Tre paesi africani, una comune urgenza: la pace

Alla vigilia del viaggio di Francesco, Kenya, Uganda e Centrafrica presentano realtà sociali segnate da divisioni etniche, guerra e corruzione, ma anche punti di forza come la ricchezza di risorse naturali e l’elevata percentuale di cristiani

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Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana, i tre paesi meta del primo viaggio apostolico di papa Francesco in Africa, presentano realtà particolarmente complesse e problematiche a livello politico, sociale e religioso.

Sin dalla sua indipendenza, il Kenya è governato da un regime parlamentare, che soffre la piaga della corruzione, la quale provoca forte disparità sociali tra la sua popolazione, rendendo sempre più ampia la forbice tra i ricchi ed i poveri.

I cattolici, pure essendo 8 milioni su un totale di oltre 44 milioni di keniani, svolgono un ruolo attivo nella vita del loro paese a livello accademico con la formazione umana delle nuove generazioni, a livello di mezzi di comunicazione per dare voce al grido di aiuto degli emarginati e soprattutto proseguendo l’opera missionaria di annunzio e testimonianza del Vangelo.

Il paese soffre il tentativo di destabilizzazione della vita politica del suo paese, per la presenza di formazioni jihadiste appartenenti al movimento islamista al-Shabaab, artefice di vari sanguinosi attentati in Kenya. L’ultima strage è stata quella dello scorso 2 aprile a Garissa, in cui hanno perso la vita 150 persone, quasi tutti studenti cristiani.

Oltre a combattere le diseguaglianze sociali ed invitare tutta la società civile alla promozione del bene comune, questo paese necessita della convivenza pacifica tra persone di diverse fedi, per creare un clima di pace, di cooperazione e di sviluppo tra tutti i settori della società.

L’Uganda vanta il primato di avere il 85% dei cristiani tra la sua popolazione. Questo straordinario paese è stato visitato già nel 1969 dal beato Paolo VI, il quale rivolse l’invito ai cattolici locali di diventare protagonisti dell’evangelizzazione del loro paese e di diffondere la cultura cristiana nella vita sociale.

Va ricordato che la terra ugandese è stata fecondata dal sangue di 22 martiri, funzionari del re Baganda, i quali, dopo essere stati convertiti al cattolicesimo per opera dei “missionari d’Africa bianchi”, furono fatti uccidere a causa della loro fede cristiana sotto il regno di Mwanga II, tra il 15 novembre 1885 e il 27 gennaio 1887.

Le presenza delle diversie etnie all’interno del paese – ognuna delle quali ha sempre cercato di difendere e tutelare i propri interessi – ha contribuito alla gestione del potere da parte di oligarchie, le quali hanno condotto all’esclusione di una grande fascia della società civile.

Questo paese ha l’urgenza di includere socialmente tutti i suoi gruppi etnici, per promuovere la diffusione dei diritti umani e civili anche verso coloro che attualmente sono esclusi, sfruttando i punti di forza dell’economia del paese, che sono rappresentati dall’agricoltura, dalla pastorizia, dal terziario e dal bacino petrolifico del Lago Alberto.

La Repubblica Centrafricana soffre da diversi anni le ferite di una sanguinosa guerra civile, che lentamente sta lasciando spazio ad una pacifica convivenza tra la popolazione. La scintilla che ha accesso il fuoco del conflitto è stata la deposizione nel 2012 del presidente François Bozizé ad opera della coalizione Séléka. Anche dopo lo scioglimento di questa formazione ribelle, avvenuta nel 2013, la guerra civile ha continuato a prolungarsi nel paese a causa dell’ingresso di cellule eversive jihadiste, composte da mercenari sudanesi e ciadiani, che si sono opposti ai gruppi fedeli all’ex presidente Bozizé.

Molti mezzi di comunicazione hanno attribuito a motivi religiosi la causa del conflitto. In realtà la geurra è stata mossa per ragioni esclusivamente economiche. La Repubblica Centrafricana è una nazione che possiede una grandissima riserva del sottosuolo costituita da giacimenti di petrolio, depositi di diamanti, oro, ferro ed uranio.

L’emergenza per questo paese è l’interruzione immediata dei conflitti, l’urgenza di instaurare subito la pace, costruire una società giusta ed equa attraverso una fase di riconciliazione e riappacificazione, che nasce dal dare e ricevere perdono, seguendo l’esempio di quanto avvenuto in altre realtà colpite dal flagello della guerra civile.

Un’altra urgenza indispensabile per questo paese è quella di lanciare un appello alla comunità internazionale, affinché non si dimentichi del dramma umano che sta vivendo questa popolazione. È necessario che le organizzazioni preposte possano offrire il loro contributo per riportare la pace e la giustizia attraverso la restituzione dei diritti fondamentali a partire dagli ultimi della società.

 

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Osvaldo Rinaldi

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