Un’alchimia “impossibile senza la grazia”

Nei versi del poeta Angelo Barile una visionedel mondoimprontata ad un’intensa fede religiosa

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Continuando il nostro itinerario nella poesia di ispirazione cristiana del ‘900, incontriamo oggi il poeta ligure Angelo Barile(Albissola Marina, 1888 – Savona, 1967), autore d’intensa fede religiosa che tradusse in versi dipacata contemplazione, per farne un viatico verso un aldilà felice ed eterno.
“La misura cristiana di Barile è proprio nel modo di dare un colore di limpidità alle cose; quasi ad assumerle non soltanto come dato di cronaca, ma di storia consacrata” scrisse di lui Valerio Volpini, che fu direttore de L’Osservatore Romano nei primi anni Ottanta.
Laureato in legge, allo scoppio della guerra mondiale del ‘15-18 venne richiamato alle armi come ufficiale di fanteria e fu ferito due volte. Dopo la Liberazione, svolse funzioni politiche ed amministrative per la Provincia di Savona. La sua attività di poeta e scrittore è nelle varie riviste letterarie del Novecento: da Solaria a Il Frontespizio alla Fiera Letteraria. Di natura appartata, fu autore non prolifico, esprimendo con ciò, anche in letteratura, la sua visione del mondo improntata ad una scelta di umiltà raccolta, che si manifestain un atteggiamento d’animo Quasi sereno (titolo della sua più importante silloge poetica, pubblicata nel 1957 presso l’editore Neri Pozza). Da questa silloge proponiamo ai nostri lettori un componimento intitolato Te per nome chiama vivo.
TE PER NOME CHIAMA VIVO
I giorni senza campane
che s’ode piangere agnelli
nel cuore della contrada
(tu vorresti riportarli ai prati,
posar sui prati le vive lane),
vanno ancora per queste tue strade
suonando a scroscio le raganelle
ragazzi in branco, beati
più che gli uccelli.
(Strepitavi anche tu come questi
angeli grezzi di Pasqua).
Scuotono le case, i petti,
fan vacillare un po’ i vecchi
che vanno lievi al Sepolcro
già sereni di resurrezione.
Ai piedi d’Uno che muore
chiamano in profondo gente.
Il tuo paese prega, si tende
dagli ulivi benedetti ieri
al mare dove entreremo
come in un battistero, leggeri,
al primo suono del Gloria.
Sussulti anche tu, giacente.
I clamanti fanciulli ti premono
all’unanime veglia. In te chino
forse vedi, a un presagio di giorno,
sparse nella tomba vuota,
le tue bende d’agonia.
Ti volgi ai Suoi che ti guardano
occhi gravi di Risorto.
Te per nome chiama vivo
la Sua voce che disse – Maria –
alla piangente nell’alba.
***
Quello di Angelo Barile è, in qualche modo, il viaggio di un esiliato, le cui speranze indefinite sono collocate in un altrove,che si proietta dal piano dell’esistere a quello dell’essere. La vita, al pari della poesia, è un’attesa sofferta, fatta di un’alternanza di contrari, di un’alchimia “impossibile senza la grazia”: parole,queste ultime,che appartengono allo stesso poeta e che sono tratte da un suo brano autobiografico facilmente interpretabile come dichiarazione di poetica: “Indicavo, forse parlando a me stesso, la necessità di fondere assieme i contrari: intensità e chiarezza, spontaneità e rigore… non è la poesia un equilibrio di resistenze? Il giuoco della libertà più aperta nei termini della legge più rigorosa. Ma come difficile, disperatamente difficile lo sposalizio. Impossibile senza la grazia. Sentivo che la poesia è un fatto del tutto insolito e raro, un dono dell’intima trasparenza. Quante volte in una vita ci viene direttamente incontro?…”.
USCIRE DALLA VITA COME QUANDO
Uscire dalla vita come quando
s’esce di chiesa
in un finale d’organo: s’avventa
l’anima a scale prodigiose, trova
il piede sulla soglia
un bianco che vi palpita: e la luce
è nuova.
Ma uscire non è dato in rapimento.
Ch’io possa almeno
lasciarmi dietro la mia stanza, un poco
volgendo il capo a riguardarla, alfine
pulita, sgombra
d’ogni discordia, in ordine sereno
come la chiesa ora vuota: le croci
fanno una chiara ombra
sul pavimento.
***
La memoria della morte e l’evocazione del mare sono stati segnalati dalla critica come due motivi fondanti dell’ispirazione di Angelo Barile. Ad orientare questa linea creativa ha sicuramente contribuito l’esperienza esistenziale vissuta nei luoghi e nei tempi della sua Liguria. Ma entrambe queste istanze poetiche sono, per così dire, amalgamate e trasposte sul piano dell’arte grazie all’autentica vena religiosa che pervade la sua poesia come un “canto di gioia smarrito”.
IL CANTO SMARRITO
Ora che la ginestra
intenerisce anche le scabre
rupi sul nostro mare,
ora vengono i giorni
grandi, d’argento. Li apre
a prim’estate,
questo favellio di campane
che c’invita domani
ai canti del Corpus Domini.
Domani andremo per i campi
a far bracciate di rami
a riempir d’oro canestre;
paveseremo le finestre,
rallegreremo di frasche
le vecchie vie dove le case
si tengono strette abbracciate
in una fuga d’archi – e laggiù
palpita un riso di mare.
Forse domani le anziane
donne apprenderanno alle spose
in processione con loro
la laude che non cantano più
da tanto tempo; e questi
erano i giorni. Saliva
all’allegrezza della fede
un coro d’anime in festa.
Oh, ravvivaci ancora,
nostra laude disimparata,
canto di gioia smarrito
nella penosa memoria
irta di sterpi… Domani
forse domani t’udremo
ritremare sgorgare vivo
quando passa Gesù.
***
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Massimo Nardi

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