Orvieto si prepara a commemorare una sua indimenticabile figlia, salita in Cielo troppo presto: Elisa Lardani morì il 28 febbraio 2015, all’età di 37 anni, all’ospedale Santa Maria della Stella, per un’emorragia improvvisa, al momento di dare alla luce la sua quarta figlia Maddalena. A un anno dalla sua morte si terrà il primo convegno Corpo dato per amore, promosso dall’associazione omonima, fondata in memoria di Elisa.
Alla vigilia dell’evento, ZENIT ha raccolto la testimonianza di Luca Marchi, marito di Elisa. Ne è emerso il ritratto di una donna piena di vita e di fede, capace di rendere straordinaria la quotidianità non solo dei suoi familiari o amici ma di ogni persona che incontrava.
Luca, ci vuoi raccontare come avvenne il tuo primo incontro con Elisa?
Ci conoscemmo che eravamo due “papaboys” diciannovenni alla GMG di Parigi del 1997 ma non fu un colpo di fulmine. La cosa bella del nostro rapporto è che noi abbiamo sempre parlato molto e ci siamo sempre confrontati su tutto. Fin dall’inizio, come amici, poi scoprendoci innamorati. Ci siamo fidanzati nel 2000, quando mi trasferii a Orvieto, dove spesso suonavo le percussioni con Alessandro, il fratello di Elisa. Ricordo che arrivai ad Orvieto un’Epifania ma in quel periodo Alessandro era parecchio impegnato nello studio. Trascorsi quindi più tempo da solo con Elisa, la quale, per l’occasione, mi mostrò la bellezza di quei luoghi. Frequentandoci in quei giorni, ci siamo visti sotto uno sguardo diverso. La “scintilla” avvenne durante la consacrazione di una sua amica, una suora di clausura.
Elisa stessa, prima di conoscerci, era rimasta per molti anni lontana dalla fede, per poi riscoprire il Signore e innamorarsene. Era profondamente innamorata di Gesù. Viveva questo suo amore come la salvezza che era entrata nella sua vita. Il percorso di discernimento di Elisa passò per la conoscenza di queste suore. Proprio in quel luogo, durante la consacrazione di questa suora, eravamo uno vicino all’altra e io le feci una carezza molto innocente. Molto tempo dopo, lei mi confidò di aver sentito un calore interiore. È da lì che è nato qualcosa: non fu subito un grande amore ma era destinato a crescere. Nel frattempo, io tornai a Roma e iniziai a lavorare. Lì iniziò il nostro fidanzamento che abbiamo sempre vissuto nella realtà del movimento carismatico. Nel 2001, con i frati francescani di Santa Maria degli Angeli, abbiamo iniziato a capire cos’era la chiamata al matrimonio e abbiamo iniziato a un fidanzamento vissuto nella castità e cercando di formarci leggendo il Catechismo della Chiesa Cattolica. Ci siamo sposati nel 2003 nella chiesa di San Giuseppe a Orvieto. Fu una cerimonia umile, con non più di 100 partecipanti, a differenza del funerale di Elisa, che fu invece un bagno di folla con oltre 2000 persone e il Duomo completamente pieno. Quando salii sull’altar maggiore per dire due parole di ringraziamento, rimasi colpito da questa folla enorme, giunta per una mamma morta nel dare alla luce la sua quarta figlia. Tutto il lavoro di apostolato che Elisa aveva svolto fino a quel momento, aveva pagato completamente. Lei era una donna che aspirava alla santità e su questo – come per qualunque cosa – non mollava mai.
Che sfide vi ha portato ad affrontare il vostro matrimonio?
Nel tempo abbiamo voluto vivere sempre più in profondità la nostra vocazione matrimoniale, anche se i primi anni del nostro matrimonio non sono stati semplici. Abbiamo avuto la grazia di diventare i responsabili della pastorale familiare della Diocesi di Orvieto-Todi. È stato un tempo in cui abbiamo potuto comprendere ed abbiamo cercato di far comprendere alle altre coppie, che bisogna essere formati per vivere il sacramento del matrimonio, così come i seminaristi ricevono una formazione – lunga anche molti anni – per esercitare efficacemente il ministero sacerdotale. In questa attività di pastorale matrimoniale, ci siamo confrontati con molte realtà presenti in tutta Italia: la Casa della Tenerezza di Perugia, con monsignor Carlo Rocchetta, il consultorio di Roma con Gigi Avanti, i frati francescani di Santa Maria degli Angeli. Poi abbiamo trovato la nostra dimensione ideale all’interno del Progetto Mistero Grande, assieme a monsignor Renzo Bonetti. È come se avessimo assaggiato un “vino buono”. Per noi quell’esperienza è stata fondamentale: stavamo vivendo una grossa crisi interiore e non riuscivamo a venirne fuori. Grazie ai percorsi offerti da Mistero Grande, abbiamo compreso a cosa eravamo chiamati. Abbiamo compreso che non erano stati semplicemente Luca ed Elisa ad essersi sposati ma che noi due eravamo divenuti “la sposa” e Cristo era lo Sposo: vivere il sacramento delle nozze in questa maniera, ti porta a livelli superiori di consapevolezza della bellezza dell’amore. Siamo quindi cresciuti, sia come singole persone che come coppia, sperimentando la nostra vocazione fino in fondo, fino al giorno in cui Elisa non ha reso la sua vita nelle mani dello Sposo.
C’è qualche episodio curioso che ti fa piacere ricordare?
Ce ne sono stati tanti ma mi viene in mente in particolare il nostro volontariato a contatto con i detenuti. Elisa lo ha fatto sempre con regolarità, anche in avanzato stato di gravidanza, con grande stupore di tutti. Dai carcerati andavamo ogni due settimane, recitavamo le Lodi con loro, animavamo la Messa, durante la quale mia moglie suonava la chitarra. La nostra porta di casa non è mai stata chiusa a nessuno, nemmeno a questi detenuti: tra loro c’erano ladri, prostitute, spacciatori, tossicodipendenti. Un giorno venne da noi un giovane, in carcere da 13 anni. Aveva un omicidio sulle spalle ma, in fondo, era buono d’animo. Giunto ad Orvieto per scontare la pena definitiva, venne poi avviato a un regime di semilibertà. Assieme a mio cognato gli trovammo un lavoro come apicoltore, che lo impegnava fino alle 6 del pomeriggio, poi fino alle 9 di sera era libero. In queste tre ore veniva spesso a trovarci, qualche volta recitava con noi la preghiera carismatica, oppure si fermava a vedere la TV. Ricordo una scena indimenticabile con lui tutto tatuato che guardava Kung Fu Panda assieme ai nostri due figli più grandi.
Elisa aveva anche una grande passione per la cucina. Erano molto gettonati i suoi “carciofi alla giudia”: in particolare monsignor Bonetti ne andava ghiotto. Anche in questo, come nel lavoro, lei sapeva rendere straordinario l’ordinario.
Con i suoi pazienti (Elisa aveva uno studio di psicoterapia) non parlava mai di questioni di fede: non voleva mettere nessuno nelle condizioni di sentirsi giudicato. Ricordo una donna che era giunta in terapia da Elisa con un matrimonio a pezzi: era arrivata addirittura ad odiare il marito e i tre figli. Grazie a mia moglie questa donna, che era atea, riuscì a salvare il suo matrimonio e anche a ritrovare la fede, come poi lei stessa ha raccontato. La psicoterapista di cui Elisa fu paziente, a un certo punto mise su uno studio associato con mia moglie, svolgendo anche delle ricerche insieme. Anche lei, a un certo momento, ha iniziato a nutrirsi della spiritualità di Elisa.
A mia moglie non piaceva mai stare “in prima linea” o apparire, era una persona molto discreta. Io sono più espansivo ma non è vero che quello che parla di più sia quello che fa la differenza. Lei mandava avanti me, ma “dietro le quinte” faceva un lavoro enorme.
Tu ed Elisa siete stati amici di Chiara Corbella e di suo marito, Enrico Petrillo. La vicenda di Elisa, oltretutto, è stata paragonata da alcuni a quella di Chiara …
Con Enrico siamo amici fin dall’adolescenza. Ci siamo conosciuti a 14 anni, a Roma, nella realtà della Comunità Maria e siamo cresciuti insieme finché io nel 2000 non mi sono trasferito a Orvieto. Enrico e Chiara sono stati il padrino e la madrina di battesimo della nostra terza figlia Maria. Anche se molti le hanno paragonate, Chiara ed Elisa hanno due storie molto diverse, Chiara ha fatto delle scelte coraggiosissime, portando avanti delle gravidanze difficili. Ricordo ancora la prima volta che Chiara ci comunicò la diagnosi di anancefalia totale di Maria Grazia Letizia: lei ed Enrico erano profondamente scossi, però non ebbero esitazione nel dirci che avrebbero tenuto la bambina. Io fui presente al momento della nascita di Maria Grazia Letizia. Ero fuori dalla sala operatoria, aspettavo Enrico che uscisse. Quando aspettavano Davide Giovanni, ci chiamarono, dicendo che dovevano fare la morfologica ed anche lui aveva delle gravi malformazioni: se ne partirono per Assisi a pregare perché erano turbati. Le nostre storie si sono intrecciate. Anche la morte di Chiara è stata per noi uno spartiacque, ci ha fatto affrontare la vita con occhi diversi. Sei consapevole che puoi morire giovane e riconsegnare la tua vita nelle mani del Creatore.
Un giorno mi hanno chiesto di testimoniare su Chiara: lei non era “straordinaria”, era una persona che si poteva incontrare ovunque. Come Elisa era bellissima, sia interiormente che esteriormente. Dai volti di entrambe traspariva una vera “essenza di donna”.
Quanto è difficile crescere quattro figli da solo?
Grazie a Dio, ci sono tante persone che ci aiutano e ci vogliono bene, dai miei suoceri, ai miei genitori, a tutte le famiglie di fratelli e sorelle nella fede che sono state e sono un grande sostegno. L’amico si vede nel momento del bisogno. Tante amicizie che noi avevamo coltivato, hanno mantenuto la loro promessa di amicizia. Non sono solo, quindi. Molti altri che vivono la mia stessa situazione, vivono una grande disperazione. Il dolore non te lo leva nessuno. Perdere la propria moglie a 37 anni è una voragine che ti porti dentro, però avere il sostegno di tante persone che ti vogliono bene, fa la differenza. Questa è la Chiesa e la nostra fede dovrebbe essere vissuta così. È quello che papa Francesco predica ogni giorno, in particolare nelle sue catechesi sulla famiglia. La difficoltà nel vivere è nel quotidiano. Ci sono stati, anche di recente, momenti straordinari: l’ultimo compleanno di Elisa – il primo con lei in Cielo – l’abbiamo festeggiato cantando e suonando. È la quotidianità, però, a fare la differenza: svegliarsi e abbracciare la propria croce, viverla fino in fondo. I figli sono capaci di darti tanto amore e tanta tenerezza, ti basta un loro sorriso. Maddalena ha un sorriso disarmante e bellissimo. È una bambina che ha sofferto molto, con un arresto cardiorespiratorio al momento del parto. Lei è un miracolo: è stata più di dieci minuti in anossia cerebrale, era stata partorita quasi morta, il rianimatore ha faticato molto per far ripartire il suo cuoricino. Maddalena ha avuto purtroppo dei problemi a livello cerebrale, con una risonanza complessa. A dieci mesi dalla sua nascita la neuropsichiatra l’ha passata in follow-up, cioè non ha più bisogno di fisioterapia, ha raggiunto il massimo del suo potenziale: gattona, sta in piedi, sorride, gioca con i fratelli. Che lei sia con noi è il più grande regalo che Elisa ha lasciato a me e agli altri figli. Temevo che i fratelli vedessero in Maddalena colei che aveva fatto perdere loro la madre. Invece per tutti è una gioia e deve rimanere una gioia. Il dolore di aver perso Elisa non ce lo leva nessuno ma c’è ancora tanta vita che va avanti.
Tra pochi giorni riprenderai a lavorare, dopo i dodici mesi di aspettativa, trascorsi dalla morte di Elisa. Con quale spirito affronterai questo nuovo periodo della tua vita?
Ho studiato quelli che, sulla carta, saranno i miei tempi, quando portare i bambini a scuola, per conciliare tutto con il mio lavoro in sala operatoria. Nel pomeriggio mi dedicherò ai miei figli, portando avanti lo sport, la musica, le amicizie che abbiamo. Sulla carta dovrebbe funzionare tutto, poi nella realtà ci sono gli imprevisti. Ogni figlio che nasce è una grande gioia ma anche una grande rivoluzione. Io dico sempre che il primo figlio è la rivoluzione per eccellenza, soprattutto per noi maschi: perdi il primato dell’essere l’unico amato della sposa. Le attenzioni della mamma sono parecchio rivolte ai figli. Già lì inizi a contrattare la tua vita e diventi padre. Genitori non si nasce, si diventa. Spesso sono proprio i bambini che ti insegnano a diventarlo, perché ti perdonano tanti errori, ti insegnano la misericordia.
Lo scoutismo è stato l’ultimo regalo di mia moglie: l’ho fatto durante l’adolescenza e lei mi propose di tornare in quel mondo educativo. Quando i nostri figli sono diventati scout, mi disse che dovevo diventare un capo scout. Mi chiedevo dove avrei trovato il tempo ma lei mi disse: “per te lo scoutismo è vita, devi riscoprire il bambino che gioca dentro di te e giocare con questi ragazzi”. Oggi, quindi, per me, nonostante la fatica ed i tempi sempre ‘di corsa’, pensare di lasciare gli scout sarebbe una grande sofferenza.
Io credo davvero di aver riconsegnato mia moglie nelle mani dello Sposo Gesù al massimo suo potenziale. Questo mi consola molto. Anche l’esperienza di Chiara ci ha preparati all’eventualità di salutarci presto. Avevamo la consapevolezza che eravamo stati affidati l’uno all’altra per diventare quell’uomo e quella donna che Dio sogna, per arrivare ad essere e risplendere di quella “bellezza” che Dio desidera per ciascuno di noi. Con Elisa abbiamo cercato di realizzare questo, mettendoci in gioco completamente. Come Gesù nella Pasqua abbiamo desiderato di “amare sino alla fine”.
Elisa Lardani: una donna che ha amato fino alla fine
A un anno dalla scomparsa, il ricordo del marito Luca: “Come madre e sposa sapeva rendere straordinario ogni momento della nostra vita. Aspirava alla santità e, in questo, non mollava mai”