Mancano ormai poche ore allo storico incontro tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill di Mosca: un incontro che potrebbe segnare l’inizio di un avvicinamento tra le chiese d’Oriente e Occidente, separate dal 1054. I due leader religiosi si incontreranno nell’aeroporto internazionale dell’Avana, a Cuba, luogo neutrale che può quindi facilitare il dialogo. Al termine dell’incontro, sarà firmata una dichiarazione congiunta. Per comprendere la portata di questo evento senza precedenti nell’ultimo millennio, ZENIT ha intervistato l’arciprete Andrey Kórdochkin, rettore della parrocchia ortodossa russa di Santa Maria Maddalena a Madrid.
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Che valore ha l’imminente incontro di Papa Francesco con il patriarca Kirill?
Personalmente, credo che l’incontro che a breve vivremo è fondamentale per due aspetti. In primo luogo perché siamo in un paese tradizionalmente cattolico; il secondo è invece legato alla mia storia personale. Io per otto anni ho studiato Teologia nelle università della Gran Bretagna; di questi, cinque anni li ho trascorsi nelle comunità religiose cattoliche. Per quattro anni ho studiato infatti con i benedettini e uno con i gesuiti. Credo di essere, nel mondo ortodosso, tra i privilegiato che conoscono a fondo il mondo latino. Ricordo che, sin dagli anni ’90, si parlava di questo incontro che si terrà stasera. Sono perciò molto contento che effettivamente si realizzerà e che non è rimasta una cosa rimbalzata da un anno all’altro. Questo significa anche che siamo arrivati a un livello di dialogo con la Chiesa cattolica che è andato oltre anche le difficoltà del passato.
Quali sono queste difficoltà?
Per me, la causa fondamentale delle difficoltà tra le persone, inclusi gli affari religiosi, è sempre la mancanza di comunicazione, di trasparenza e di contatto diretto. In ogni caso, mi sembra che il punto più delicato delle relazioni tra Chiesa Ortodossa e Cattolica sia il tema degli uniati in Ucraina, che va complicandosi non solo nel paese est-europeo ma anche in Spagna e in altre comunità. Personalmente conosco diversi casi di sacerdote uniti che si presentano ai cattolici come cattolici e agli ortodossi come ortodossi. Dal momento che il rito è uguale, non sanno bene dove collocarsi. So, ad esempio, che la maggior parte delle persone che vanno alla comunità uniate del Buon Successo a Madrid, quando gli viene chiesto chi sono non dicono di essere cattolici di rito orientale, dicono che sono ortodossi. Il rituale è il medesimo e queste persone pensano di essere in una chiesa ortodossa. Ciò accade quando non si conosce la storia, ciò che accadde durante l’Unione di Brest del 1596, che fu un progetto politico e non un progetto liturgico.
Cosa si aspetta da questa riunione?
Già sono soddisfatto perché l’incontro di oggi significa che sono stati fatti passi avanti nel dialogo. L’incontro è sempre possibile quando entrambe le parti si sono preparate al dialogo. Non si tratta di uno che vuole dominare sull’altro, ma che tutti e due siano capaci di comunicare. Credo che tanto Papa Francesco quanto il nostro Patriarca Kirill siano in grado di dialogare. Il Patriarca conosce da decenni il mondo cattolico abbastanza bene, e viceversa per il Papa il mondo ortodosso non è così estraneo. Mi raccontavano che lui si recava spesso nella parrocchia del Patriarcato di Mosca a Buenos Aires, pregava nel tempio fermandosi anche per il pranzo. Spero quindi che l’incontro a Cuba non sarà qualcosa di formale, bensì una testimonianza al mondo di condivisione della fede nel nostro Signore Gesù Cristo, davanti alle difficoltà che stiamo vivendo. Siamo di fronte ad una nuova epoca fatti di persecuzioni e di sterminio dei cristiani in varie parti del mondo.
A tal proposito, sia il Pontefice che il Patriarca hanno espresso in più occasione la preoccupazione per la persecuzione dei cristiani in Medio Oriente. Sarà questo uno dei temi fondamentali della dichiarazione congiunta?
Credo che non parleranno seguendo un copione. Questa è la cosa positiva di questo incontro: si tratta di una comunicazione tra persone ‘vive’! Inoltre, credo che oltre a parlare della persecuzione cristiana in Medio Oriente, si affronterà anche il tema della situazione dei cristiani nel mondo occidentale davanti alla secolarizzazione, che oggi ha forme decisamente aggressive. Anche noi non possiamo dire di essere perseguitati, ma comunque andiamo incontro a pressioni. La nostra libertà per confessare la fede è sempre più limitata. Posso dire che c’è un vero e proprio conflitto tra il discorso secolare e il discorso religioso. Di cosa stiamo parlando quando ci riferiamo alla confessione di fede? Nella discussione laica si fa riferimento alla libertà di culto, una questione privata che ogni uomo e ogni donna ha libertà di esercitare. Per noi professare la nostra fede non è solo celebrare il culto. Per noi, il cristianesimo non il culto. Implica il culto, ma riguarda il modo di vivere la vita secondo la nostra fede e ciò in cui crediamo. Non vogliamo dominare gli altri, ma non vogliamo neanche sentirci cittadini di seconda classe. E non dobbiamo vivere in clandestinità tutto ciò in cui crediamo e professiamo. Credo che questo può anche essere un problema da trattare.
La riunione rappresenterà quindi una nuova tappa nelle relazioni tra le due Chiese?
Siamo davanti ad una pagina bianco su cui ancora non so cosa ci accingiamo a scrivere. C’è soprattutto la speranza che alle prossime generazioni lasceremo molto più di un conflitto o di stress tra le relazioni. Penso anche che sia importante capire che non stiamo parlando di una unione, di un sindacato… Nella storia, durante il secondo millennio, ci sono stati diversi tentativi di formare una unione. Ad esempio, a Brest o a Firenze per motivi politici. Ma questo ha sempre peggiorato le cose, piuttosto che migliorarle. Per questo, credo che nel mondo di oggi dobbiamo vivere una relazione buona, fraterna, trasparente, in cui si è capaci di dialogare. Anche se non possiamo condividere l’Eucarestia, possiamo condividere tanti altri aspetti. Penso che questa sia la strada dopo tutti i problemi che abbiamo sofferto.
Per quale motivo è stata scelto l’Avana come luogo per l’incontro?
Penso che il nostro patriarca non abbia voluto che l’incontro si svolgesse in Europa perché la storia europea sopporta il peso di tutte le nostre difficoltà – delle difficoltà di tutte le tradizioni cristiane – nell’ultimo millennio e anche prima. Invece nel Nuovo Mondo non esiste una storia appesantita da memorie negative o complicate. Per esempio, quando parlo con i greci sul mondo cattolico la prima cosa che viene menzionata è la crociata del 1204. Può risultare strano che si parli di un fatto accaduto otto secoli fa, però con le memorie storiche funziona così. Per questo credo che sia stata una cosa positiva decidere di svolgere lì l’incontro. Al contempo, credo che sia importante per il nostro patriarca il fatto che avvenga nell’ambito della sua prima visita pastorale in America Latina, specialmente a Cuba, dove abbiamo circa 15mila russi.
In un brevissimo arco di tempo, sono stati annunciati due appuntamenti storici: oltre appunto all’incontro Francesco-Kirill, anche il Grande Concilio pan-ortodosso a Creta. Qual è la relazione tra i due eventi?
L’agenda della riunione all’Avana e quella del Concilio di Creta sono due cose distinte. Non si è organizzato l’incontro in vista del Concilio e non si sta celebrando il Concilio grazie all’incontro. Questo deve essere molto chiaro. D’altra parte credo che il Papa e il Patriarca stiano lavorando su temi complicati di cui si discuterà durante il Concilio. Poi c’è il fatto, come abbiamo detto tante volte, che i capi della Chiesa Cattolica e di quella Ortodossa non si erano mai incontrati per millenni. E questa non è una cosa da poco…