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Ddl Cirinnà: cinque senatori ricorrono alla Corte Costituzionale

Denunciano che l’iter del testo è in contrasto con l’art. 72 della Costituzione. Il presidente del Senato Grasso: “Espediente da Azzeccagarbugli”. La replica: “Commento inelegante da parte del Presidente del Senato”

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L’iter del ddl Cirinnà sta violando la Costituzione. È questo il motivo che ha spinto cinque senatori – Andrea Augello, Luigi Compagna, Carlo Giovanardi e Gaetano Quagliariello (tutti di Idea) e Mario Mauro (Popolari per l’Italia) – a decidere di rivolgersi alla Corte costituzionale.
La decisione dei cinque senatori, sottoscritta da altri 35 loro colleghi, nasce dal fatto che il ddl è stato sottratto all’esame della Commissione Giustizia, “inficiandone in radice la legittimità” e quindi “ponendosi in contrasto con l’articolo 72 della Costituzione e con le regole che sovrintendono al procedimento di formazione delle leggi”. In questo modo – denunciano i firmatari del ricorso – è stato impedito loro di svolgere il ruolo di senatori, contravvenendo alle “essenziali funzioni e prerogative proprie di ciascun parlamentare”.
Fa discutere tuttavia il modo con cui Pietro Grasso ha liquidato l’iniziativa in questione. Il presidente del Senato ha definito il ricorso un “espediente da Azzeccagarbugli”, nonché “una pessima idea”, ricorrendo così all’ironia, in riferimento al nome del Movimento creato da Quaglieriello.
Quest’ultimo si è servito a sua volta di un gioco di parole per rispondere a Grasso: “Pensa di cavarsela con una battuta, quando invece mi sarei aspettato che entrasse nel merito delle nostre contestazioni sulla violazione dell’articolo 72 e provasse a difendere il suo operato. Così facendo dimostra che della Costituzione e dello stesso regolamento del Senato il presidente Grasso non ha nemmeno idea“.
Uno dei promotori del ricorso, Luigi Compagna, intervistato da ZENIT, ha definito “inelegante” l’uscita di Grasso. “Da parte di un collega, ci si può anche aspettare un’espressione di questo tenore – spiega -. Ma se usata dal presidente del Senato, chiamato in causa sul principio della libertà di funzioni e di prerogative del singolo parlamentare, mi sembra una caduta di tono”.
La questione del ricorso è già diventata materia di dibattito tra costituzionalisti. Uno di loro, Stefano Ceccanti, citando a conferma della propria tesi la legge 87/1953, ha sottolineato in un’intervista a L’Espresso che “il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato non può essere proposto da parte di un gruppo di parlamentari, ma semmai dal Senato, o dalla Camera, nel suo insieme”. Dunque, l’iniziativa dei cinque senatori rischia di essere inutile?
“Non sarei così coercitivo come Ceccanti – commenta Compagna – perché la tendenza delle Corte Costituzionali sulle prerogative del singolo parlamentare è di ritenerle meritevoli di tutela”. E comunque – aggiunge il senatore di Idea – “il problema si è posto perché da parte del collega Giovanardi era stata prospettata questa possibilità, attraverso una lettera, al presidente Grasso e quest’ultimo tuttavia non gli ha risposto, ritenendo che il voto di costituzionalità dell’Aula avrebbe poi sanato ogni eventuale violazione”.
Novità non si avranno prima della prossima settimana. Il Senato ha deciso che la discussione riprenderà martedì 9 febbraio. È in quella data che i cinque senatori presenteranno il ricorso alla Consulta. Il verdetto arriverà tra alcuni mesi. Solo a quel punto si capirà se avrà avuto ragione Ceccanti oppure no.

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Federico Cenci

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