L’altra faccia dell’arte di strada

Che cosa si nasconde dietro la moda di dipingere i muri e i vagoni dei treni?

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I muri delle nostre città sono, sempre più spesso, rovinati da scritte e disegni di vario genere: dalle bestemmie agli insulti razzisti, dal tifo sportivo alla politica.
Non ci sono parole per commentare certi episodi. Sembra quasi che non riusciremo mai a liberarci di certe forme di vandalismo, che interessano anche il mondo giovanile.
A questa tendenza, sicuramente da condannare, se n’è aggiunta un’altra che ha caratteristiche simili: quella dei writers, ovvero, i giovani che dipingono sui muri della città o sui vagoni dei treni.
Apparentemente questo fenomeno non sembrerebbe essere diverso da quello di chi imbratta i muri con i soliti insulti. Ma se proviamo ad andare più a fondo, scopriremo che gli obiettivi sono diversi.
Tanti giovani hanno una grande sensibilità nei confronti dell’arte, che può esprimersi in vari modi: suonando in un complesso rock, inventando motivi rap, scrivendo poesie o dedicandosi al disegno e alla pittura.
Questo legame tra i ragazzi e la dimensione artistica è talmente forte che è difficile controllarlo. Può spingere a prendere perfino strade rischiose o discutibili, dal punto di vista etico.
Sempre più ragazzi, negli ultimi anni, hanno sentito il bisogno di esprimere le proprie potenzialità artistiche dipingendo sui muri o su qualunque altra superficie diversa da una normale tela.
Ciò accade soprattutto di notte. I giovani pittori solitari colpiscono con i loro gessetti colorati o bombolette spray. Poco dopo, terminata l’opera, scappano via.
La moda è stata chiamata street art (arte della strada). Da anni, ormai, c’è chi la analizza e la studia come una vera e propria corrente artistica, dedicandole interi libri.
Questo, agli occhi di qualcuno, potrebbe sembrare un’assurdità. Come è possibile mettere sullo stesso piano la pittura dei musei e quella che si vede per la strada? Non sono, forse, due mondi completamente diversi?
Eppure la street art sembra riscuotere sempre maggiore interesse. A volte capita di fare una passeggiata e di trovarsi di fronte a muri dipinti con immagini enormi. Lo stesso accade quando si fa un viaggio in treno. Dal finestrino si vedono facilmente le opere dei writers sui vagoni o sui muri delle stazioni.
Bisogna ammettere che, in molti casi, ci troviamo di fronte a disegni molto belli ed affascinanti.
Ma rimane, oggettivamente, inaccettabile questo modo di comportarsi. I writers saranno pure bravi. Ma rimangono sempre dei trasgressivi che si appropriano di spazi appartenenti ad altre persone o all’intera collettività.
Proviamo ad andare ancora più a fondo. Nel corso delle mie varie attività a contatto con i giovani, mi è capitato spesso d’affrontare l’argomento della street art. Ho voluto parlarne per cercare di riuscire a comprenderlo, sforzandomi di non fermarmi di fronte alla prima sensazione di rifiuto.
Mi sono chiesto: dove nasce questa irrefrenabile voglia di esprimersi? Perché così tanti ragazzi sentono il bisogno di dipingere su un muro, invece di usare una normalissima tela?
Una risposta a questa domanda mi è giunta, tempo fa, da un gruppo di giovani incontrati al termine di una mia conferenza. Alcuni di loro mi hanno confidato di aver praticato la street art, partendo da un ideale – a loro dire – positivo: il tentativo di realizzare la completa “liberazione dell’arte”.
Vi assicuro che mi sono sembrati in buona fede. Uno di loro mi ha spiegato che l’obiettivo dei writers sarebbe quello di “scarcerare” il quadro dalla “prigionia” dei musei e delle gallerie d’arte, per offrirlo gratuitamente a tutti.
Ovviamente non bisogna scadere nel buonismo ed utilizzare questa spiegazione per giustificare un fenomeno che rimane, comunque, inaccettabile. Ma possiamo riflettere sulle sue motivazioni che, da parte dei giovani, sono considerate addirittura nobilissime.
Nella mente di certi ragazzi la street art rappresenta la donazione completa della propria creatività agli altri, senza scopo di lucro. È spinta da un desiderio fortissimo di universalità. Il suo obiettivo, infatti, sarebbe quello di abbattere le barriere e di dialogare senza confini, attraverso un’opera in grado di raggiungere chiunque: ricchi e poveri, senza discriminazioni.
La speranza dei giovani di rendere l’arte più “pura” può essere interpretata come la comprensibile risposta ad un mercato che tende a commercializzare e spoetizzare tutto. Se guardiamo il fenomeno da questo punto di vista, possiamo capire che, a volte, dietro ad alcuni comportamenti discutibili delle nuove generazioni si possono nascondere ideali profondi.
 

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Carlo Climati

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