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Benedict Samuel Tshimangadzo Daswa: la fede viva di un padre di famiglia

Il primo Beato della Chiesa sudafricana testimonia una fede coerente ed impegnata che si batte contro le facili ma false promesse delle stregonerie e degli spiritismi

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La vita dei beati a volte sembra scorrere verso binari dell’ordinarietà, fino a quando un episodio della loro vita rivela la pienezza della santità del cuore e innalza quell’uomo sull’altare della gloria. È esattamente quanto accaduto a Benedict Samuel Tshimangadzo Daswa, il primo Beato della Chiesa sudafricana.
Nato il 16 giugno 1946, in Mbahe, un povero villaggio Venda, vicino Thohoyandou, da genitori appartenenti alla tribù chiamata Lemba, la sua vita fu segnata dalla morte del padre, un evento triste che lo costrinse ad una maturazione più rapida, dovendosi occupare personalmente della vita dei suoi fratelli e sorelle. Una svolta decisiva della sua esistenza fu l’incontro con degli amici cristiani che lo invitarono all’età di 17 anni ad abbracciare la fede cattolica e ricevere il sacramento del Battesimo, dopo il quale prese il nome di Benedict.
Da quel momento iniziò a cambiare la propria vita e quella delle persone che gli vivevano accanto. Poco dopo la sua conversione anche la madre aderì alla fede cattolica. Nel 1973 sposò la luterana Shadi Eveline Monyai; dopo la conversione della donna al cattolicesimo, venne celebrato il matrimonio religioso. Benedict è stato un marito e padre esemplare di 8 figli, grazie a lui tutti i membri della famiglia pregavano ogni giorno insieme e partecipavano assiduamente alla messa domenicale.
Benedict non visse la fede come un qualcosa di privato, ma sempre a servizio della comunità nella quale viveva. L’amore a Cristo lo spinse ad un impegno fattivo e caritativo a servizio della Chiesa, come assistente dei sacerdoti, catechista dei giovani, aiutante nella costruzione di Chiese, e a sevizio della sua comunità locale come preside della scuola, animatore dei giovani nel fine settimana, allenatore dei ragazzi presso una scuola calcio.
Il 25 gennaio del 1990 accadde un episodio apparentemente insignificante, che tuttavia offrì a Benedict la possibilità di testimoniare la profondità della sua fede sino al martirio. A causa di un forte temporale, cumuli di paglia presero fuoco perché raggiunti da un fulmine. Le credenze popolari attribuivano quell’evento naturale ad una punizione di un spirito maligno; per questa ragione gli abitanti del villaggio decisero di pagare uno stregone per allontanare quello spirito distruttore.
Benedict, che non era presente quando gli abitanti del suo villaggio presero quella decisione, si rifiutò di pagare un contributo alla stregone, perché riteneva quell’atto contrario alla sua fede. La comunità locale cercò di convincerlo per renderlo partecipe alla loro iniziativa che rientrava nella tradizione e nella cultura del loro popolo. Benedict rimase fermo nel suo proposito preferendo la fedeltà all’insegnamento della fede cattolica piuttosto che seguire altre tradizioni. Il 2 febbraio 1990, venne aggredito dalla folla, lapidato e picchiato a morte.
Un uomo gli venne incontro con un bastone, lo colpì al cranio e gli versò sulla testa acqua bollente. Prima di morire Benedict in ginocchio pronunziò le stesse parole di Gesù sulla croce: “Dio, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Alla sua morte lasciò la moglie Evelyn, incinta dell’ottavo bambino, altri sette figli, sua madre Ida, tre fratelli e una sorella. La cerimonia di beatificazione è avvenuta domenica 13 settembre 2015, a Thohoyandou, durante il pontificato di Papa Francesco.
La vita di questo uomo è davvero un volto visibile della misericordia di Dio. La sua conversione personale è stata accompagnata da una continua testimonianza, che iniziò dentro le mura domestiche e si allargò a macchia d’olio verso tutte le realtà dell’ambiente dove viveva. La società secolarizzata pretende di rinchiudere il cristianesimo all’interno di una sfera celeste, come se la fede fosse una realtà fine a se stessa, ritenendo che la trascendenza non abbia un attivo coinvolgimento ed una profonda influenza negli avvenimenti della vita quotidiana.
Quanto fastidio dà al mondo una fede coerente ed impegnata che si batte per testimoniare la verità del Vangelo? Benedict ha preferito rimanere coerente con la propria fede. Accettare di interpellare uno stregone significava contraddire la fede cristiana che non divinizza la natura, non la rende dipendente dagli spiriti maligni, ma gli assegna il posto di creazione nella quale è possibile scorgere in ogni suo elemento un qualche aspetto di Dio, il creatore del cielo, della terra, dell’uomo e di tutti gli essere viventi.
Nel nostro paese non sono frequenti i casi di stregoneria, ma ci sono tanti mercanti di menzogna, i quali senza scrupolo sfruttano le situazioni di povertà, di dolore e d’angoscia delle persone più deboli. La diffusione massiva delle scommesse sportive, l’ascolto degli astrologi, il ricorso a cartomanti, la lettura quotidiana di oroscopi, sono tutte pratiche che contrastano la fede cristiana, perché idolatrano i soldi e le persone che falsamente pretendono di prevedere il futuro. E rinnegano così il credo nel Dio al quale appartiene la storia di salvezza dell’intera umanità.
Benedict, avendo davanti agli occhi un uomo con un bastone nelle sue mani, situazione nella quale era evidente la intenzione di ucciderlo barbaramente, ha pronunziato parole cariche di speranza cristiana. È davvero sorprendente questa reazione che ci ricorda che il cuore dell’uomo quando è raggiunto, conquistato e trasformato dalla grazia della misericordia di Dio, ha la potenzialità di diventare misericordioso sino a giungere a dare la sua vita.
Benedict ha testimoniato con il suo sangue la consapevolezza che la morte è una consegna della propria vita nelle mani del Padre celeste. Durante la sua vita terrena il Beato ha potuto stendere tante volte le sue mani verso i bisogni della sua famiglia e degli abitanti del suo villaggio, perché le sue mani erano continuamente alzate verso il cielo.
La vita cristiana è autentica quando si lascia portare dalla mano di Dio che guida i passi dell’uomo sulle vie del servizio al debole e allo scartato, sapendo di non essere mai soli anche davanti alla morte.

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Osvaldo Rinaldi

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