“Oggi per i migranti tante porte e tanti cuori sono chiusi: essi soffrono all’aria, senza cibo, e non possono entrare. Non sentono l’accoglienza”.
Papa Francesco l’ha detto in piazza san Pietro, all’udienza generale del mercoledì, mentre le agenzie di stampa rilanciavano le notizie dei muri, fisici e militari, che anche l’Europa – un tempo civile e felix – alza ai suoi confini illudendosi di fermare così, con i soldati e rotoli di filo spinato, la marea di disperazione e paura che dalle terre lontane d’Oriente e d’Africa sale verso il Vecchio Continente alla ricerca di lidi di salvezza.
Parole, quelle del Pontefice, che rimettono al centro dell’attenzione il tema dell’accoglienza, sul quale per molti aspetti vive anche l’odierna Domenica delle Palme, nella quale la cristianità ricorda il Gesù che entra a Gerusalemme seduto su un’asina, osannato dalla folla che, stesi a terra i mantelli e tagliati rami dagli alberi, lo saluta festosa gridando: Osanna al figlio di David!
Quanto sia rimasto ai giorni nostri dello spirito di apertura al prossimo è davanti agli occhi di tutti: poco o niente. Il fenomeno delle migrazioni diventa sempre più semplice questione da “Bar dello sport”, strumento di una narrativa ansiogena che, alimentata da spezzoni consistenti della politica e dei media, rinfocola le ansie della popolazione nei confronti della globalizzazione, riducendo di riflesso lo spazio per politiche di integrazione.
La Chiesa deve essere pronta ad accogliere il Cristo che entra e tutti coloro che sono seduti alla mensa di una casa con tutte le diversità. Per questo essa, a prescindere dalle scelte dei governi, s’è doverosamente schierata dalla parte dell’accoglienza, pur sapendo che questa per sua natura comporta delle difficoltà.
Ma ciò soltanto non basta ad arginare la replica di un racconto che fa dello straniero un’entità astratta, molto più minacciosa quando entra nelle case attraverso il tubo catodico e che invece, nella quotidianità, può diventare relazione quando è persona della porta accanto.
Insieme alla gestione dell’emergenza, allora, un’altra sfida è quanto mai necessaria: cambiare l’approccio culturale.
Anche perché i capisaldi della tesi della chiusura sono falsi, ma così ben costruiti da sembrare veri.
Qualche esempio: ogni mille abitanti ci sono 232 rifugiati in Libano, 87 in Giordania, 9 in Svezia. In Italia solo 2. Ancora: “gli immigrati sottraggono ricchezza”, si è soliti ripetere.
Ma con i 5 miliardi di contributi versati dagli stranieri l’Inps paga le pensioni di 600.000 italiani.
E poi: qui da noi arrivano poveri e criminali, si sostiene.
Al contrario, a tentare i viaggi della fortuna sono laureati e lavoratori qualificati, gli unici che possano permettersi risorse economiche tali da poter affrontare viaggi resi costosi dalle pretese dei mercanti di uomini.
Mutare la percezione del fenomeno, dunque, è essenziale: in un’epoca in cui i movimenti di persone sono già diventati fluidi e veloci, come quelli dei capitali, è fallace, oltre che controproducente, opporre le armi alla società plurale che già è realtà.
È invece intelligente, e perciò da perseguire, l’accurata predisposizione di un sistema di accoglienza ben regolato, ancorato ad una salda legalità. «A me piace tanto sentire le nazioni, i governanti, che aprono il cuore ed aprono le porte», ha sottolineato il Santo Padre, sollecitando misure concrete da parte della comunità degli Stati.
Il mondo ha applaudito, prima di tornare a voltarsi dall’altra parte, come fecero sul Calvario quanti prima erano accorsi ad osannare il Messia alle porte di Gerusalemme.
Senza il coraggio della fede autentica nulla sarà mai possibile: per dirla con Gandhi, «credere in qualcosa e non viverla, è disonestà». Nulla più.
(L’editoriale dell’arcivescovo di Catanzaro-Squillace è stato pubblicato anche sulla “Gazzetta del Sud” di oggi).
Aprite le porte
Accogli e sarai accolto. L’accoglienza è civile, umana e fa crescere tutti