Cells in a jail

Pixabay CC0 - TryJimmy, Public Domain

La finalità del reinserimento sociale della detenzione e il lavoro carcerario

Se ne è discusso a Verona al V Festival della Dottrina Sociale della Chiesa

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La sfida della realtà, quale tema centrale del V Festival della Dottrina Sociale della Chiesa, attraversa tra varie sfaccettature ogni incontro programmato all’interno della Fiera di Verona.

Così è stato anche in occasione di una tavola rotonda a più voci sul recupero concreto di quanti si trovino a scontare una pena carceraria. Sulla sfondo non poteva mancare il richiamo alla Misericordia e all’anno Giubilare ormai alle porte. Evento straordinario che apa Francesco apre di fatto con questo suo viaggio nell’Africa dimenticata e sofferente, ma soprattutto maltrattata da violenze e corruzioni quotidiane.

I lavori sono stati moderati da Antonio Russo che, da membro attivo delle Acli, conosce la realtà carceraria per la presenza massiccia della sua associazione in oltre ottanta Istituti Penitenziari. Qui le Acli, sottolineato anche dall’avv. Italo Sandrini, esercitano un lavoro sociale e culturale che ha come obiettivo principale il rispetto dei diritti dell’uomo detenuto, al pari di un qualsiasi individuo, al netto della libertà giustamente sospesa.

La Camera Penale, il Comune di Verona e i diversi rappresentanti istituzionali intervenuti hanno tutti espresso la necessità di riconsiderare la pena carceraria, puntando sul lavoro, quale strumento capace di segnare una svolta concreta, lungo la strada del reinserimento sociale. La società deve perciò guardare con più attenzione verso il mondo carcerario, anche in tempi gravi come quelli che stiamo attraversando. Gli stessi interventi speciali non devono mai essere sinonimo di cancellazione di diritti fondamentali, fuori o dentro un Istituto di pena.

Chi è detenuto non può essere solo nei pensieri del Pontefice o del Capo dello Stato, ma deve far parte di una concezione della vita più inclusiva, rispetto ad una fetta di popolazione che non è fuori dal mondo, ma che per l’art. 27 della Costituzione, comma 3, ha tutto il diritto, scontata la pena, di essere riammessa a tutti gli affetti nella comunità. Il prof. Emilio Santoro dell’Università di Firenze, dimostratosi apertamente critico proprio verso questo articolo, ha sottolineato nel suo intervento come solo grazie alla Corte Costituzionale, dal 1974 in poi, si è potuto procedere ad una più coerente interpretazione dello stesso, in linea con una visione più aperta e garantista, quale perno fondamentale di una Stato di diritto in un Paese democratico come l’Italia. Il sistema delle carceri così come è nei fatti concepito non elimina la delinquenza che c’è in una persona, ma allontana il soggetto interessato da una autentica riabilitazione.

Santoro ha sottolineato come di fatto si è ancora lontani dalle parole di Alessandro Margara, magistrato di sorveglianza, che nel 2000 scriveva come il trattamento in carcere deve essere una offerta capace di compensare il deficit personale. Il docente ha sostenuto che si è lontani da questo modello positivo e che gli stessi dati sulla popolazione carceraria, che svolge regolarmente un lavoro non corrispondono alla realtà. Si parla di circa 1200 lavoratori a tempo pieno e stabile, ma i dati non sono corretti. Solo un terzo rientra in queste caratteristiche, il resto è formato da detenuti che svolgono lavori saltuari.

Chi lavora non ha poi, ha aggiunto Santoro, un salario regolare, ma prende la cosi detta “mercede” che corrisponde ai due terzi del salario del contratto collettivo degli anni ‘90. Lo stesso prelievo sul salario per le spese di mantenimento sale, in questo caso, dal venti al cinquanta per cento.

Evidentemente la dignità del detenuto viene sottoposta ad una svalutazione che non ha ragione di esistere in un Paese democratico e rispettoso della sacralità della persona. Si può recuperare un detenuto, se nei suoi confronti non vengono mantenuti quegli atti di giustizia fondamentali, che danno la sensazione reale di essere entrati in un circolo virtuoso, rigeneratore e formativo? Nell’incontro il ‘no’ è stato corale. Specie se si considera che la popolazione carceraria è per l’80% espressione di una complessa dinamica sociale, che vede in prima linea persone disperate, malate, deboli economicamente, immigrati, tossici, alcolizzati, eccetera.

Ci ha pensato Valentina Calderone dell’Associazione “A Buon Diritto” a denunciare come il carcere sia la faccia deturpata di un percorso sociale, che spesso si trova al di fuori di ogni minima tutela. Sarebbe saggio investire molto di più sulla prevenzione e sulle misure alternative al carcere stesso, per evitare che molti si perdano definitivamente, in preda ad un ambiente dove ancora solo a parole si compiono tutti quegli accorgimenti necessari ad un serio recupero. Il carcere dovrebbe essere potenziato, si è detto, per i soggetti pericolosi e non per coloro che con forme di natura diversa  potrebbero, scontata la pena, ritornare a vita dignitosa. Enrico Sbriglia del Provveditorato regionale del Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige, ha sottolineato come comunque la nostra legislazione in campo di giustizia, nonostante le pecche visibili o meno, è tra le più garantiste dei sistemi democratici nel mondo.

Lo stesso esponente dell’amministrazione penitenziaria ha chiesto più autorevolezza e meno autorità; meno interventi scientifici e più umanità, la sola capace di guarire situazioni interne alle carceri, che nessun terapia sofisticata potrebbe mai sanare. Il rispetto della vita umana per il dirigente del Ministero di Giustizia va messa sempre al primo posto, per tentare che le carceri superino il loro status di emergenza e diventino luoghi di “ricostruzione” sociale. Necessitano perciò un privato sociale più coraggioso e imprenditori capaci di scommettere in democrazia e sviluppo, puntando sulla popolazione carceraria che chiede riscatto e opportunità per ricominciare. Non sono mancate durante il dibattito delle proposte di un certo interesse e che le Acli hanno sposato in pieno.

Il prof. Emilio Santoro ha proposto che qualora non ci siano i soldi per pagare il lavoro di un detenuto, si possa applicare uno sconto di pena secondo dei parametri da stabilire. I risultati sarebbero strabilianti sia per il singolo impegnato, sia per l’Istituto che ricaverebbe degli evidenti vantaggi economici e di organizzazione interna. Una seconda proposta riguarda invece la destinazione degli sgravi fiscali che di solito sono concessi alle ditte esterne che assumano un detenuto.

Santoro propone di spostare queste importanti risorse all’interno di una agenzia interinale costituita dall’Amministrazione stessa, che di fatto si troverebbe ad essere titolare diretta nei confronti di coloro che andranno a svolgere determinati lavori. Anche qui sono chiari i vantaggi per i soggetti in campo. C’è sicuramente molto da lavorare, ma a Verona, grazie a questo momento di confronto all’interno del Festival annuale della DSC, sono partiti un monito e un’offerta di collaborazione rivolti al Ministero della Giustizia, per andare verso concrete forme di depenalizzazione e diversificazione delle pene.

Le Acli saranno in prima fila, perché vicine allo spirito della dottrina sociale della Chiesa, ma soprattutto al messaggio di Misericordia che viene dal Giubileo di Papa Francesco. Così leggiamo nella sua bolla di indizione, n° 21: “La misericordia non è contraria alla giustizia ma esprime il comportamento di Dio verso il peccatore, offrendogli un’ulteriore possibilità per ravvedersi, convertirsi e credere”.

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Egidio Chiarella

Egidio Chiarella, pubblicista-giornalista, ha fatto parte dell'Ufficio Legislativo e rapporti con il Parlamento del Ministero dell'Istruzione, a Roma. E’ stato docente di ruolo di Lettere presso vari istituti secondari di I e II grado a Lamezia Terme (Calabria). Dal 1999 al 2010 è stato anche Consigliere della Regione Calabria. Ha conseguito la laurea in Materie Letterarie con una tesi sulla Storia delle Tradizioni popolari presso l’Università degli Studi di Messina (Sicilia). E’ autore del romanzo "La nuova primavera dei giovani" e del saggio “Sui Sentieri del vecchio Gesù”, nato su ZENIT e base ideale per incontri e dibattiti in ambienti laici e religiosi. L'ultimo suo lavoro editoriale si intitola "Luci di verità In rete" Editrice Tau - Analisi di tweet sapienziali del teologo mons. Costantino Di Bruno. Conduce su Tele Padre Pio la rubrica culturale - religiosa "Troppa terra e poco cielo".

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