Giro di boa per il processo Vatileaks 2 per fuga di documenti riservati. Oggi l’interrogatorio dell’ultimo dei cinque imputati: Gianluigi Nuzzi, noto giornalista Mediaset e conduttore di Quarto Grado, nonché autore del libro Via Crucis. Dalla prossima udienza, fissata per martedì 26 aprile, alle 15.30, inizieranno le audizioni ai testimoni richiesti da accusa e difesa.
Il processo è iniziato alle 10.40; l’interrogatorio a Nuzzi è stato condotto dal Promotore di Giustizia aggiunto Roberto Zannotti. Il giornalista, leggermente agitato (“non è facile stare seduto su questa sedia” ha detto al presidente Della Torre), teneva in mano alcuni appunti “per essere più preciso con le date” e la copia del suo libro-scandalo.
Proprio sul volume si sono incentrate le prime domande, che – ha spiegato Nuzzi – è il quarto che dedica a tematiche vaticane. “Da che momento aveva in mente di scrivere Via Crucis?”, ha chiesto Zannotti. La risposta è arrivata dopo alcune premesse: dopo il 2012 – ha spiegato il giornalista – con l’uscita di Sua Santità, si era “psicologicamente allontanato” dalle vicende relative alla Santa Sede, anche a causa dei forti “effetti” che la sua inchiesta aveva sortito: l’arresto del maggiordomo Paolo Gabriele e – a suo dire – le dimissioni di Benedetto XVI.
“Poi non mi sono più interessato… la mia professione aveva preso un indirizzo diverso, lavoravo a La7 su inchieste di criminalità finanziarie”. Tuttavia “in cuor mio – ha spiegato – seguivo le cronache sulla stampa dei cambiamenti portati avanti da Papa Francesco contro quelli che lui stesso definisce i ‘faraoni’ in Curia e, da osservatore, assistevo a questa opera di riforma (la creazione di Commissioni, della Cosea, il cambio del Segretario di Stato), vedevo tanti cambiamenti”.
In questo contesto Nuzzi strinse i rapporti con Francesca Immacolata Chaouqui, che già conosceva da quando la pr lavorava nello Studio legale Orrick e lo aveva invitato per la presentazione del libro di un dirigente di Confindustria. “Sia lei – ha detto il giornalista – sia alcune notizie di giornali mi informavano su un rallentamento della riforma”. Era il febbraio-marzo 2014 e la Cosea di lì a poco avrebbe chiuso i battenti.
La lobbista calabrese segnalava in particolare a Nuzzi “che questa riforma fosse osteggiata e c’era la preoccupazione che l’attività della Cosea finisse vanificata”. Si rischiava quindi una sorta di “boicottaggio” della rivoluzione voluta da Francesco, denunciata non solo da Chaoqui ma anche dal coordinatore della Cosea, mons. Lucio Vallejo Balda.
Il monsignore spagnolo entra in scena nel marzo 2015, presentato dalla donna per riferire al cronista di questa “situazione allarmante”. Il primo incontro avviene nell’hotel Ambasciatore di Roma. “Quando siamo arrivati alla Cosea abbiamo trovato i conti fuori controllo” confida Vallejo al giornalista, mostrandogli alcune foto dal suo cellulare della cassaforte della Prefettura degli affari economici e di un armadio blindato entrambi oggetto di effrazione.
Vicende mai apparse sui giornali, ha detto Nuzzi. “Immaginate, mi trovo un monsignore che ricopriva un ruolo istituzionale apicale in quella [la Prefettura ndr] che per noi giornalisti è un po’ la ‘Corte dei Conti’ in Vaticano, che mi segnalava fatti non noti. Lui mi ha dato un input, dicendomi: ‘Vedi come ci stanno bloccando le riforme?’”. Sembrava insomma che in Curia sempre di più “prosperasse il malaffare”.
“Abbiamo scoperto di tutto e nulla è cambiato”, ripeteva Vallejo, “la nostra ricerca di notizie è ostacolata”. Dichiarazioni che avrebbero solleticato la curiosità di qualsiasi giornalista, a maggior ragione la sua che ‘mastica’ vicende vaticane da anni. Per questo al secondo incontro col monsignore, avvenuto nella casa della Chaoqui a metà aprile, Nuzzi si presentò con un taccuino, “l’arma di noi giornalisti”. Quello stesso taccuino, la cui prima pagina recava la scritta “Problemi che non si risolvono mai”, l’imputato lo ha consegnato stamane ai giudici facendolo acquisire agli atti.
Tra fine aprile e inizio maggio nacque quindi l’idea di scrivere un libro in coincidenza con il progetto editoriale concordato con Chiarelettere. Più precisamente, ha spiegato Nuzzi, “nel momento in cui ho verificato che le notizie ricevute fossero fondate” attraverso la documentazione consegnata da Balda. Il monsignore consegnò infatti al giornalista il suo indirizzo email e la password (Nuzzi ha mostrato come sul taccuino fossero segnate entrambe con una calligrafia diversa). Il cronista legge circa 10-12 di questi documenti contenuti nella casella di posta e riscontra che le affermazioni della sua fonte fossero “suffragate” da un’ampia documentazione.
I contatti tra i due proseguirono a lungo, quasi sempre tramite Whatsapp con foto dei pacchi dell’archivio Cosea con la scritta “Da distruggere” (“5 milioni di consulenze mandate al macero” aveva già commentato Chaoqui nel suo interrogatorio) insieme a messaggi tipo: “In Vaticano guerra aperta”; “Tutti lottano per controllare Prefettura, io in mezzo, attaccato”. Insomma quel cambiamento repentino che sembrava aver apportato il Papa argentino era in realtà una vera e propria “Via Crucis”.
Di questi sms, il Pm ne ha citato uno in particolare del 26 aprile con una foto della effrazione della porta di casa di Balda. Secondo il giornalista “un avvertimento”, una “minaccia” al monsignore visto che nulla era stato rubato nell’appartamento. Da parte sua, Vallejo accompagnava le immagini con frasi apocalittiche: “Dio mio è la fine del mondo!”; “Con la Cosea ci siamo fatti troppi nemici, stanno tentando di screditare quelli che hanno la fiducia del Papa”; “È il sistema, non sono un delinquente”.
La risposta di Nuzzi nasce dunque spontanea: “Mi mandi una mail dove mi scrivi questi fatti?” (“Spero che questo non rappresenti un reato”, ha detto piccato oggi in aula). Il sacerdote replica: “No, non mi fido… Non di te”. Gli incontri allora avvennero sempre di persona: “Quasi tutti conviviali, io e lui a pranzo insieme, chiacchieravamo”.
Tra il giornalista e l’ex coordinatore Cosea si instaura un rapporto personale: “Balda era diventato una sorta di ‘editor’ per me. Lo consultavo come chiave di lettura per capire cose scritte nei documenti”, ha riferito Nuzzi. Lui stesso passava dei documenti al monsignore raccolti da altre fonti consultate per il suo libro, oppure gli domandava informazioni sul volume di imminente uscita di Fittipaldi che trattava gli stessi argomenti.
Il Promotore di Giustizia ricorda infatti un messaggio del 2 agosto 2015: “La tua ex amica (Chaoqui) dice che Fralleoni (dirigente generale della Prefettura degli Affari Economici) è fonte di Emiliano”, scriveva Nuzzi. Che si è giustificato: “A fine luglio vengo a sapere che Fittipaldi, che non avevo mai conosciuto, stava scrivendo un libro sulle finanze vaticane. Questa cosa mi preoccupa e ho chiesto informazioni a Balda, a Chaoqui e ad altri miei contatti”, come ad esempio l’amico libraio Paolo Mieli.
In tutto questo contesto Francesca Immacolata Chaoqui rimane fuori dai giochi: sempre e solo “un contatto” mai “un editor”, anche perché lei non aveva accesso alle stesse informazioni della Cosea che aveva Vallejo. “Lei era solo una consigliera con delega per la comunicazione”. La pr non ha mai passato un documento al giornalista, si saranno incontrati al massimo una volta in un ristorante a Milano, tantomeno facevano parte insieme di quel “mondo pericoloso” che Vallejo aveva denunciato nel suo interrogatorio o avevano rivolto pressioni e minacce al monsignore.
“Non ho mai fatto neanche sollecitazioni” ha chiarito Nuzzi, invitando i giudici a leggere le conversazioni su WhatsApp dove si denota il suo atteggiamento sempre “rispettoso, attento, riguardoso” verso il religioso. Per questo Nuzzi rimase sconvolto quando a fine settembre, a libro concluso, Vallejo gli invia in copia un messaggio “schifoso” e “aggressivo” della Chaoqui (il famoso “Ti distruggo a mezzo stampa”).
“Replicai ‘è bipolare’ perché ritenevo incompatibile quel contenuto con la normale consuetudine di rapporti che si possono avere, ancor di più con un sacerdote”, ha spiegato. Con lo stesso tono, quando il prete lo informò della istituzione della Segreteria per la Comunicazione (“una mia creatura, frutto della Cosea”, disse Balda) Nuzzi gli rispose: “Sarà stata una delusione per questa signora che voleva un ruolo, ma è inaffidabile, combinava troppi pasticci”.
“Questo è quello che pensavo e che penso tuttora”, ha confermato ai giudici. E ha spiegato pure di non averle mai riferito del libro “perché sapevo che lei parlava con altri giornalisti e non volevo fornire dettagli visto che è uscito con un embargo assoluto”.
A Nuzzi è stato poi chiesto dall’avv. Bellardini, difensore di Vallejo, quali documenti coperti dalle 85 password fornite dal monsignore fossero stati effettivamente pubblicati. “Alcuni sì, altri no” ha sottolineato, dicendo comunque di non ricordare con precisione anche perché molte password avevano una radice simile – il titolo del documento – e lui, oltre a quelle riferite da Balda, aveva anche provato a decriptarne altre ad intuito.
Al Collegio giudicante, Gianluigi Nuzzi ha poi aggiunto che di fronte a questa mole di informazione ricevuta, “non potevo non fare il mio lavoro”: “Ho scelto questo mestiere e quando vengo a conoscenza di notizie è mio dovere pubblicarle. Avevo questi documenti, che dovevo fare? Tenerli nel cassetto? Un domani i colleghi mi avrebbero detto: ma che lavoro fai? Mi avrebbero sputato in faccia… Ho l’obbligo di pubblicare le notizie”.
Anche quelle segrete? “Non mi sembra che ci siano segreti di Stato. Non avrei mai pubblicato ad esempio la password per entrare Santa Marta che metterebbe a repentaglio la sicurezza del Papa. Ho scritto di privilegi, di fondi extra-contabili gestiti da gruppi, di cattiva amministrazione… E questi non riguardano interessi fondamentali del Vaticano”.
L’udienza si è conclusa intorno alle 14.15. Ultimo atto è stata la questione testimoni: l’ufficio del Promotore di Giustizia ha “sfoltito” il suo gruppo rinunciando a chiamare il comandante della Gendarmeria Domenico Giani, nonché i gendarmi Minafra e Alessandrini; sono state poi respinte le richieste degli avvocati di Vallejo di acquisire nuovi testimoni: l’avvocato Cesare Sammauro “per la circostanza dei Servizi Segreti” e lo psichiatra Enrico Rosini da cui Balda è in cura dal 7 marzo 2016. Laura Sgrò, avvocato della Chaouqui, aveva invece chiesto come testimone Luigi Bisignani. Richiesta, anch’essa, rigettata.