Al Teatro Argentina un Candido scomodo e dissacrante

Il classico volterriano rivisitato da Mark Ravenhill fa a pezzi i miti dell’occidente contemporaneo e denuncia il dramma della precarietà giovanile

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In prima nazionale, al Teatro Argentina di Roma va in scena una versione contemporanea e turbolenta del Candide, per la penna “furiosa” dell’inglese Mark Ravenhill, tra i nuovi avanguardisti “arrabbiati”.

A portarlo in scena presso il tempio romano della prosa è Fabrizio Arcuri, che ne ha mantenuto il carattere originario, con un’attenzione meticolosa alle scenografie originali e maestose. Nel numeroso cast si annoverano: la bravissima Lucia Mascino – famosa per la mini-serie Una Mamma Imperfetta su RaiDue – il talentuoso e sexy Filippo Nigro – Nastro d’Argento come miglior attore non protagonista in La Finestra di Fronte – la pluripremiata Francesca Mazza, Francesco Villano, popolare nel teatro danza e Matteo Angius, commediografo e attore. Degni di nota anche i più giovani: Domenico Florio, l’ex ginnasta Federica Zacchia – valentissima nei panni della disturbata Sophie – Giuseppe Scoditti, Lorenzo Frediani, Francesca Zerilli.  Con la partecipazione di Luciano Virgilio, attore teatrale e cinematografico di lungo corso, reduce dal successo di Aspettando Godot al Parioli di Roma, per la regia di Maurizio Scaparro.

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Quasi tutti, nel corso dei cinque atti, si calano in più ruoli, mutando forma, epoca e talvolta, anche genere: dal farsesco al contemporaneo, onirico e infine futurista. Come Lucia Maschino che interpreta dapprima il commediografo settecentesco, con tanto di parruccone, poi la fidanzata frivola del padre, la naif di Eldorado, una pedante psicoterapeuta del terzo millennio e alla fine l’infermiera post-futuristica di un universo surreale. Tutte e cinque le performance sono uniche e slegate, così come il linguaggio e le ambientazioni: è questo lo stile straniante di Ravenhill, non solo drammaturgo, ma anche attore, e redattore culturale per The Guardian.
Tante le ambientazioni da lui concepite, dal mitico Eldorado alla strage familiare – immortalata con tanto di video su youtube, in linea con la tradizione web 2.0 – alla clinica dell’ottimismo in stile Spa: indubbia è la sua creatività, velata di tragico, voyeuristico e paradossale. Il tutto architettato per sconfessare il mito del Candido e dell’ottimismo incorruttibile, che ci impone di essere soddisfatti di vivere “nel migliore dei mondi possibile”. E di certo non è così per i più giovani, vittime di una precarietà esistenziale che coinvolge i vari ambiti della vita, dal lavoro ai sentimenti, all’ecosistema mondiale. Ed è appunto al loro fianco, che si schiera Mark Ravenhill e anche Fabrizio Arcuri, fedele al testo nella messinscena, dove enfatizza il pathos e la violenza visiva, soprattutto nel II e III atto, affreschi contemporanei del disorientamento generazionale.
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È forte e chiaro il messaggio del fallimento degli ideali positivisti della Vecchia Europa, logorata dall’inseguire Candido – e l’utopia di pace e benessere che incarna – alla fine quasi cadavere, raffigurata nell’atto di dare un ultimo e sospirato bacio al fautore dell’ottimismo insensato, sempre incantevole e immortale. Basterebbe, in effetti, solo guardarsi intorno per verificare i danni di un certo positivismo capitalista e individualista, di matrice nordamericana, a dispetto di un mondo sempre più fiaccato e impoverito da guerre, povertà, flussi migratori, scarsità di risorse e inquinamento record. E non dovrebbe servirci il Candido, magnifica allegoria di Voltaire, riadattata dal commediografo inglese 40enne ad aprirci gli occhi sulla necessità di risvegliare lo spirito critico, soprattutto tra i giovani, ammansito dalla tv spazzatura e una sottocultura di plastica patinata. E lo spiega, anche, il regista Arcuri: “È un pamphlet filosofico che ci permette di riflettere su alcuni capisaldi del pensiero occidentale a cominciare dall’idea di democrazia. Una riflessione che tocca l’individuo contemporaneo, prendendo di mira l’ottimismo diffuso, la sua illusione che poi le cose andranno meglio. E intanto ognuno si cura solo il proprio orticello”.
Uno spettacolo meta-teatrale e spiazzante: non mancano i colpi di scena e gli stravolgimenti extratemporali ed emozionali. Di non facile fruizione è sicuramente ad alto impatto emotivo e visivo. Notevole e ben riuscito – merito di Arcuri  – è il parallelismo tra il Candido di allora e quello del 2000, con la rappresentazione del delitto perfetto, degno di un regista di thriller consumato. Eccezionale è la performance della violinista e compositrice H.E.R, che dal vivo esegue e arrangia brani moderni e rock, come la popolarissima Seven Nation Army degli White Strips.
Consigliato, dunque, a chi vuole guardare la realtà da una prospettiva veritiera, squarciando l’ipocrita velo di Aracnee. Ed è proprio questo il grande merito della pièce e degli scrittori “arrabbiati” – tutti figli della generazione Erasmus – mostrare il peggiore dei mondi possibili: il nostro. E in tal senso, all’Argentina, l’esperimento è riuscito.
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Al Teatro Argentina fino al 13 marzo
Candide
di Mark Ravenhill
ispirato a Voltaire
Traduzione: Pieraldo Girotto
Regia: Fabrizio Arcuri
Con Filippo Nigro, Lucia Mascino, Francesca Mazza, Francesca Villano e Matteo Angius, Federica Zacchia, Francesca Zerilli, Domenico Florio, Lorenzo Frediani, Giuseppe Scoditti e la partecipazione straordinaria di Luciano Virgili
Musiche composte, arrangiate ed eseguite dal vivo da H.e.r.
Scene: Andrea Simonetti, costumi Fabrizio Arcuri
Video: Luca Brinchi, Daniele Spanò – live visual Lorenzo Letizia
Assistente alla regia: Francesca Zerilli
Assistente ai costumi: Valeria Bernini
Produzione: Teatro di Roma
 
 
 

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Rita Ricci

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