Lungo il Tempo di Pasqua, che ogni anno accompagna il cammino della Chiesa, con una luce e con una grazia particolari, facciamo nostra la domanda sgorgata dal cuore dei discepoli: “Signore, insegnaci a pregare!”. Insegnaci a penetrare il mistero della preghiera, ridotta spesso a un lumicino flebile; alla cenerentola delle “cose da fare” o a una caricatura -pesante e ingombrante – di se stessa.
“Insegnaci a pregare”: basterebbe la prima parola, sgorgata dal Cuore di Cristo – Padre! – per fermarci a meditare e ad adorare la paternità di Dio, come fece San Francesco, rapito in estasi, per una notte intera, al solo pensiero che Dio gli era Padre. Dio è Padre, infinitamente Padre; Padre buono, santo, amabile, fonte di ogni paternità e maternità, di ogni dolcezza e bellezza. Dio è Padre, che in Gesù si compiace di usare misericordia verso i peccatori. Dio è Padre, che realizza la sua onnipotenza perdonando i suoi figli, mostrandosi misericordioso con loro. “Insegnaci a pregare!”, gli chiediamo. Come hai insegnato a tua Madre a essere preghiera viva, immagine per tutte le generazioni della Chiesa orante, Vergine e Madre, non posseduta da alcuno se non dal suo Dio e feconda di figli e di grazie, a beneficio dei suoi stessi figli. Madre che intercede incessantemente per noi, che ci ama e mai ci abbandona. Madre che nell’eternità “prega e ama, ama e prega”: per noi.
Insegnaci a darti il nostro preziosissimo tempo gratuitamente, senza calcoli di convenienza o di tornaconto; senza voler altro che rimanere con Te. Scoprendo che il tempo donato a Dio si moltiplica, si rigenera, si estende oltre l’immaginario. Il Vangelo dice: “ne scelse dodici, perché stessero con Lui” (Mc 3,15): è la prima condizione del discepolo; restare con il Signore, rimanergli accanto. Li scelse perché ne divenissero famigliari, condividendo con Lui la strada, la folla, la fatica, il caldo, la sete: la gloria del successo e la derisione, fino allo scandalo della Croce e alla fuga, fino al ritorno sui propri passi, per rimanere poi con Lui per sempre – nel dono della sua Parola, del Pane spezzato della Eucaristia e nella comunione della carità fraterna – perché così promise loro Gesù, prima di salire al Padre.
“Insegnaci a pregare”: come lo hai insegnato ai Santi, ai tuoi amici prediletti, che in ogni epoca hanno sparso il “buon odore di Cristo” nel mondo. “Insegnaci a pregare”: cioè ad amare; cioè “a vivere da Risorti”, dentro un mondo che celebra la morte come una conquista sociale; che invece di promuovere la Vita e la Famiglia intende affossarle per sempre; che deplora il male, mette alla gogna chi ha sbagliato e poi insegna a fare di peggio. Basta scorrere qualche “agenzia informativa” quotidiana: dove non c’è misericordia verso il “peccatore”, salvo poi esaltare sesso, unioni gay, uteri in affitto e via via tutto il “campionario” odierno, che ben conosciamo. Ci bombardano senza pietà, dalla mattina alla sera, perché devono passare per forza leggi e decreti che condizioneranno le generazioni future, che diverranno la “mentalità comune”, come è accaduto con il divorzio, con l’aborto, con la manipolazione genetica.
Il 9 febbraio ricorreva l’anniversario di un “omicidio di stato”: quello di Eluana Englaro, letteralmente fatta morire di fame e di sete, per il folle proposito di accelerare il processo di approvazione della “dolce morte”. Che di dolce non ha nulla, se non l’amarissima responsabilità di chi ha voluto e di chi ha permesso questo omicidio, ormai dimenticato o ricordato addirittura capovolgendo i termini della questione. Un esempio analogo, ma dall’esito opposto: la sorella di un grande giocatore di calcio. Anche lei, come Eluana: inespressiva, assente. Solo alla madre – lei stessa ce lo confidò – stringeva la mano, quando gliela prendeva. Era il suo modo di comunicare, di dirle: ci sono e ti voglio bene.
Non è la pietà che ci muove a togliere di mezzo l’infermo, il malato, l’anziano: è semplicemente l’incapacità di uscire dalla propria misura, dai propri criteri, di accogliere – qui, sì – il “diverso”, chi con la sua povertà e infermità mi ricorda quello che sono io, mi ricorda la mia infermità.
Nel centenario delle Apparizioni dell’Angelo, a Fatima, in questo Anno della Misericordia, non siamo solo “fruitori di indulgenze” e di grazie: siamo collaboratori di Dio, associati a Lui, a Maria Santissima, ai Santi, alla Chiesa per immettere nel mondo un torrente di amore, dove sembra trionfare il vuoto, il nulla, l’insignificanza della vita. I “segni dei tempi”, i segni del nostro tempo, sono le grandi sfide che ci attendono, in campo morale e sociale; sono le inesauribili manifestazioni (ordinarie e straordinarie) della carità di Dio verso di noi; ma sono anche la nostra partecipazione viva, fedele, filiale alla logica di Dio, che capovolge i criteri del mondo.
Insegnaci a pregare: a essere, cioè, promotori di Misericordia, là dove viviamo, ogni giorno.
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Ripartire dal Cielo
“Signore, insegnaci a pregare”: è l’invocazione che dobbiamo fare nostra, specie in Tempo di Pasqua