Ago e filo cuciono, rattoppano, uniscono ogni strappo, ogni divisione.
Il cristiano è chiamato ad essere un sarto; specialista di ago e filo.
Quante volte si può, si deve cucire, ricucire? Fino a settanta volte sette; cioè sempre.
L’ago è il dolore che trascina il filo e lo conduce nello spazio creato dalla sua puntura. Il filo è l’amore che non può passare se non attraverso il vuoto creato dalla punta del dolore.
Ago e filo sono inseparabili nel cucire. E’ vano il passaggio dell’ago senza il filo, come è vano il dolore senza l’amore; è impossibile al filo penetrare senza l’ago, come non ha forza l’amore senza il dolore. Solo tramite la dolorosa puntura dell’ago è possibile al filo passare e ripassare sulla ferita del tessuto e così ricomporla, aggiustarla, sanarla.
Quant’è facile – osserva Gilbert, un amico sarto- fare uno strappo; è un attimo; ma per ricucire, per riparare quello strappo bisogna passarvi sopra molte e molte volte con ago e filo.
Le sue parole mi fanno riflettere a quanta attenzione, quanta delicatezza richieda il trattare col prossimo: è così facile lo strappo: un’impazienza, uno sgarbo, una parola, un gesto possono rompere o, almeno, incrinare il rapporto con lui; ma quanti atti d’amore per ricucirlo, quanto impegno per riparare a un’offesa.
Ad ogni strappo va trovato e usato il filo adatto, per colore e per spessore, alla stoffa lacerata e alle cuciture precedenti; così non può esserci un modo di amare uguale per ogni persona. I gesti che riparano lo strappo non sono uguali perché sono diverse le persone con le quali si ha da trattare. Ognuno va avvicinato secondo i suoi gusti, il suo linguaggio, la sua sensibilità. Non per tutti è uguale il saluto, non a tutti è gradito lo stesso modo di parlare. A stoffa nuova, rattoppi nuovi; rattoppi vecchi a stoffa vecchia. Altrimenti i rattoppi nuovi strappano la stoffa vecchia. “Piangere con chi piange, ridere con chi ride” è la massima di S. Paolo. È l’arte del “farsi uno” con ciascuno, con tutti.
Norbert, un amico calzolaio, mi confidava che molta gente nel comperare le scarpe, si lascia ingannare da cuciture apparenti, che coprono incollature affrettate. Bisogna saper distinguere le cuciture vere da quelle simulate, per non lamentarsi dopo dell’inganno.
L’amore tende a riannodare lo strappo. Ma attenzione alla qualità del filo. Le pezze possono essere di stoffa la più forte, la più pregiata, ma se non usi filo adeguato e resistente l’abito non si ripara e se usi filo scadente, scadente è pure il risultato del lavoro.
Solo il filo robusto dell’amore di Dio può riannodare i rapporti tra fratelli. I rapporti cuciti dall’amore umano, interessato, egoistico, sono non autentici e di breve durata. L’amore che cuce fino alla fusione dei cuori è quello che viene da Dio. La chiesa fa cantare: “Ci ha riuniti tutti insieme Cristo-amore”. Beati i matrimoni, fortunate le comunità religiose dove abitano persone unite da questo amore.
Stavo per fare un monumento all’ago e al filo che insieme fanno vere opere d’arte. Basta osservare un vestito: tanti pezzi di stoffa messi armoniosamente insieme. Ma, passando a salutare Gilbert, nel suo negozio, vedo sul tavolo di lavoro, adagiati e inerti l’ago e il filo; inoperosi accanto a tagli di stoffa che aspettano la loro opera. Gilbert non c’era; era a letto ammalato. Per una settimana ago e filo rimasero immobili, senza poter far niente. Mancava la mano dell’artista.
Ago e filo in mano al sarto non sanno cosa fa l’artista; la loro fortuna, il loro valore è nello stare nella sua mano e fidarsi della sua perizia.
Capisco che anch’io, se voglio cucire, ricucire ed essere strumento di unità devo solamente stare in mano al sarto divino, l’unico capace di usarmi per il suo grande sogno, il suo meraviglioso disegno: riannodare ogni strappo dell’umanità, fare di due un popolo solo, condurre ogni uomo nell’unica famiglia di Dio: “Padre che tutti siano uno!”
Ciao da p. Andrea
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Pixabay CC0 - Gadini, Public Domain
Ago e filo
Quante volte si può, si deve cucire, ricucire? Fino a settanta volte sette; cioè sempre