“Sono felicissimo”. Papa Francesco sintetizza in una parola tutta l’emozione per l’incontro del prossimo 12 febbraio con il patriarca di Mosca Kirill a Cuba. Mille anni di scisma tra Chiesa cattolica e ortodossa che si sciolgono in un abbraccio tra due fratelli. Un lavoro di diplomazia tanto sopraffino, quanto semplice nella sua strategia.
Lo racconta lo stesso Pontefice in un colloquio con il Corriere della Sera, avvenuto nei giorni scorsi nella Casa Santa Marta con il giornalista Massimo Franco e il direttore del quotidiano Luciano Fontana. “Io ho lasciato fare”, spiega Bergoglio ai suoi interlocutori spiegando l’iter che ha portato allo storico evento, “ho solo detto che volevo incontrare e riabbracciare i miei fratelli ortodossi. Tutto qui. Sono stati due anni di trattative di nascosto, ben condotte da vescovi bravi”.
“Per gli ortodossi – aggiunge – se n’è occupato Hilarion, che oltre a essere bravo è anche un artista, un musicista. Hanno fatto tutto loro”. Il ‘ministro degli esteri’ del Patriarcato di Mosca proprio al Corsera aveva annunciato, nel giugno scorso, che l’incontro “era in agenda” ed esprimeva la speranza che “non si incontrino un futuro Papa e un futuro Patriarca, ma questi due”.
Auspicio che diverrà concretezza tra pochi giorni. Francesco si dice soddisfatto, soprattutto perché ha costruito un altro ponte. “Ponti: quelli bisogna costruire”, ribadisce infatti nel colloquio, “passo dopo passo, fino ad arrivare a stringere la mano a chi sta dall’altra parte”. Perché “i ponti durano, e aiutano la pace”, “i muri no: quelli sembrano difenderci, e invece separano soltanto. Per questo vanno abbattuti, non costruiti”.
“Tanto – afferma Bergoglio – sono destinati a cadere, uno dopo l’altro. Pensiamo a quello di Berlino. Sembrava eterno, e invece: puff, in un giorno è caduto giù”. Allora non bisogna perdere nessuna occasione per costruire ponti.
Proprio questo è la priorità del pontificato di questo Papa ‘venuto dalla fine del mondo’: un approccio inclusivo che sgretoli i detriti lasciati da errori del passato per ristabilire un nuovo ordine mondiale. Lo dimostrano la mediazione tra Usa e Cuba; il viaggio negli Stati Uniti; l’apertura del Giubileo in Africa; la riconciliazione con il mondo ortodosso e anche la mano tesa alla Cina con l’intervista dei giorni scorsi ad Asia Times (chiamata erroneamente Asia News nell’articolo del Corriere della Sera), in cui il Vescovo di Roma esprimeva gli auguri al presidente della Repubblica popolare Xi Jinping per l’inizio del Capodanno cinese.
Tutte tappe di una “strategia dei ponti”, espressione di un “Occidente alternativo”. Per realizzarla il primo passo è evitare qualunque tipo di guerra, afferma il Papa. Oggi in modo particolare: “Non possiamo dire di essere circondati da un mondo in pace – osserva – dovunque ci voltiamo ci sono conflitti. Io ho parlato di terza guerra mondiale a pezzi. In realtà non è a pezzi: è proprio una guerra. Le guerre come si fanno? Agendo sull’economia, col traffico delle armi, e facendo la guerra contro la nostra casa comune, che è la natura”.
A tal proposito, Francesco – riecheggiando la sua Laudato Si’ – ricorda che “tagliare gli alberi significa desertificare interi territori”. Per questo, rimarca, “in Paesi come lo Zambia hanno cominciato a ripiantarli, a riforestare le zone per evitare l’impoverimento della terra. E bisogna stare attenti alle monoculture. Se si producono sempre le stesse cose, senza alternare le coltivazioni, presto il terreno diventa morto”.
Assilo del Vescovo di Roma è poi il commercio di armi. “I trafficanti stanno facendo molti soldi, comprando armi da un Paese che gliele dà per colpirne un altro, suo nemico. E si sa quali sono”, dice.
Lo sguardo si volge poi indietro, esattamente all’intervento militare dell’Occidente in Nord Africa e le cosiddette “primavere arabe”: un azzardo che ora si paga a caro prezzo. “Sulle primavere arabe e l’Iraq si poteva immaginare prima quello che poteva succedere”, commenta Bergoglio, e non nasconde la sua apprensione per quanto potrebbe accadere se Usa e Europa riterranno di dovere attaccare di nuovo il territorio libico, lacerato tra tribalismo e terrorismo islamico. “Pensiamo alla Libia prima e dopo l’intervento militare: prima di Gheddafi ce n’era uno solo, ora ce ne sono cinquanta. L’Occidente deve fare autocritica”, osserva il Papa.
E sulla Russia spiega ancora che “in parte c’è stata una convergenza di analisi tra la Santa Sede e la Russia. In parte, è bene che non esageriamo perché la Russia ha i suoi interessi”. L’ex Impero Sovietico “ha sangue imperiale”, dai tempi della zarina Caterina, tuttavia esso – sottolinea Bergoglio – “può dare molto”.
Un potenziale che intravede anche in Europa; continente che nel suo discorso a Strasburgo del novembre 2014 non esitò a definire “una nonna, non più fertile e vivace”. Parole che la cancelliera tedesca Angela Merkel digerì a fatica, tanto che – racconta il Papa – “mi chiamò poche ore dopo… Era un po’ arrabbiata perché avevo paragonato l’Europa a una donna sterile, incapace di fare figli. Mi chiese se davvero pensavo che l’Europa non poteva fare più figli. Io le risposi che sì, l’Europa ne può fare ancora, e tanti, perché ha radici solide e profonde. Perché ha una storia unica. Perché ha avuto e può avere ancora un ruolo fondamentale: pensiamo solo alla cultura e alle tradizioni che incarna. E perché nei momenti più bui ha sempre dimostrato di avere risorse non sospette”.
Il punto di vista del Papa sul Vecchio Continente è dunque il medesimo: “L’Europa deve e può cambiare. Deve e può riformarsi”. Specie sulla questione dell’impressionante flusso migratorio che l’ha colpita negli ultimi tempi. In proposito, Francesco ricorda la sua visita a Lampedusa: all’epoca “il problema dell’immigrazione era appena agli inizi. E adesso è esploso”; l’Europa si trova pertanto davanti ad “una sfida” che deve affrontare “con intelligenza, naturalmente, perché dietro c’è il problema enorme e terribile del terrorismo”.
“Se non è in grado di aiutare economicamente i Paesi da cui provengono i profughi, deve porsi il problema di come affrontare questa grande sfida che è in primo luogo umanitaria, ma non solo”, aggiunge il Pontefice, che rileva pure una ‘rottura’ del sistema educativo “che trasmetteva i valori dai nonni ai nipoti, dai genitori ai figli”. “Ebbene, occorre porsi il problema di come ricostruirlo”.
Una speranza, in tal senso, può venire dalla memoria dei “grandi personaggi dimenticati” della sua storia recente: il cancelliere tedesco Konrad Adenauer, il ministro degli Esteri della Francia, Robert Schuman, l’italiano Alcide De Gasperi. Ma anche, secondo il Papa, ci sono “grandi dimenticati” nella cronaca dei nostri giorni.
“Ad esempio – dice – la donna-sindaco di Lampedusa, Giusi Nicolini”, da sempre attiva in favore dei profughi, oppure il presidente della Repubblica emerito, Giorgio Napolitano. “Quando Napolitano ha accettato per la seconda volta, a quell’età, e sebbene per un periodo limitato, di assumersi un incarico di quel peso, l’ho chiamato e gli ho detto che era un gesto di ‘eroicità’ patriottica”.
“Tra i grandi dell’Italia di oggi” Bergoglio cita poi l’ex ministro Emma Bonino, facendo strabuzzare gli occhi ai suoi interlocutori e anche a tanti lettori. Lui però insiste e spiega che l’esponente radicale “è la persona che conosce meglio l’Africa”, che “ha offerto il miglior servizio all’Italia per conoscere l’Africa. Mi dicono: è gente che la pensa in modo molto diverso da noi. Vero, ma pazienza. Bisogna guardare alle persone, a quello che fanno”.