Papa Francesco è stato come sempre diretto e chiaro, durante l’Angelus di domenica scorsa, nel ribadire al mondo intero come non sia mai possibile usare il nome di Dio per giustificare la morte di un solo uomo. Penso che nessuno ormai, si trattasse di un credente, un ateo, un agnostico o altro, possa soffermarsi solo per un attimo sulle atrocità di Parigi per disquisire sulla loro verosimile matrice religiosa. Il Santo Padre ha stoppato ogni possibile strumentalizzazione, affermando di trovarci di fronte ad una grande vera bestemmia. Dio è solo misericordia e amore. La sera del 13 novembre, nelle vie e nei locali del cuore della Francia, si è presentata la più becera e crudele disumanità, che nulla a che vedere con il nome di Dio. Quei ragazzi rubati alla vita, assieme all’intelligenza e al sorriso della nostra Valeria, seme di ogni nazionalità e parte viva di una terra da sempre plurale e cosmopolita, resteranno il simbolo di una ferita permanente. Il mondo ha perciò bisogno di uno scossone interiore forte. Ne hanno bisogno i capi di Stato che devono perseguire il bene comune; così come ogni singolo individuo nel costruire la propria quotidianità tra gli altri. Occorre ritornare al Crocifisso, perché la vita di ognuno abbia la perfetta visione di un mondo della pace e dell’amore. Un tempo in cui la prospettiva dell’eternità non blocchi i processi innovativi dell’epoca in cui si vive, ma li misuri e li guidi per il benessere comune e non per la neo-restaurazione dei vecchi poteri fine a se stessi. Qualsiasi uomo decida di farsi grande, magari agognando alla stessa immortalità, sfregiando il prossimo in una qualsiasi sua espressione, non fa altro che imitare Lucifero. Scrive il teologo mons. Costantino Di Bruno:
“Nel Paradiso Lucifero era l’Angelo che Dio aveva fatto luce purissima. Non vi era luce creata pari alla sua. Volle farsi grande, più grande, volle farsi Dio. Si fece diavolo. Divenne di tenebra. Perse la sua splendida luce. Questa è la sorte di coloro che vogliono farsi grandi da se stessi”. Il messaggio vale per tutti, in ogni campo si operi e qualsiasi sia il ruolo acquisito dal punto di vista professionale, istituzionale, religioso, sociale. Il “farmaco” dell’umiltà, quello dell’ultimo posto per servire e costruire qualcosa di duraturo per il bene e l’equilibrio economico privato e pubblico, è la medicina giusta per sovvertire un pianeta che rischia di ammalarsi sempre di più. Una cura che il “Medico Divino” aveva già prescritto ai suoi discepoli, per prepararli alla missione per la quale erano stati chiamati. Sarà comunque necessario un secondo farmaco di contenimento. Il suo nome è già abbastanza eloquente: “Amore per Cristo Gesù”. Un amore così grande da annientarsi completamente. L’esempio infallibile lo troviamo nella storia dell’Umanità, quando lo stesso Figlio dell’Uomo si è annullato, amando così tanto il Padre, fino al supplizio della morte di croce. Lo sguardo del cristiano deve di riflesso andare dritto anche verso la Vergine Maria, altro grande esempio di umiltà e di dedizione assoluta a Dio. Non posso non riproporvi un pensiero in proposito del religioso prima citato: “Lei non si è fatta in nulla. Si è tutta consegnata nelle mani del suo Signore. A Lui si è data, affidata. In Lui ha creduto. A Lui ha sempre obbedito. Lui il Signore e lei la serva, Lui il Dio e lei la sua creatura, Lui il Vasaio e lei l’umile argilla a cui il Signore dava forma secondo la sua divina volontà. Ecco come nasce il vero umanesimo”.
A Firenze la Chiesa ha decisamente affermato che senza Cristo non c’è vero Nuovo Umanesimo. Modello di vita per ognuno da assumere senza riserve, ma anche strumento necessario per portare, attraverso la gioia dell’Annuncio e della Carità, la salvezza e la redenzione in ogni angolo della terra. Presupposto per la pace nel mondo. Per fare tutto questo non serve certo una nuova crociata, ma nemmeno un dialogo rinunciatario, con le altri confessioni, della verità del Dio fattosi uomo. Un atto storico, divino nello stesso tempo, che ha indicato all’umanità la via della salvezza e della redenzione. Il dialogo autentico non contempla l’accettazione passiva delle ragioni altrui o l’arroganza risoluta di una propria imposizione. Esso dovrà invece risultare un “luogo permanente” di vera fratellanza, dove lo Spirito Santo, nel tempo che ci vorrà e che non è della mente degli uomini, soffierà l’unica verità che unisce e salva ognuno. Non ci sono summit di religiosi o di politici che potranno mai decidere la data di questo universale avvenimento finale. A questi, come ad ogni uomo, è demandato il compito di costruire “ponti e strade” che siano di prosperità e di benessere materiale e spirituale, non per la propria gloria, ma per quella del Creatore Supremo. La realtà su questo fronte purtroppo arranca, perché qualunque creatura è priva di una vera relazione tra le azioni della storia, riferite alla singola persona o alla comunità di appartenenza, e la dimensione eterna dell’esistenza umana. Una chiave di lettura con la quale intendere le parole dure, ma profetiche, di San Paolo nella prima lettera ai Corinzi: “Questo vi dico, fratelli: il tempo si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente: passa infatti la figura di questo mondo!”. Si può fare ogni cosa, senza mai smarrire il legame con il cielo.
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