essere accolti nell’alleanza con Dio, senza necessariamente convertirsi al Giudaismo, con tutto ciò che questo comportava (circoncisione, culto, prescrizioni alimentari, ecc.). Pur senza considerare abrogata la Legge mosaica (cf. Rm 3,31), Paolo sosteneva che la salvezza, ormai, si otteneva attraverso la fede in Cristo, e non per l’osservanza della Legge. Questa posizione, da un lato, segnava un’apertura in senso universalistico del movimento cristiano, dall’altro, però, rischiava di provocare divisioni all’interno della Chiesa delle origini, ancora molto legata al Giudaismo. Anche se non mancarono difficoltà e contrasti, alla fine la posizione di Paolo risultò vincente.
Lei è esperto dei luoghi dove sono state trovate le tracce e le reliquie di San Paolo. Per esempio la Via Appia, percorso che compì l’apostolo in arrivo da Pozzuoli e dove i cristiani gli andarono incontro per accoglierlo. Può spiegarci meglio?
Il riferimento (indiretto) alla Via Appia, la Regina viarum dell’antichità, si trova negli Atti degli Apostoli, nel quadro della descrizione delle ultime tappe del viaggio “della prigionia” di Paolo. Dopo aver lasciato l’isola di Malta, Paolo – scortato dal centurione Giulio – raggiunse prima Siracusa, poi Reggio e quindi Pozzuoli, dove c’era un’importante colonia cristiana. Da qui il gruppo, non più via mare, ma a piedi partì per Roma, percorrendo la strada che collegava Pozzuoli alla capitale: la Via Appia. Ciò è attestato anche dai due toponomi ricordati dagli Atti per indicare i luoghi dell’incontro di Paolo con le delegazioni dei “fratelli” giunti da Roma per accoglierlo: il Foro Appio e le Tre Taverne, due stazioni di sosta lungo la Via Appia. Il Foro Appio distava da Roma circa 60 chilometri e si trovava nella zona delle paludi pontine, mentre le Tre Taverne si trovavano in prossimità dell’odierna Cisterna di Latina, a una cinquantina di chilometri dalla capitale. Con un tocco di finezza, Luca ricorda che «Paolo, al vedere i fratelli, rese grazie a Dio e prese coraggio» (At 28,15).
Le catacombe di San Sebastiano dove, sembra durante le persecuzioni, furono messe al sicuro e custodite le reliquie degli apostoli Pietro e Paolo e, dove si troverebbe il luogo del “Domine quo vadis?”
Verso l’anno 258 d.C., durante la violenta persecuzione di Valeriano, i cristiani trasferirono nelle catacombe di San Sebastiano i corpi degli apostoli Pietro e Paolo, per evitare che fossero profanati. A quanto sembra, per almeno settant’anni le reliquie dei due santi rimasero in queste catacombe che divennero anche luogo di pellegrinaggio. Sebbene alcuni studiosi abbiano messo in dubbio l’effettiva presenza delle reliquie dei due martiri nelle catacombe di San Sebastiano, non può essere smentito il fatto che questo luogo abbia preso il nome di Memoria apostolorum, a motivo del culto riservato a Pietro e a Paolo, come testimoniano i numerosi graffiti d’invocazione ai due apostoli, scritti in varie lingue, ritrovati dagli archeologi.
Diversa è la questione del Domine, quo vadis?, una chiesetta situata in prossimità dell’ultimo tratto della Via Appia, e così chiamata per ricordare un episodio narrato in un testo apocrifo, Atti di Pietro (II secolo), in cui l’apostolo Pietro, deciso a fuggire da Roma per scampare alla persecuzione dei cristiani da parte di Nerone, in una visione vide Gesù e gli chiese: “Domine, quo vadis?” (“Signore, dove vai?”). A questa domanda, secondo il testo apocrifo, Gesù rispose: “Eo Romam iterum crucifigi” (“Vado a Roma per essere di nuovo crocifisso”). Compresa la lezione, Pietro tornò sui suoi passi e di lì a poco affrontò il martirio. Da questa narrazione apocrifa, lo scrittore polacco Henryk Sienkiewicz trasse il famoso romanzo Quo vadis. La sosta in questa chiesetta vuol essere un omaggio al martirio di Pietro, sempre associato a quello di Paolo.
La chiesa di San Paolo alla Regola che ospitò l’Apostolo, e il Carcere Mamertino
A Roma, Paolo visse in regime di custodia militaris, una forma di detenzione relativamente mite che gli consentiva di vivere in una propria dimora, ricevere visite e svolgere un’intensa attività di predicazione. Il regime di semilibertà prevedeva, però, alcune restrizioni: in attesa del giudizio (cf. At 24,23), il prigioniero agli arresti domiciliari (reus in custodia) non poteva lasciare l’Urbe ed era sorvegliato a vista, da uno o più soldati. Difficile stabilire perché a Paolo sia stata concessa la custodia militaris: secondo alcuni studiosi, le accuse nei suoi confronti furono ritenute “deboli”, come era già accaduto in precedenza (cf. At 25,18.25; 26,31-32); secondo altri, invece, la semilibertà lascia supporre che egli non fosse stato ritenuto un pericolo per l’ordine pubblico (J.A. Fitzmyer). Di fatto, non fu confinato nel castrum, ma poté prendere a pigione un alloggio extra castra. Tra i luoghi che la tradizione ha indicato come dimora dell’Apostolo, è da segnalare uno spazio ora incluso nella chiesa detta di “San Paolo alla Regola”, non lontano dalle rive del Tevere. Qui si troverebbe il luogo dove Paolo visse ed insegnò (hospitium et schola), durante la sua permanenza a Roma, secondo il racconto degli Atti.
Il Carcere Mamertino o Carcer Tullianum, il più antico dell’Urbe, era una prigione di massima sicurezza, in cui furono reclusi i più celebri nemici di Roma, fra i quali Giugurta (re della Numidia), Vercingetorige (re dei Galli), Seiano (il prefetto del pretorio al tempo di Tiberio) e altri. Anche se mancano prove storiche di fonte romana, secondo un’antica tradizione cristiana, i principi degli apostoli, Pietro e Paolo, trascorsero nel Tullianum i loro ultimi giorni, prima di subire il martirio. Anche questo luogo testimonia di una detenzione, esperienza che più volte segnò la vita dell’Apostolo, come ricordano le lettere dette “della prigionia” (Filippesi, Filemone, Colossesi, Efesini), in cui l’Apostolo si presenta come “prigioniero” o “in catene per Cristo”.
Le Tre Fontane, luogo del martirio
Il Nuovo Testamento tace sulla morte dell’Apostolo, così che le prime informazioni sull’epilogo della sua vita terrena provengono dalle testimonianze di antiche fonti cristiane. Verso l’anno 90 d.C., il vescovo di Roma, Clemente I, in una lettera ai cristiani di Corinto, scrisse che Paolo nell’Urbe «sostenne il martirio davanti ai governanti» (1Clem 5,2). Secondo fonti apocrife, la morte dell’Apostolo avvenne per decapitazione, in seguito a un decreto di Nerone (Atti di Paolo, fine II secolo). Riguardo, invece, al luogo del martirio si indicò una località nei pressi della Via Laurentina, detta Aquae Salviae, nome che fu mutato in Tre Fontane, a motivo di un episodio descritto negli Atti di Pietro e Paolo (V secolo), secondo il quale al triplice rimbalzo sul terreno della testa dell’Apostolo sgorgarono tre sorgenti. La data del martirio è tuttora oggetto di dibattito: per alcuni l’anno 64, durante le persecuzioni anticristiane seguite all’incendio di Roma, per san Girolamo nell’anno 67, per altri invece alcuni anni prima, tra il 56 e il 58.
La Basilica di San Paolo Fuori le Mura, con la tomba dell’Apostolo
Le spoglie mortali dell’Apostolo trovarono sepoltura fuori dalla città, in un’area cimiteriale pagana, situata in corrispondenza del secondo miglio della Via Ostiensis, non lontano dal Tevere. Il “trofeo” (monumento celebrativo) in onore dell’Apostolo martire divenne ben presto meta di pellegrinaggi, da parte dei cristiani che vi si recavano per venerare la memoria di colui che aveva testimoniato con il sangue la sua fede in Cristo. L’imperatore Costantino vi costruì una prima basilica, consacrata da papa Silvestro (324) e successivamente ampliata dai tre imperatori Teodosio I, Graziano e Valentiniano II (391). Quasi totalmente distrutta dal grande incendio del 1823, la grande Basilica di San Paolo Fuori le Mura fu ricostruita e riconsacrata da Pio IX nel dicembre 1854. Ed è sulla sua tomba che invocheremo la protezione dell’Apostolo, colui al quale la Provvidenza affidò «il compito di aprire nuove vie dappertutto, lasciando ad altri quelle normali» (O. Kuss).

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Antonio Gaspari

Cascia (PG) Italia Studi universitari a Torino facoltà di Scienze Politiche. Nel 1998 Premio della Fondazione Vittoria Quarenghi con la motivazione di «Aver contribuito alla diffusione della cultura della vita». Il 16 novembre del 2006 ho ricevuto il premio internazionale “Padre Pio di Pietrelcina” per la “Indiscutibile professionalità e per la capacità discreta di fare cultura”. Il Messaggero, Il Foglio, Avvenire, Il Giornale del Popolo (Lugano), La Razon, Rai tre, Rai due, Tempi, Il Timone, Inside the Vatican, Si alla Vita, XXI Secolo Scienza e Tecnologia, Mondo e Missione, Sacerdos, Greenwatchnews. 1991 «L'imbroglio ecologico- non ci sono limiti allo sviluppo» (edizioni Vita Nuova) . 1992 «Il Buco d'ozono catastrofe o speculazione?» (edizioni Vita Nuova). 1993 «Il lato oscuro del movimento animalista» (edizioni Vita Nuova). 1998 «Los Judios, Pio XII Y la leyenda Negra» Pubblicato da Planeta in Spagna. 1999 «Nascosti in convento» (Ancora 1999). 1999 insieme a Roberto Irsuti il volume: «Troppo caldo o troppo freddo? - la favola del riscaldamento del pianeta» (21mo Secolo). 2000 “Da Malthus al razzismo verde. La vera storia del movimento per il controllo delle nascite” (21mo Secolo, Roma 2000). 2001 «Gli ebrei salvati da Pio XII» (Logos Press). 2002 ho pubblicato tre saggi nei volumi «Global Report- lo stato del pianeta tra preoccupazione etiche e miti ambientalisti» (21mo Secolo, Roma 2002). 2002 ho pubblicato un saggio nel nel Working Paper n.78 del Centro di Metodologia delle scienze sociali della LUISS (Libera Università Internazionale degli Studi Sociali Guido Carli di Roma) «Scienza e leggenda, l’informazione scientifica snobbata dai media». 2003 insieme a VittorFranco Pisano il volume “Da Seattle all’ecoterrorismo” (21mo Secolo, Roma 2003). 2004 ho pubblicato insieme a Riccardo Cascioli “Le Bugie degli Ambientalisti” (Edizioni Piemme). 2004 coautore con del libro “Emergenza demografia. Troppi? Pochi? O mal distribuiti?” (Rubbettino editore). 2004 coautore con altri del libro “Biotecnologie, i vantaggi per la salute e per l’ambiente” ((21mo Secolo, Roma 2004). 2006 insieme a Riccardo Cascioli “Le Bugie degli Ambientalisti 2” (Edizioni Piemme). 2008 insieme a Riccardo Cascioli il libro “Che tempo farà… Falsi allarmismi e menzogne sul clima (Piemme). 2008, è stata pubblicata l’edizione giapponese de “Le bugie degli ambientalisti” edizioni Yosensha. 2009. insieme a Riccardo Cascioli “I padroni del Pianeta – le bugie degli ambientalisti su incremento demografico, sviluppo globale e risorse disponibili” (Piemme). 2010 insieme a Riccardo Cascioli, è stato pubblicato il volume “2012. Catastrofismo e fine dei tempi” (Piemme). 2011 Questo volume è stato pubblicato anche in Polonia con l’imprimatur della Curia Metropolitana di Cracovia per le e3dizioni WYDAWNICTTWO SW. Stanislawa BM.

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