Le reliquie di Santa Croce in Gerusalemme possono essere considerate un autentico trattato di teologia della salvezza. Un primo reliquiario contiene un frammento della grotta di Betlemme dove Gesù venne alla luce. Questa reliquia, qui inserita in modo più che opportuno, ci fa meditare non solo sul mistero dell’incarnazione, ma anche sul suo fine: il Verbo si è fatto carne per la nostra salvezza, realizzata attraverso l’altro mistero, quello della morte e resurrezione. Quella della grotta di Betlemme ci ricorda l’umiltà di Cristo, come anche un’altra reliquia presente in Santa Croce costituita da due spine della corona che fu messa sul capo del Signore. Come si evince dalle pericopi evangeliche, Gesù è, sì, un re, ma non secondo le categorie del mondo. La sua regalità è espressa dalla terza reliquia che prendiamo in considerazione: il titolo. Si tratta della tavoletta di legno posta sul capo di Gesù, sul quale era scritto il motivo della condanna: “Gesù Nazareno re dei Giudei”. Il vangelo di Giovanni ci informa che questa scritta era presente in tre lingue ebraico (ישוע הנוצרי ומלך היהודים), greco (Ἰησοῦς ὁ Ναζωραῖος ὁ Bασιλεὺς τῶν Ἰουδαίω) e latino (Iesus Nazarenus Rex Iudeormum). Se facciamo l’acronimo di ognuna delle scritte, cioè se prendiamo le prime lettere di ogni parola, avremo il ben noto INRI (latino), poi INBI (greco) e infine יהוה (ebraico). Se analizziamo l’ultimo acronimo, cioè quello in ebraico, possiamo osservare che le quattro lettere formano il Sacro Tetragramma, cioè il nome che Dio ha rivelato a Mosè nell’episodio del roveto ardente. Questo Tetragramma viene traslitterato in italiano YHWH e tradotto con l’espressione “Io sono”. Alla luce di ciò diventano comprensibili le parole che Gesù pronuncia nell’ottavo capitolo del vangelo di Giovanni: “Quando avrete innalzato il Figlio dell’Uomo allora riconoscerete che Io Sono (=YHWH)”. Nell’evento della croce si manifesta la paradossale divinità del Dio cristiano. La quarta reliquia della quale vogliamo parlare è il chiodo della croce. Se consideriamo che gli altri due chiodi sono stati fusi per realizzare il Sacro Morso, che si venera a Milano, e la Corona Ferrea, custodita a Monza, questo è l’unico che presenta ancora la forma originale. Oggi non possiamo più vedere la croce nella sua interezza, perché essa fu ridotta in tanti piccoli pezzi, che oggi sono sparsi un po’ per ogni dove. Il bel reliquiario presente in Santa Croce ne contiene tre. È invece ben visibile patibolo (cioè il palo orizzontale della croce) del buon ladrone. Questo oggetto ci sta ad indicare la misericordia di Gesù Cristo che ha offerto il paradiso al peccatore pentito. Esso presenta un foro al centro, che serviva ad innestare il palo orizzontale su quello verticale, già piantato nel luogo dell’esecuzione. Non presenta fori laddove dovrebbero essere stesi le mani e i polsi e questo ci può fare intuire che i ladroni furono appesi alle croci con delle corde. L’ultima reliquia ci parla della vittoria di Cristo sulla morte. Parliamo infatti del dito di San Tommaso che l’apostolo avrebbe messo nelle piaghe del Signore, constatando la veridicità della sua resurrezione, anche se di tale atto nulla si dice nel vangelo di Giovanni. Infatti, l’apostolo, colto dallo stupore, esclamò a gran voce: “Mio Signore e Mio Dio!”. *** Fonte: L'Ancora online