“La tristezza durerà per sempre”. Sembra che fu questo l’ultimo pensiero, a forti tinte amare, che il celebre pittore olandese Vincent Van Gogh lasciò scritto su un bigliettino prima di suicidarsi, il 29 luglio 1890. Nei decenni successivi alcuni esimi psichiatri hanno studiato la personalità complessa dell’artista, rilevando che soffrisse di diversi disturbi mentali, su tutti la sindrome bipolare.
Un depresso, dunque, affetto a tal punto da decidere di togliersi la vita, concludendo nel modo più mesto la sua eccezionale parabola artistica. Ma all’epoca in pochi, forse, si sarebbero aspettati che se Van Gogh fosse vissuto in Olanda oltre un secolo dopo, avrebbe potuto accedere alla “dolce morte” semplicemente compilando un modulo in ospedale.
Lo spiega la Jama Psychiatry, una delle più autorevoli riviste sulla salute mentale, che ha pubblicato nel febbraio scorso un estratto nel quale si evidenzia che “l’eutanasia e il suicidio assistito dei pazienti psichiatrici è in aumento in alcune giurisdizioni, come il Belgio e l’Olanda”.
Da un’indagine si evince che dal 2011 al 2014, su 66 casi di eutanasia analizzati dagli esperti della Jama, 36 (il 55% del totale) sono avvenuti a causa di “disturbi depressivi” dei pazienti. È stato inoltre registrato che in 7 casi (l’11% del totale) non c’è stata alcuna consultazione con altri medici prima di procedere con l’eutanasia e che in 16 casi (24% del totale) si è proceduto malgrado non vi fosse parere unanime da parte di diversi esperti del campo della psichiatria.
Gli autori dello studio hanno sottolineato infine come la maggior parte delle persone che si sottopongono ad eutanasia siano donne di diverse età, con alle spalle storie complesse segnate da disturbi di carattere mentale. Questo avviene in Olanda, così come nel confinante Belgio.
La memoria corre all’estate scorsa. Laura, una ragazza belga di 24 anni, ha chiesto e ottenuto nel suo Paese il “diritto” di sottoporsi all’eutanasia soltanto perché – affermava – “la vita non fa per me”. Affetta da depressione da molto tempo, Laura era in cura da un gruppo di psichiatri e viveva all’interno di una struttura sanitaria.
La giovane è una delle circa 50 persone che ogni anno in Belgio si sottopongono alla “dolce morte” per problemi legati a una sofferenza psichica. Il prof. Wim Distelmans, presidente della Commissione belga di controllo dell’Eutanasia, stima che si tratta del 3% dei pazienti che affrontano il suicidio assistito.
Il caso di Laura, per via della sua giovane età, ha acceso un dibattito in Belgio e nei Paesi Bassi. E ha portato alla luce una denuncia del Journal of medical ethics, firmata da Raphaël Cohen-Almagor, docente dell’Università di Hull, in Inghilterra. Egli accusa i medici belgi di scegliere “la dolce morte” in assenza di “una volontà esplicita del paziente”. Secondo Cohen-Almagor si tratta di un migliaio di casi di eutanasia registrati in Belgio, di qui la denuncia del fatto che “nessuna commissione se n’è occupata”.
Il fenomeno è in aumento anche Oltreoceano. Nel 2013 il New England Journal of Medicine pubblicò i risultati di un programma di suicidio assistito – “Death for Dignity Program” – in un Centro di Seattle per malati di cancro. Da essi emerse che il 97,2% dei pazienti malati di cancro che chiedono l’eutanasia lo fanno per perdita di autonomia, l’88,9% per incapacità di prendere parte ad attività e il 75% per la perdita di dignità. Cause, dunque, che sono prettamente di tipo psicologico-sociale.
In Olanda nel 2012 è persino sorto un istituto, la Levenseindekliniek (Clinica di fine vita), che si prefigge di semplificare l’accesso alla pratica per quei pazienti a cui i propri medici hanno rifiutato di accordare l’eutanasia in quanto la loro malattia non è stata giudicata terminale. Pazienti che in molti casi hanno il desiderio di morire perché condividono il cupo afflato del loro connazionale Van Gogh: “La tristezza durerà per sempre”.
Paint of Vincent Van Gogh - Wikimedia Commons
Eutanasia per depressi: aumentano i casi nel mondo
La prestigiosa rivista “Jama Psychiatry” lancia l’allarme: in Belgio e Olanda il 55% dei suicidi assistiti avviene per “disturbi depressivi” dei pazienti