Helga Cosolo è un ufficiale medico che ha operato in zone di guerra come Kosovo, Afghanistan e Iraq. “Essere medico – spiega in una intervista esclusiva a ZENIT – significa essere chiamata all’amore nella dimensione del servizio. Ci spezziamo come il pane dell’Eucarestia… Se non avessi scelto la medicina sarei stata monaca di clausura, perché la clausura consente la donazione totale de sé all’altro, che è amore e l’effetto dell’amore è Dio”
La vocazione a curare ed aiutare gli altri si è rivelata in Helga già nell’infanzia. Lo racconta lei stessa: “Avevo appena 3 anni e già mi immaginavo come una persona che andava a curare le piaghe dei sofferenti in giro per il mondo”. A 7 anni ha chiesto a sua madre il permesso per partire con le suore francescane ad Alessandria d’Egitto in una missione dove si curano i bambini malati di lebbra.
Da giovane studentessa all’Università la Cattolica di Roma, ha utilizzato le vacanze per andare in missione in Bosnia, Tanzania, Brasile. Da medico chirurgo, poi, si è arruolata nelle forze armate. Ha iniziato con i Baschi azzurri, aviazione leggera esercito, e ha partecipato a tante missioni con gli elicotteri per il recupero di feriti, prestando le prime cure a pazienti in volo.
In Afghanistan, ha svolto il proprio lavoro all’interno della missione e anche all’esterno assistendo e operando le vittime dei combattimenti, i bambini e le donne della popolazione civile. “Ho prestato la mia opera andando in giro con un ecografo e facendo vedere alle donne il bambino nel pancione” ricorda.
Helga andava incontro a tutti coloro che avevano bisogno di cure, soprattutto donne e bambini. “Essere donna in quelle zone – spiega – suscita diffidenza e difficoltà nel rapporto con gli uomini”, mentre “è stato un grande vantaggio nei confronti delle altre donne che non hanno nessun tipo di inibizione a farsi visitare da un medico di sesso femminile”.
Il chirurgo è intervenuto anche nella zona di Herat in Afghanistan, conquistando grande fiducia tra la gente. Anche con le matriarche, cioè le prescelte dei capovillaggi. In questo modo la conoscenza medica, le visite diagnostiche, le cure ed i medicinali somministrati hanno rafforzato la fiducia reciproca e le relazioni umane, alimentando la cultura dell’incontro e l’attuazione di progetti di peace keeping.
Secondo l’ufficiale medico, “è difficile mantenere il cuore aperto di fronte alla crudeltà degli eventi bellici, ma è compito proprio della donna quello di rispondere con carità materna a tutti coloro che si trovano nel bisogno” Come si fa a non diventare duri di cuore d fronte alla sofferenza? “La sofferenza – risponde – accompagna tutti nella vita, e non si può reagire mettendo una corazza per diventare indifferenti, al contrario per me la sofferenza diventa partecipata e offerta”
“La sofferenza – aggiunge Cosolo – non mi indurisce il cuore, perché se così fosse non mi non potrei avvicinarmi all’Eucarestia. Da medico – sottolinea – non posso permettermi la freddezza del tecnico: sono un chirurgo che deve curare la malattia, ma nella patologia devo curare la persona”; per questo “devo consolare, incoraggiare, accarezzare, abbracciare, asciugare lacrime”.
Molte delle sofferenza che si cerca di curare vengono somatizzate. “Noi chirurghi – rivela Helga – viviamo intensamente l’esperienza del dolore. Soffriamo di dolori muscolari, cefalea, dolore ai piedi, artralgie, gastriti… Viviamo sulla nostra pelle tutto quello che condividiamo in maniera compassionevole con le persone che stiamo curando”.
“Non si può essere due persone”, afferma la donna. “Quando entro in sala operatorio entro nel mio ambiente naturale, come entrassi in un tabernacolo, come mettersi in adorazione… Prima di operare c’è il silenzio, l’isolamento in cui invoco lo Spirito Santo che con il cuore, la mente le mani, mi doni ispirazione, conoscenza, coscienza, anche laddove la normale razionalità non basta”.
Helga ha incontrato gente in punto di morte, “l’ultimo è deceduto dieci giorni fa”: “Un’esperienza dolorosissima”, racconta, “si accompagna la persona nel processo morte, si cerca di far vivere il passaggio a miglior vita nel modo più sereno possibile”.
Alla domanda su quale sia stata l’esperienza più dolorosa vissuta, la dottoressa mette da parte il suo spirito ‘guerriero’ e mostra il suo lato più propriamente femminile: “Lasciare a casa mio figlio di 4 anni a mezzo per andare in missione in Iraq”, dice.
“Come militare ho fatto un giuramento di fedeltà alla patria, ma come madre è durissimo non poter stare vicino al proprio bambino, soprattutto nei primi anni di vita. Solo l’altezza del compito e la fede mi hanno aiutato a superare il dolore della separazione per due mesi da mio figlio”.
Donna, madre, medico: porta la pace in zone di guerra
La storia di Helga Cosolo, ufficiale medico che cura, assiste e opera malati e moribondi in Kosovo, Afghanistan e Iraq. “L’esperienza più dolorosa? Lasciare a casa mio figlio di 4 anni”