Arriva il Vino nuovo che necessita di otri nuovi

Commento al Vangelo della I domenica di Avvento, Anno C — 29 novembre 2015

Share this Entry

Dio ci ama infinitamente, e per questo ci assedia. Sì, con l’Avvento che ha inizio questa Domenica la Chiesa ci invita ad alzare lo sguardo e riconoscere nei fatti che accadono nella nostra vita e nella vicenda del mondo l’assedio d’amore del Signore.  

Come un innamorato ferito dai nostri stolti rifiuti, il Signore si infila con misericordia indomita nella nostra libertà, sperando che in questo tempo forte ci accorgiamo di Lui e del suo amore invincibile.

L’ira di Dio, infatti, nella Scrittura non è mai un adirarsi fine a se stesso; non è neanche una pedagogia di Dio, una conseguenza naturale e dovuta ai peccati. L’ira è la gelosia, lo zelo di Dio; in ebraico infatti la stessa parola può avere i tre significati. E la “vendetta” di cui nel vangelo di oggi si parla è piuttosto una conseguenza dell’amore geloso e pieno di zelo di Dio che non può rassegnarsi nel vedere i suoi figli abbandonati alla sequela di idoli falsi e vani, rammolliti e narcotizzati lontani da Lui, e quindi incapaci di accogliere il Messia.

Tutto ciò che accade è perché, sino in fondo, sino all’ultimo, Dio offre, in mille modi diversi, l’occasione per riconoscere il Messia nel suo Figlio, e accogliere così la salvezza preparata per ogni uomo. Per questo la vendetta è tutta orientata a ridare la vita, e liberare il Popolo dalla realtà di perdizione e di sofferenza.

Dio appare come un bulldozer che sradica e distrugge tutto quello che trattiene lontana da sé la propria creatura. I propri figli. Quale Padre non si getterebbe tra le fiamme, non farebbe saltare in aria anche superbe meraviglie architettoniche, chi non farebbe follie per il proprio figlio in pericolo?

Per questo Gerusalemme, la Santa Gerusalemme, il luogo della dimora stessa di Dio, cadrà in mano dei pagani, il Santo dei Santi sarà distrutto, perché più d’ogni altra cosa, fosse anche la più importante, la più cara al cuore di Dio, il segno stesso della storia d’amore con il Suo popolo, più del Tempio, per Dio è importante l’uomo, la persona, tu ed io. Nulla è più importante dei suoi figli.

Se Gerusalemme è il luogo dell’adulterio e dell’idolatria, ed è diventata il letto d’amore dove Israele si contamina con i suoi amanti, Gerusalemme sarà distrutta. Così, quanto nella nostra esistenza è d’inciampo al Signore, quanto ci allontana da Lui, sarà “necessariamente” oggetto della sua ira, della sua gelosia, del suo infinito zelo per la nostra vita, per la nostra anima, per la nostra salvezza. 

In quei momenti, quando tutte le nostre certezze, i nostri luoghi familiari, anche quelli cosiddetti “religiosi”, saranno ridotti ad un cumulo di macerie fumanti, alziamo gli occhi e solleviamo il capo, perché la libertà è finalmente vicina. Il termine “apolytrōsi”s, liberazione, è infatti affine a “lytrōsis2, che è il riscatto dalla schiavitù.

La libertà che ci strappa dagli inganni del demonio, dalle catene d’una schiavitù che ci obbliga a servire falsi dei, fossero anche così ben camuffati da apparire ammantati di una pia religiosità.

La vecchia Gerusalemme, luogo e simbolo dell’Antica Alleanza, fatta di decreti e regole, è stata un importante e buon pedagogo, guida alla verità, ma incapace di salvarci, perché la nostra stessa carne l’ha resa inadeguata e irrimediabilmente limitata.

Fuori dalle porte di Gerusalemme, sulla soglia del Cielo, è piantata una Croce: il sangue dell’Ira, della Gelosia, dello Zelo di Dio, fluendo dalle benedette ferite del Signore, ha lavato ogni peccato, ogni idolatria, ogni adulterio. La Passione di Gesù, consegnato per noi, ci ha aperto il cammino per la Nuova Gerusalemme, la nostra madre, Colei che ci genera a nuova vita. La Gerusalemme celeste che ci fa figli della luce, rinnovati ad immagine del nostro Creatore. 

Nessuna paura dunque se nella nostra vita accadono sconvolgimenti tali da lasciarci sbalorditi. Se tutto quello su cui fondiamo quotidianamente la vita viene a mancare. E’ l’amore infinito e geloso di Dio per noi. E’ la passione di Cristo per il nostro cuore che sconvolge addirittura il corso della natura, il sole, la luna, le stelle. E’ il Signore che penetra nel fluire naturale dei nostri giorni, e segna amori, lavoro, studio con le stigmate del suo amore.

Quando in famiglia, sul lavoro, nella Chiesa stessa, accadranno “tutte queste cose” non c’è da temere. Solo è necessario comprendere l’urgenza del momento favorevole, e non perdersi in pensieri e arrovellamenti cercando di salvare il salvabile, casa, lavoro, soldi o ricordi, rientrando nelle stanze o ritornando sui nostri passi. Quando il terremoto dell’amore di Dio sconvolge la vita non c’è tempo per cercare di rimettere insieme i cocci degli errori passati. 

Arriva il Vino nuovo che necessita di otri nuovi. Per questo, quando la nostra vita trema, il Signore è vicino, con la novità capace di ricreare ogni cosa, e fare di noi un prodigio inimmaginabile. Non temiamo se dovremo essere condotti prigionieri, se il nostro uomo vecchio cadrà a fil di spada. Come già fu per il Popolo nel tempo dell’Esilio, ci attende un tempo di purificazione nel quale il Signore vuol riportare alla luce in noi un cuore contrito e umiliato. Dalle ceneri della carne Egli saprà trarre un cuore capace di amare davvero. 

Per questo, mentre gli uomini muoiono di paura di fronte ai cataclismi, alla crisi economica, alle conseguenze del peccato che ha voluto cancellare Dio, noi restiamo saldi nell’amore di Dio. Gli occhi della fede sanno riconoscere nella storia i segni della sua presenza e l’inconfondibile modus operandi della sua passione.

Dove il mondo vede morte e distruzione, noi alziamo la testa e fissiamo, in noi e fuori di noi, la liberazione. Nei travagli descritti nel Vangelo, si staglia la figura dolente di Cristo crocifisso, il suo costato dischiuso a donare la salvezza. Nella distruzione del mondo sono impresse le piaghe del Signore, porta santa che conduce alla salvezza. 

Per questo, in ogni evento che sa di morte, è preparata la vita che non muore. Gli occhi dei cristiano sanno riconoscere la passione di Cristo nella passione del mondo. Per questo alzano la testa e vedono quello che nessun occhio può vedere. Essi “risuscitano”, si levano proprio laddove si abbatte la distruzione.

Siamo le avanguardie di misericordia del Signore, i segni della sua gloriosa potenza incipiente. Essa si manifesta sulla natura e sul male, e si rivela la sua presenza, la Shekinah che, come la nube che accompagnò Israele nel deserto, illumina il cammino dei cristiani. 

La missione profetica della Chiesa è puntare il cielo mentre ogni uomo punta alla terra, guardare il Signore che viene, mentre il mondo schiaccia lo sguardo sulle rovine della carne. Sperare laddove tutti disperano. Quante urla in televisione e sui pianerottoli, nelle piazze e sugli autobus… E lì i cristiani sono seminati come una rugiada di pace e speranza.

Fuggono dalle risse inutili e sterili per assumere la storia, come Cristo dinanzi alla Croce. E’ vero, le ingiustizie sono ingiustizie, ma è vero anche che nulla potrà mai separarci dal suo amore, neanche la fame e la nudità, neanche i cataclismi culturali e sociali di questi tempi. Neanche i terroristi, nemmeno la guerra voluta dalla massoneria che odia Dio e l’uomo.

Non scandalizzatevi, perché la Chiesa è un segno profetico che deve sparigliare e indicare il Cielo a una generazione sulla quale è stato chiuso. Se pensiamo che sia follia, significa che di Dio sappiamo ancora poco, e per questo non crediamo né a Lui né alla sua Parola.

Invece è necessario che, mentre si fa buio su tutta la terra, i cristiani fuggano dai tentativi umani di risolvere le crisi, e abbandonarsi, come mai, alla provvidenza di Dio.

Non è un caso che oggi si strisci per terra come il demonio che continua a ingannare gli uomini, cercando cibo avariato negli angoli sudici e nella spazzatura: teoria del gender, matrimoni tra omosessuali, fecondazione artificiale, uteri in affitto o in regalo e adozioni a coppie gay, sperimentazioni e aberrazioni eugenetiche, sono tutte cellule impazzite e avariate della Verità, pezzi di carne che ha perduto lo Spirito.     

Siamo assediati, è vero, ma dall’amore di Dio. Il sostantivo “synochē”, angoscia, significa costrizione, e nella traduzione greca della Bibbia ebraica è usato proprio per un assedio. “Aporia”, invece, cioè “ansia”, è letteralmente il dubbio, e rimanda a un passaggio impraticabile, una strada senza uscita. 

Quante volte la logica dei nostri ragionamenti entra in conflitto con l’evidenza amara della realtà! E così nel mondo, dove la logica del suo pensiero non regge l’urto con la realtà di male. Nell’ansia e nell’angoscia per l’aporia della vita siamo chiamati ad alzare la testa, che significa avere fede e fede adulta, perché ogni uomo possa imparare a guardare la Verità che supera ogni contraddizione perché tutte le assume nell’unica logica possibile, quella dell’amore che pone fine al male.

Mai come nei momenti di crisi abbiamo bisogno di non perdere tempo e metterci in cammino con la Chiesa per crescere sino ad una statura adulta della fede, per noi, e per il mondo, per chi, tra i parenti e gli amici, vive disperato. Perché in un problema matrimoniale, o sul lavoro, in qualsiasi relazione, l’unica logica è quella della Croce. 

Il verbo “a-nakyptō”, sollevare, ricorda infatti la descrizione della donna ricurva perché prigioniera di satana, il padre dell’aporia della vita. La Chiesa è, nella storia, questa donna riconsegnata alla dignità, alla “semplicità” dell’amore, per fissare il Cielo da dove arriva il suo Sposo. 

È Lui che ci assedia fratelli, e arde di gelosia per la sua sposa, per ogni istante della nostra vita: Egli viene per risuscitarci, in modo da non vivere più ricurvi sulle giornate e sugli eventi, ma, a testa levata, entrare nella vita come uomini liberi. Come figli che si appoggiano su una nuova e incrollabile spina dorsale che è la Croce.

Coraggio, tuo figlio aspetta di vederti alzare ogni mattina ed entrare in pace e sereno laddove gli altri papà si infilano nervosi, adirati, pieni di mormorazioni. I tuoi nipoti aspettano di vederti gioiosa e sazia di giorni nella tua vecchiaia, affrontare la solitudine e la vedovanza con la gratitudine negli occhi e nelle parole, per una vita costellata di Grazie e benedizioni.

Share this Entry

Antonello Iapicca

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione