La mia prima reazione alla notizia delle stragi di Bruxelles è stata l’esigenza di pregare: l’ho fatto per le vittime e i loro cari, per il Belgio e l’Europa ferita al cuore, per i giovani attentatori e i loro cattivi maestri. Se per chi è stato strappato così crudelmente alla vita ho chiesto a Dio l’abbraccio del Suo amore misericordioso e per chi li ha amati la forza di sentirli ancora vicini in Lui, uniti in una prossimità più forte della morte, per tutti noi europei ho domandato il rifiuto di ogni retorica, che riempia la bocca di parole, lasciando vuoto il cuore e arida la riflessione: non mi sembra che basti condannare quel che è avvenuto e continuare poi ad agire in ordine sparso, senza una comune identità spirituale e una visione alta davanti ai drammi cui il nostro presente ci sta abituando.
Un’Europa che stigmatizzi la violenza, che dichiari cieca follia l’odio che anima le orde assassine del Califfato, tanto lontane dal Dio che pure osano invocare, quanto assetate di sangue innocente, non può essere la stessa Europa che chiude le porte ai rifugiati e tollera – per fare un solo, tragico esempio – la scandalosa situazione di Idoumeni, dove alle porte chiuse della Macedonia migliaia e migliaia di persone in fuga dalla distruzione e dalla morte restano in attesa disperata di poter raggiungere i loro cari già emigrati nei Paesi del Vecchio Continente o di poter inseguire il sogno di un domani diverso, degno della persona umana.
Le soluzioni che davanti a questo dramma giocano con gli esseri umani come fossero dadi – tanti dentro, tanti fuori – non sono degne di Nazioni che hanno nella libertà di tutti, nella giustizia per tutti e nella democrazia la loro bandiera identitaria. Gli eventi drammatici di Bruxelles sono un ulteriore campanello di allarme su ciò che non ha funzionato e non funziona nella nostra casa comune europea: accoglienza e integrazione non devono essere dissociate; accogliere forza lavoro utile alla propria economia e ghettizzare i lavoratori immigrati non è degno di chi riconosce come padri fondatori figure dello spessore di Alcide De Gasperi. Konrad Adenauer e Robert Schuman. Un esame di coscienza serio, profondo e articolato, che muova dai sogni e dalle speranze di chi nell’immediato dopoguerra cominciò a lavorare per la nuova Europa, è urgente e necessario.
Ho pregato anche per gli attentatori: certo, nulla può giustificare il loro attacco criminale, la vigliaccheria di colpire nel mucchio, la brutalità di chi ammazza a sangue freddo esseri umani capitati nel posto sbagliato al momento sbagliato. Dobbiamo però chiederci come giovani nati e cresciuti nella nostra civiltà europea abbiano potuto giungere a un tale grado di cecità e di disperata e lucida follia omicida: e qui, se da una parte ritorna l’urgenza di riflettere sull’integrazione fallita, dall’altra urge individuare i “cattivi maestri”, che hanno fatto della religione un’ideologia di morte e dei sogni di ragazzi e giovani un campo minato dall’odio fondamentalista.
Un appello si leva dal sangue delle vittime di Bruxelles oggi, come da quello di tutti gli altri morti ammazzati dalla violenza terrorista: si fermi che semina odio, da qualunque parte si trovi; apra gli occhi e si penta chi crede di potersi appellare al Dio di tutti per invocare o giustificare la violenza sugli altri e la morte propria e altrui. Il paradiso non è per chi bestemmia Dio uccidendo in nome di Dio: fede e ragione non possono opporsi nel promuovere il rifiuto della violenza e il rispetto della dignità di tutto l’uomo in ogni uomo.
Lo aveva ricordato Papa Benedetto XVI nel famoso e fin troppo incompreso discorso di Ratisbona del 12 settembre 2006: “Dio non si compiace del sangue – aveva affermato Joseph Ratzinger citando le controversie medioevali dell’imperatore Manuele II Paleologo -: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio. La fede è frutto dell’anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia… Per convincere un’anima ragionevole non è necessario disporre né del proprio braccio, né di strumenti per colpire né di qualunque altro mezzo con cui si possa minacciare una persona di morte”. Su questa convinzione è necessario che converga il consenso di tutti, musulmani e cristiani, e che essa sia alla base del rispetto convinto di ogni persona, da parte di credenti e non credenti.
Il Papa tedesco metteva in guardia dai rischi che altrimenti si sarebbero corsi da parte di tutti, quei rischi che oggi vediamo tragicamente realizzati nella follia omicida esplosa a Bruxelles, come prima in Francia e in altri luoghi: “L’occidente, da molto tempo, è minacciato da questa avversione contro gli interrogativi fondamentali della sua ragione, e così potrebbe subire solo un grande danno. Il coraggio di aprirsi all’ampiezza della ragione, non il rifiuto della sua grandezza – è questo il programma con cui una teologia impegnata… entra nella disputa del tempo presente. ‘Non agire secondo ragione, non agire con il logos, è contrario alla natura di Dio’, ha detto Manuele II, partendo dalla sua immagine cristiana di Dio, all’interlocutore persiano. È a questo grande logos, a questa vastità della ragione, che invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori”.
L’invito va oggi più che mai accolto e rilanciato con appassionata convinzione, nella certezza che a nessuno sarà lecito sottrarsi ad esso, pena lo spazio lasciato ai cattivi maestri e al fiume di sangue che dalle loro parole continua a scorrere attraverso la lucida follia di giovani privati della loro stessa umanità. Le stragi di Bruxelles mi hanno spinto a pregare con ancora maggiore convinzione perché l’appello lanciato da Papa Benedetto a Ratisbona sia finalmente compreso e accolto da tutti.
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L’Europa ferita e il suo domani. Vincere insieme l’odio. Non basta condannare
Una riflessione dell’arcivescovo di Chieti-Vasto su ‘Il Sole 24 Ore’ sugli attentati di Bruxelles