Due aprile, giorno come tanti per molti, ma non per tutti. Per la comunità cattolica è una data di cordoglio in memoria di San Giovanni Paolo II, venuto a mancare il 2 Aprile 2005.
Un’altra grande comunità ha fatto propria la stessa ricorrenza come momento per sensibilizzare la società mondiale al tema dell’autismo, un’affezione del neuro-sviluppo che colpisce “democraticamente”, senza distinzione di classe o ceto sociale, a ogni latitudine, e la cui unica discriminante è quella sessuale: l’autismo si presenta con una frequenza tre volte superiore nei maschi rispetto alle femmine. Aspetto, questo, di fondamentale importanza poiché rappresenta un’evidenza empirica che avvalora l’ipotesi sempre più fondata scientificamente dell’origine genetica della sindrome autistica. Senza tuttavia sottovalutare o derubricare definitivamente i fattori ambientali, non ancora circoscritti, che potrebbero concorrere alla modificazione del corredo ereditario.
Le statistiche epidemiologiche descrivono una situazione preoccupante a causa del numero di casi in aumento, riconducibile sia alla diagnostica sempre più raffinata e precoce, sia perché lentamente si è aperta una breccia nel granitico stigma sociale del disagio mentale che ha portato allo scoperto quello che tempo addietro si celava con frustrante vergogna, sia perché dall’inarrestabile sviluppo tecnico-industriale scaturiscono sempre nuovi motivi di rischio: in pochi decenni si è passati da un valore medio di un bambino diagnosticato con autismo ogni 10mila nati, a un rapporto che indagini recenti dimostrano essere di 1 su 100, senza prendere in considerazione quei dati ancora più estremi che allo stato attuale sembrano francamente irrealistici.
Di autismo si è iniziato a parlare con maggiore forza e interesse ormai da una trentina d’anni, mentre il grande pubblico prendeva coscienza con il bellissimo film di Barry Levinson, Rain Man (L’uomo della pioggia), del 1988, interpretato da Dustin Hoffman e Tom Cruise, vincitore di quattro premi Oscar.
Sebbene l’autismo per come lo conosciamo nella sua forma attuale fosse stato descritto nei primi anni ’30 del secolo scorso, prima da Hans Asperger e immediatamente dopo dallo psichiatra austriaco Leo Kanner, John Down (scopritore della sindrome di Down) sul finire del secolo XIX aveva già individuato alcuni tratti esteriori simili a quelli caratteristici dello Spettro autistico “moderno”. Quest’ultima e più recente definizione, esprime una gradazione in termini sintomatologici che varia dai casi più lievi comunemente noti come “Asperger” o “ad alto funzionamento”, fino a quelli che presentano importanti compromissioni dell’efficienza intellettiva e relazionale.
ZENIT ha intervistato un grande esperto e studioso di autismo, il dott. Giovanni Valeri, neuropsichiatra dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. Alle spalle un’esperienza fatta di centinaia se non migliaia di casi, passati per gli ambulatori e i reparti del più grande ospedale pediatrico d’Italia e uno dei maggiori in Europa: il dott. Valeri tradisce sin da subito una passione vivida per il suo lavoro, che infonde grande interesse e profondo senso di umanità nel suo interlocutore.
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Dott. Valeri, in che termini è definibile con esattezza quello che generalmente è conosciuto come autismo?
La comunità scientifica è concorde nella definizione di autismo come disturbo del neuro-sviluppo ovvero di uno sviluppo atipico dell’organizzazione cerebrale.
Quali sono le manifestazioni caratteristiche dell’autismo?
Le caratteristiche principali sono la compromissione dell’interazione sociale reciproca e della comunicazione, associata a comportamenti e interessi ristretti e ripetitivi, ma il recente concetto di Disturbo dello Spettro Autistico aiuta a comprendere alcune differenze importanti nella popolazione delle persone con autismo. Generalizzando, potremmo rilevare la ricorrenza di comportamenti atipici che compromettono la vita di relazione e alcune abilità cognitive funzionali all’autonomia personale, ma la questione è molto più complessa e articolata.
Per Spettro autistico si vuole intendere l’esistenza di svariati sottotipi ciascuno dei quali si caratterizza per una determinata gravità sintomatologica, oltre all’eventuale associazione con una Disabilità intellettiva (in precedenza definita Ritardo mentale), una competenza linguistica e comunicativa più o meno compromesse.
La variabile presenza/assenza di Disabilità intellettiva o Ritardo (da lieve a grave), in particolare, individua due macro-categorie dalle quali è possibile ricavare una sostanziale differenziazione, importante anche per iniziare un percorso di intervento adeguato che deve sempre essere a grana fine, tarato sull’individuo nella sua specificità.
Da questo punto di vista, allora, quando parliamo di autismo si rischia di essere troppo generici e superficiali.
E’ il rischio connaturato ai processi di categorizzazione linguistica, necessari per dare ordine e senso all’esperienza, anche se il linguaggio specialistico, scientifico nel nostro caso, cerca di ridurre ai minimi termini il grado di astrazione semantica. Non direi che un termine generico e generale come la parola autismo risulti del tutto inappropriato. Nonostante le marcate differenze che possono presentarsi tra caso e caso, si può sostenere l’esistenza di un minimo comun denominatore. Si può affermare, infatti, che le persone con autismo abbiano una esperienza e una percezione atipica del mondo, delle cose, dei fatti. Non a caso, dei tre filoni teorici prevalenti di studio oggi – cognizione sociale, funzioni esecutive e coerenza centrale – uno si concentra sulle modalità di elaborazione percettiva dell’individuo autistico il quale sembrerebbe concentrare il focus attentivo sui particolari degli stimoli circostanti piuttosto che sulla loro organizzazione globale e coerente.
Per Federico Fellini “un linguaggio diverso è una diversa visione della vita”. Quindi l’autismo corrisponderebbe a una forma differente di percepire il mondo, atipica o sarebbe meglio dire tipica nel suo genere…
Nella mia esperienza ho visitato molti ragazzi e ragazze autistici con sintomi di disturbi comuni come la depressione, ad esempio: la cosa che continua ancora oggi a sorprendermi è il modo in cui – soprattutto quelli di loro con buone competenze verbali – spiegano ed esternano le loro emozioni. Per rendere l’idea, sembra che parlino di se stessi e delle proprie sofferenze in modo distaccato, spersonalizzato, anche in circostanze estreme di autolesionismo e tentato suicidio. Per converso, altrettanto emblematici risultano gli sfoghi di pianto e disperazione estemporanei che terminano con la stessa imprevedibilità che li ha originati.
Ha accennato a tre principali teorie sulle quali si basano gli studi attuali.
Sì, oltre a quello che le ho menzionato pocanzi attinente alle modalità percettive atipiche, le altre due insistono l’una sulla compromissione nel soggetto autistico della cosiddetta intelligenza sociale, (o più precisamente, cognizione), di cui fanno parte gli studi sullo sviluppo della Teoria della Mente e quelli, forse più noti al grande pubblico relativi al ruolo dei neuroni specchio di Rizzolati e colleghi; l’altra, invece, riguarda le Funzioni Esecutive, ovvero le difficoltà di problem solving, oltre che di inibizione della risposta impulsiva, di pianificazione di strategie alternative, sia nella soluzione di compiti logico-pratici, sia in situazioni e contesti relazionali.
E’ corretto affermare che una buona percentuale delle persone con autismo soffra anche di altri disturbi neurologici o psicologici?
Circa il 70 % presenta un disturbo in comorbilità: epilessia per il 25-30%; disabilità intellettiva/ritardo mentale a cui spesso è associato un deficit verbale; tic e sindrome di Tourette; stati ansiosi e depressivi come accennato in precedenza.
E’ possibile ipotizzare che l’alta frequenza di disturbi d’ansia e depressivi sia riconducibile ad una supposta consapevolezza che il soggetto autistico ha di alcuni suoi deficit, ovvero alla frustrazione di sentirsi incompreso nel suo modo atipico di percepire e sentire il mondo che lo circonda?
E’ plausibile, soprattutto per i soggetti autistici senza Disabilità intellettiva; studi recenti hanno evidenziato una alta frequenza di tentativi di suicidio in queste persone.
Ecco, riguardo l’eziologia dell’autismo. Quali sono le cause accertate allo stadio delle conoscenze attuali?
L’autismo è considerato un disturbo multifattoriale poligenico. Le ormai numerose ricerche sui gemelli e sui ragazzi adottati confermano l’importanza della variabile genetica, abbinata a cofattori ambientali (che va ricordato sono rilevanti solo in presenza di una predisposizione genetica), quali ad esempio il contatto del feto con agenti teratogeni, infezioni virali, assunzione di alcuni antiepilettici in gravidanza, prematurità, problemi durante il parto. Anche l’età del padre al momento del concepimento, quando supera i 50 anni, può rappresentare un fattore di rischio.
Un’ultima domanda riguardo ciò che forse più interessa i genitori che si trovano davanti ad una diagnosi di autismo. Che fare? Quale terapia?
La linea guida sul trattamento dell’autismo stilata dall’Istituto Superiore di Sanità che risale al 2011 e di cui è prossima una rivisitazione, indicano 4 diversi approcci terapeutici che, ci tengo a sottolinearlo, non si escludono a vicenda. Anzi, nella maggior parte dei casi possono essere integrati in un piano d’intervento terapeutico personalizzato. La terapia comportamentale intensiva (conosciuta come terapia ABA) è sicuramente la più studiata tra tutte ma non è in alcun modo la panacea. In alcuni casi può non essere adatta o tecnicamente impraticabile. Altrettanto efficaci sono risultate le Terapie mediate dai genitori ( i quali possono diventare dei veri e propri comprimari nel percorso terapeutico); così anche gli Interventi di comunicazione aumentativa, e la cosiddetta Educazione di tipo strutturato.
Non esiste la Terapia con la T maiuscola. Ribadisco l’importanza di un approccio terapeutico personalizzato e integrato, disegnato e ritagliato come un vestito sul singolo individuo.
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Da un punto di vista medico scientifico, dunque, si stanno facendo importanti passi in avanti specialmente nella ricerca dei meccanismi all’origine del disturbo: un lavoro complicato di prove ed errori, induzioni e deduzioni, che ricorda la costruzione di un puzzle intricato (non a caso il simbolo dell’autismo è proprio una tessera di puzzle).
Mentre gli scienziati sono alle prese con la soluzione dell’enigma, genitori e familiari delle persone con autismo vivono quotidianamente le difficoltà di una condizione aggravata da un sistema socio sanitario spesso inadeguato, e dalla cronica scarsità di fondi destinati; ma il vero problema è la mancanza di una cultura della disabilità, di una visione della società che preveda dispositivi spontanei d’inclusione e integrazione della persona disabile. Un problema serio che si fa dilemma nel caso della disabilità intellettiva e relazionale.
Gino Salvati, Presidente dell’Associazione Habitat Per l’Autismo, papà di Simone, ragazzo autistico ventenne, ci spiega la situazione che accomuna tanti genitori come lui, contrassegnata dai piccoli e grandi ostacoli quotidiani, da quel senso di apprensione che ti accompagna sempre come una fedele ombra silente. Se un genitore è capace di accettare il proprio destino e le sue responsabilità, non c’è modo di reagire al pensiero di un figlio o di una figlia che non hanno i mezzi, la consapevolezza e la giusta dose di cinismo per occuparsi di se stessi in una società impietosa come quella attuale. La chiamano “Dopo di Noi” l’ideale istituzione invocata a farsi carico dei loro amati figli con la stessa dedizione e cura che solo nell’abbraccio rassicurante di una madre e di un padre trovano reale compimento. Tutti i papà hanno il loro piccolo progetto chiuso nel cassetto pronto per essere rispolverato ogni qual volta si accende un lumicino di speranza: castelli incantati, paesaggi bucolici, città invisibili e comunità utopiche, costruite sulle fragili fondamenta della speranza.
Dopo la scuola, superata la maggiore età, le poche alternative sono rappresentate dai centri diurni o dalle “case famiglia” il cui accesso è subordinato a lunghe liste d’attesa. Le persone autistiche, come probabilmente ogni singolo individuo – a prescindere dal male che lo affligge, racchiudono dentro di sé un bagaglio di potenzialità inespresse che i confini di un centro di accoglienza per quanto dignitoso e ben organizzato, inevitabilmente rischiano di tarpare ulteriormente. E’ questo un cruccio angosciante di tanti genitori rassegnati alla realtà.
Se la politica istituzionalizzata è lo specchio della cultura di appartenenza è facile comprendere il senso di smarrimento di tante famiglie con ragazzi disabili a carico. Nonostante l’egregio contributo di individualità come il dott. Valeri o anche di centri specializzati come l’Ospedale Bambino Gesù, il sistema nel suo complesso risulta impreparato e per tanti aspetti disorganizzato. La costante insufficienza di fondi disponibili che spesso genera disservizi inaccettabili per una società che si vorrebbe civile e civilizzata, scaturisce dall’irrazionalità di amministratori superficiali e disattenti, figli di una sottocultura politica dello spreco e del clientelismo, fondata su rapporti di potere anziché di collaborazione per un fine universale.
Miriadi di associazioni, cooperative, enti caritatevoli e di volontariato che formano il terzo settore, coadiuvano -dove e come possono- le famiglie nel compito gravoso di offrire alla persona con autismo un’esistenza protetta e dignitosa. Iniziative culturali, manifestazioni e progetti speciali servono a riempire vuoti abissali che andrebbero colmati – una volta per tutte- con una presa di coscienza e di responsabilità corali.
Il 12 settembre 2015 è entrata in vigore la prima legge nazionale sull’Autismo, approvata dalla Commissione Igiene e Sanità delegata dal Parlamento nazionale: sei articoli che si chiudono con una clausola d’invarianza finanziaria la quale dispone che dall’attuazione della legge non debbano derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Il ministro della Sanità Lorenzin intanto ha reso noto che l’autismo rientra nei nuovi livelli essenziali di assistenza, e che nello specifico sono stati stanziati 50 milioni di euro per le cure e le diagnosi precoci. Primi passi significativi, anche se le risorse economiche sono importanti nella misura in cui c’è la volontà e la capacità di saperle utilizzare, altrimenti non saranno mai sufficienti.
Il 2 Aprile non è la giornata del “lamento autistico”, al contrario è un’occasione per ricordarci che per stare al mondo possiamo essere come siamo senza dover assomigliare, senza essere meglio o peggio. Siamo tutti uguali nella nostra unicità. Tutti, con il diritto a un’esistenza dignitosa, tenendo conto dei limiti di ciascuno, e delle rinunce che questi limiti comportano.
“Se mi etichetti mi annulli”, scriveva il filosofo danese Søren Kierkegaard. Autistico, disabile, handicappato, poveretto, poverino: sono i Davide, gli Alberto, i Damiano, le Roberta, le Livia, alti, bassi, magri, larghi, brutti, belli, antipatici, simpatici, dolci, affettuosi, indisponenti, abili in questo meno abili in quello, benestanti, indigenti, con le loro facce diverse, le espressioni serie, i sorrisi, i pianti, i gusti, i vizi, i pregi e i difetti, le passioni, i sentimenti, gli ardori, le bugie, la mamma, il papà, le sorelle, i fratelli, i nonni, le zie, il passato, il presente, il futuro.
Il 2 Aprile è un momento di consapevolezza per tutti, un richiamo a quel senso di comunità e solidarietà reciproca che stiamo pericolosamente smarrendo su di una via che rischia di essere senza ritorno. Con o senza autismo.
Autism - Flickr
Una Giornata per sensibilizzare la società sul tema dell'autismo
Si celebra come ogni anno il 2 aprile. Il neuropsichiatra Valeri sottolinea l’importanza di un “approccio terapeutico personalizzato e integrato”