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"Non andrebbero adottati solo i bambini ma anche gli anziani"

Alla conferenza su “Salute e povertà” della Pontificia Accademia delle Scienze, il prof. Luigi Grezzana illustra le “povertà” degli anziani, spesso vittime di solitudine, malattie e isolamento

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“Nel mondo contemporaneo, estremizzando, ci sono due modi di guardare gli anziani: il primo è quello di accoglierli, riconoscendone il valore; l’altro è quello di vederli come un peso, un orpello, uno scarto che ostacola lo sviluppo efficientistico della società in cui viviamo”. Lo ha detto ieri il prof. Luigi Giuseppe Grezzana, direttore della Scuola Medica Ospedaliera Corso Superiore di Geriatria di Verona, durante la conferenza internazionale su “Salute e povertà” svoltasi in Vaticano, promossa dalla Pontificia Accademia delle Scienze. 

“La nostra cultura – ha spiegato Grezzana – tende ad emarginare gli anziani, sino ad escluderli, a farli precipitare nell’abisso della solitudine, giungendo, talvolta, ad una ipotesi più o meno larvata di eutanasia da abbandono. Se, però, da un punto di vista sociale hanno un peso, un ruolo, tutto cambia. È evidente a tutti che quando una persona è famosa, anche avanti negli anni, è comunque guardata con occhio di particolare riguardo. La sua eventuale non autosufficienza è sempre diversa, e comunque dagli altri accettata. Anzi spesso esibita come esempio da parte dell’anziano e da parte di chi gli è vicino. Questa differenza penalizza la grande moltitudine degli anziani. Accentua i due pesi e le due misure”.

“La vecchiezza – ha proseguito lo studioso – per chi non conta, diventa lunga e insopportabile. In tal caso, ci si sente al margine per età e per incidenti di salute. Eppure, da una condizione del genere, si può meglio giudicare l’esistenza. C’è da pensarci, perché il margine non è estraneo ad alcuno. Gli anziani avvertono non solo di non essere più produttivi, ma anche di avere sempre più bisogno degli altri. È una cultura che va a cozzare contro il criterio del rendimento e dell’efficienza. Di certo, una mentalità del genere è quanto di più lontano ci possa essere da una visione di civile prossimità”.

Il geriatra, in tutti i modi, si adopera per mantenere “l’autonomia dei suoi pazienti”. “Purtroppo questo non sempre è possibile”, ha osservato il professore “ed allora, anche quando si trova dinanzi all’anziano non autosufficiente, deve, in tutti i modi, difenderlo e far sì che la sua infermità non gli venga ribaltata addosso come colpa. È soprattutto una questione di cultura. Il dono più grande che possa fare un ammalato al medico è quello di renderlo partecipe delle sue miserie”.

“Nella vita non ci sono gli esonerati, ma i rimandati”, ha affermato il direttore della Scuola Medica Ospedaliera di Verona. “Tutti abbiamo conosciuto o conosceremo questa fragilità. Dinnanzi a persone bisognose di tutto, l’umanità si divide: taluni se ne prendono carico, altri rimuovono il problema. Innanzitutto dobbiamo cogliere quanto gli anziani possono offrire alla famiglia e alla società: ‘corona dei nonni sono i figli dei figli’; chiediamo ai bambini chi siano i nonni. L’efficientismo e la supponenza dei grandi si dimenticano della sapienza dei bambini”. Si devono pertanto allontanare le cause che generano solitudine ed isolamento: “La senescenza porta sempre con sé il rischio di sentirsi inutili e questo può sfociare in una tristezza squallida che conduce alla disperazione”.

“Gli anziani non devono sentirsi inutili”, ha ribadito Grezzana, “la povertà più vera, che acquista le connotazioni del dramma, la si ha in occasione della malattia” che “ci fa sentire un nulla”, perché “ci si sente soli nel dolore e nella disperazione, indipendentemente dalle condizioni economiche”. In quelle condizioni, “il malato chiede aiuto, spesso con pudore, perché gli costa fatica manifestare il suo bisogno. Ha paura e chiede perlopiù sommessamente”. In tale situazione, “un diritto primario dell’anziano è quello di non essere allontanato dal suo ambiente famigliare e sociale. Per un vecchio è molto più grave che per un giovane. Tutti, in ospedale, si sentono sradicati, ma per un anziano la solitudine, la mancanza del proprio letto, dello sguardo dei famigliari, della vicinanza delle proprie cose e dei propri affetti, incidono negativamente di più”.

“L’anziano non vive di solo pane e medicine, ma anche, e soprattutto, d’affetto”, ha ribadito il professore. “Nel nostro mondo è importante che già dall’infanzia si venga educati sull’indispensabilità dell’amore di cui tutti abbiamo bisogno, a tutte le età. Dobbiamo essere guidati sul concetto della donazione, dell’accoglienza e della gratuità. Non andrebbero adottati solo i bambini ma anche gli anziani”.

 

 
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ZENIT Staff

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