In occasione della Giornata contro la violenza alle donne, la Comunità Papa Giovanni XXIII rende nota la sentenza della Corte d’Assise di Frosinone, depositata il 15 settembre 2015. Il maxi-processo ha visto numerosi imputati rispondere per i reati di tratta di esseri umani, riduzione in schiavitù, violenza sessuale; tra le vittime c’era anche una minorenne nigeriana, rapita alla sua famiglia e costretta alla prostituzione prima in Libia e poi in Italia, vittima di atroci vessazioni, ridotta alla fame, picchiata ripetutamente dai suoi aguzzini, costretta all’assunzione di droghe e poi barbaramente violentata. I Giudici della Corte d’Assise di Frosinone riconoscono, con questa importantissima sentenza, come parte civile non solo la ragazza sfruttata ma anche la Comunità Papa Giovanni XXIII che l’ha accolta e assistita.
“Non può infatti negarsi – si legge nella sentenza – che anche l’Associazione Papa Giovanni XXIII, per l’attività sociale che svolge, sia danneggiata sia moralmente che economicamente, dai reati oggetto di condanna, che tutti impongono la necessità del suo intervento assistenziale e che tutti colpiscono soggetti deboli che hanno bisogno della tipologia di assistenza che le sue strutture forniscono”.
“Un riconoscimento del ruolo della Comunità Papa Giovanni XXIII al fianco delle vittime di tratta e prostituzione – commenta l’avvocato Annalisa Chiodoni, che nel processo difendeva la minorenne – , ma soprattutto un pronunciamento di portata storica, che fa sentire queste ragazze meno sole nell’affrontare i loro sfruttatori”.
“È una sentenza molto importante – sottolinea Giovanni Ramonda, responsabile generale dell’associazione – perché attribuisce alla nostra Comunità un ruolo protettivo nei confronti di queste giovani vittime che si trovano sole, in un Paese che non conoscono, dove non sanno di chi potersi fidare. Sono le nostre figlie, le nostre sorelle, e non possiamo permettere di lasciarle in balia di sfruttatori e clienti. Per questo continueremo con ancora più forza la nostra battaglia culturale ma anche giuridica, perché si introduca in Italia il cosiddetto“modello nordico” nel contrasto alla prostituzione, che vieta l’acquisto di prestazioni sessuali riconoscendo che nessuna persona può essere ridotta strumento di guadagno e di piacere”.