Cerniera fra le due Americhe, il Messico è, per prodotto interno lordo nominale, la quattordicesima economia mondiale (secondo dati del Fondo monetario internazionale), nonché il più popoloso paese di lingua spagnola.
Culla di importanti civiltà come Maya e Aztechi, nel 1521 è stato conquistato dagli Spagnoli, che imposero la religione cristiana. Dopo vent’anni di lotte autonomiste, ottenne l’indipendenza nel 1824, ma nei decenni successivi perse buona parte dei territori settentrionali a favore degli Stati Uniti, in seguito alla secessione del Texas e alla guerra messicano-americana, quando la bandiera a stelle e strisce sventolò temporaneamente sul palazzo presidenziale di Città del Messico.
Nella seconda metà dell’Ottocento il paese ha vissuto un periodo di grande sviluppo economico sotto la presidenza quasi quarantennale di Porfirio Diaz. L’arricchimento non ha però riguardato ampie fasce della popolazione, provocando un crescente malcontento sfociato poi nella rivoluzione del 1911 e nelle lotte fra le diverse anime rivoluzionarie per la conquista del potere. I conflitti terminarono nel 1917 con la sconfitta dei gruppi più estremisti, come quelli di Emiliano Zapata e Pancho Villa, e l’approvazione della nuova costituzione repubblicana, ancora in vigore attualmente.
Quello che papa Francesco si appresta a visitare è un paese profondamente cattolico. Il principale luogo di culto è il Santuario di Nostra Signora di Guadalupe sulla collina Tepeyac a Città del Messico. La Vergine di Guadalupe è considerata la santa patrona di tutti i popoli latinoamericani di lingua spagnola. Il santuario sarà ovviamente una delle tappe del viaggio di Bergoglio.
Il Messico ha però anche una forte impronta laica, presente nella stessa costituzione rivoluzionaria che prevede una netta separazione fra Stato e Chiesa. Negli anni Venti il governo varò una serie di misure anticlericali come la soppressione di ordini religiosi e la confisca di beni ecclesiastici, fino ad arrivare alla privazione, di fatto, dei diritti politici e civili per chiunque volesse praticare la religione cristiana.
Questi provvedimenti causarono la reazione del mondo cattolico che diede vita alla Lega nazionale per la libertà religiosa, sostenuta dall’Azione cattolica. La Lega organizzò numerose manifestazioni pacifiche di protesta, ma la reazione violenta delle forze governative portò alla nascita di gruppi armati, detti cristeros, che per anni organizzarono rivolte in tutto il paese. Il governo sedò nel sangue le ribellioni armate e la repressione finì per colpire anche diversi esponenti pacifici del movimento cattolico, poi beatificati dalla Chiesa come martiri nella seconda metà del Novecento. Nel 1929 si arrivò a un accordo che ristabiliva la libertà religiosa e abrogava i provvedimenti più estremisti.
Le idee della rivoluzione messicana trovarono un’espressione politica stabile con la nascita, nel 1929, del Partito rivoluzionario nazionale, ribattezzato Partito rivoluzionario istituzionale (Pri) nel 1946 e rimasto ininterrottamente al governo della repubblica federale presidenziale fino al 2000. Fondato sulla base dell’ideologia marxista e con il sogno di esportare in Messico il modello sovietico, il Pri ha abbandonato gradualmente le istanze più radicali e si è ormai attestato su posizioni di centrosinistra moderato. La lunga mancanza di alternanza politica ha causato, oltre i limiti della democrazia, fenomeni di accentramento di potere a livello nazionale e locale. Questo ha inoltre favorito la corruzione dilagante nella pubblica amministrazione.
E proprio la corruzione è uno dei pilastri su cui prosperano la produzione e il commercio di droga, un cancro che ormai da decenni affligge il Messico. Le bande di narcotrafficanti, grazie alla complicità delle autorità locali, controllano di fatto diverse aree del paese dove possono agire quasi indisturbate, eliminando senza scrupoli chiunque cerchi di opporsi. L’ultimo caso eclatante è quello di Gisela Mota, 33enne esponente del Partito della rivoluzione democratica (Prd, nato nel 1989 da una scissione a sinistra del Pri), uccisa lo scorso 3 gennaio da un gruppo di narcotrafficanti a poche ore dalla sua elezione a sindaco di Temixco, città dello Stato di Morelos ottantacinque chilometri a sud di Città del Messico. Cardine del suo programma elettorale era la lotta ai cartelli della droga. Secondo il Prd, nell’ultimo decennio sono stati uccisi ben cento sindaci e quasi tutti dai narcos.
Ma le vittime della criminalità organizzata non sono solo esponenti politici locali. È un caso ancora aperto quello dei 43 studenti di Ayotzinapa, nello Stato di Guerrero, scomparsi il 26 settembre 2014. I ragazzi facevano parte di un gruppo più ampio, recatosi nella città di Iguala per partecipare a una manifestazione contro la riforma dell’istruzione. Al termine dell’evento, stavano tornando a casa a bordo di alcuni pullman, ma il sindaco Josè Abarca, temendo (secondo la versione ufficiale delle autorità messicane) che si stessero dirigendo a un suo comizio per protestare, ordinò alla polizia locale e alla banda di narcotrafficanti Guerreros unidos di fermarli a ogni costo. Il sindaco e la moglie, complici dei cartelli della droga, sono stati ufficialmente riconosciuti come mandanti, ma i corpi dei 43 studenti non sono ancora stati ritrovati. Secondo la Dea, l’agenzia federale antidroga degli Stati Uniti, il vero movente di Abarca e dei narcos era recuperare carichi di droga nascosti nei pullman.
Durante il suo mandato, dal 2006 al 2012, il presidente Felipe Calderòn, del Partito di azione nazionale, principale formazione di centrodestra, ha avviato una massiccia campagna contro i trafficanti di droga, coinvolgendo esercito e forze dell’ordine. I morti complessivi, nei numerosi scontri armati, sono stati circa centomila e i risultati globali piuttosto deludenti.
La situazione non è migliore per quanto riguarda la libertà di stampa. “Il Messico – si legge in un’analisi di Reporter senza frontiere – è uno dei paesi più pericolosi del mondo per i giornalisti. Le minacce e gli omicidi per mano del crimine organizzato, incluse le autorità corrotte, sono all’ordine del giorno. Questo clima di paura, associato all’impunità diffusa, genera autocensura e compromette la libertà d’informazione”. Nello stesso documento si afferma che, negli ultimi dieci anni, 80 giornalisti sono stati uccisi e 17 sono scomparsi. Ultimo caso quello di Anabel Flores Salazar, 32ennne giornalista di cronaca nera del quotidiano El Sol di Orizaba, trovata morta in un’autostrada dello Stato del Puebla lo scorso 10 febbraio.
Dal punto di vista economico, il Messico è un paese in ascesa. Secondo una previsione della banca statunitense Goldman Sachs, avrebbe le potenzialità per arrivare a essere, nel 2050, addirittura la quinta economia mondiale. Come per la maggior parte del XX secolo, la principale fonte di ricchezza resta il petrolio ma crescono settori come turismo, telecomunicazioni, industria agroalimentare, manifatturiera, elettronica e automobilistica. Continua però a essere netta la disparità di ricchezza fra le diverse aree geografiche: se in alcune zone si raggiunge un tenore di vita paragonabile a quello dell’Europa occidentale, in molte altre i parametri scendono notevolmente fino ad arrivare ai livelli dell’Africa centrale più povera.
La speranza di milioni di messicani è che tutti questi problemi siano al centro della visita di Papa Francesco. Le parole del Santo Padre, che ha sempre riservato particolare attenzione ai poveri e agli oppressi in tutti i suoi viaggi internazionali, potrebbero essere un nuovo stimolo alle autorità locali per risolvere questioni che da troppo tempo affliggono una nazione così ricca dal punto di vista culturale e naturalistico.
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Messico: un paese in bilico tra crescita economica, narcotraffico e diseguaglianze
Un profilo storico, politico, sociale ed economico della terra che Papa Francesco si appresta a visitare