The Cross

Pixabay CC0

Tutto è dono di Lui che, nell’estrema precarietà, rivela l'unica Roccia

Commento al Vangelo della XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) – 15 novembre 2015

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

La nostra vita subisce costantemente l’attentato di milioni di parole che cercano di prendere possesso dei nostri pensieri, dei nostri sentimenti, delle nostre azioni. Fuori e dentro di noi si scatena una guerra ogni volta più cruenta tra le parole più disparate. E, normalmente, ne portiamo le tristi conseguenze: stanchezza psicologica, stordimento, incapacità di orientarsi e di comprendere. 

Uno sterminato esercito di sentenze, di opinioni, di idee si affaccia ai nostri padiglioni auricolari e si spintona violentemente per entrare. E siamo ogni volta più confusi. Politica, morale, vita, sport, parole a volontà su ogni aspetto della vita. Parole che dicono tutto e l’esatto contrario.
Ma è proprio dentro l’estrema confusione che accompagna gli stravolgimenti del mondo, in noi e fuori di noi, che possiamo ritrovare un segno, un’ancora di salvezza. Tutto passa. Tutto è destinato ad essere cancellato dal tempo. Un sms cancella immediatamente il contenuto, la “verità” del precedente. 

Così ogni parola è fagocitata dalla successiva, rivelandone l’assoluta provvisorietà con un ritmo incalzante. Così nella nostra vita. Affetti, lavoro, svaghi, ideali, salute, ogni cosa è precaria. 

Eppure proprio dentro la transitorietà di quel che viviamo alberga una certezza, qualcosa che fonda, tra i marosi, la nostra esistenza. In ogni istante della nostra vita è nascosto il Mistero Pasquale del Signore, il suo passaggio dalla morte alla vita.

Per questo proprio le rivoluzioni, i fallimenti, le sofferenze della vita, anche le esperienze più drammatiche che ci lasciano tramortiti, forse moribondi, sono un segno dell’opera di Dio. Il cielo e la terra passeranno, ma le Parole del Signore non passeranno. Mai. 

La sua Parola d’amore, capace di ri-crearci nella misericordia, è una Parola eterna. Lui non mente. Non tradisce. La sua Parola si compie nella nostra vita. Proprio mentre tutte le altre parole segnano il passo rivelandosi effimere e transitorie.

Così, se nella vita ogni cosa è destinata a passare, a sfuggirci, è per lasciar posto all’unica Parola che non passerà in eterno: la Parola fatta carne, il nostro Signore Gesù. 

Per questo, anche quello che sembra scivolare via è misteriosamente ricapitolato, risanato e come reso eterno dal suo amore. Il passare di tutto riverbera il passaggio pasquale del Signore nella storia. Il fluire delle cose è cristallizzato nel passaggio del Signore, e, misteriosamente, ciò che è corruttibile è assorbito dall’incorruttibile. 

Questo è il mistero della nostra vita, fatta di eventi, relazioni, storie che apparentemente scorrono via inesorabilmente e senza ritorno, mentre invece tutto è assorbito e santificato dal “passaggio che non passa”; silenziosamente, e spesso nascostamente, tutto di noi è innestato nella Pasqua del Signore nella quale ogni istante è un diadema incastonato nella corona della storia di salvezza che Dio fa con ogni uomo.

In Lui la vita perduta, e tutto quello che sembra smarrito, è ritrovato e trasfigurato. Santificato. Non si butta nulla della nostra vita, perché dove c’è il Signore vi sono frutti che rimangono. 

Tutto di noi è Grazia, dono di Lui, che proprio nell’estrema precarietà rivela la nostra unica Roccia: il suo amore infinito. Le sofferenze, i problemi, le angosce, il fallire dei progetti, sono i germogli che spuntano sui rami della nostra croce, preannunciano l’estate, non la morte! 

Nelle parole del Signore si ode l’eco del Cantico dei Cantici; dure e crude, sono parole d’amore. È lo Sposo che incede, e vuole destare la sposa, accendere in lei il desiderio di Lui, e schiudere i suoi occhi in un discernimento capace di intercettare i segni del suo avvento imminente.  

***

Una voce! Il mio diletto! 

Eccolo, viene 

saltando per i monti, 

balzando per le colline. 

Somiglia il mio diletto a un capriolo 

o ad un cerbiatto. 

Eccolo, egli sta 

dietro il nostro muro; 

guarda dalla finestra, 

spia attraverso le inferriate. 

Perché, ecco, l’inverno è passato

è cessata la pioggia, se n’è andata; 

i fiori sono apparsi nei campi, 

il tempo del canto è tornato 

e la voce della tortora ancora si fa sentire 

nella nostra campagna. 

Il fico ha messo fuori i primi frutti 

e le viti fiorite spandono fragranza. 

Alzati, amica mia, 

mia bella, e vieni! 

***

Commentando il Cantico dei Cantici, San Gregorio di Nissa scrive: “Il fico è una pianta che, per effetto del calore, succhia in modo straordinario l’umidità che è nel profondo della terra. E siccome nelle midolla del fico si raccoglie molto umore, per necessità la natura, cuocendo gli umori nella pianta, depone giù dai rami tutta la parte inutile e terrena dell’umore. E questo processo è ripetuto parecchie volte, perché la pianta possa al momento opportuno produrre il suo frutto genuino e nutriente, purificato di tutto quello che era inutile. Orbene, questo prodotto, che spunta in forma di frutto dalla pianta del fico  prima che si formi il vero frutto, dolce e maturo, si chiama “grosso”; anch’esso è commestibile talvolta, per chi lo vuole; ciò nonostante quello non è il frutto: i grossi sono, infatti,  preannuncio dei fichi commestibili,  e il testo dice che il fico li aveva fatti spuntare… Poiché il testo rappresenta alla sposa la primavera spirituale, e questa stagione sta al confine tra i due tempi, cioè tra quello della mestizia invernale e quello del godimento dei frutti nell’estate, per questo motivo si annuncia esplicitamente che i mali sono passati, anche se non si sono mostrati ancora nella loro pienezza i frutti della virtù, ma essi sono riservati a tempo debito, allorquando sarà stabile l’estate

Dal momento che la natura umana, in modo analogo al fico di cui qui si parla, ebbe raccolto in gran copia umore dannoso a causa di quell’inverno da noi inteso in senso spirituale, giustamente colui che produce per noi la primavera della nostra anima e con conveniente coltivazione della terra fa sì che la sostanza umana faccia spuntare i suoi alberi, innanzi tutto caccia fuori dalla nostra natura tutto quello che è terrestre e inutile… Quindi, in tal modo, fa spuntare nella nostra vita una certa impronta della beatitudine in cui speriamo per mezzo del comportamento più onesto, e preannuncia per mezzo dei “grossi”  la futura dolcezza dei fichi” (Omelie sul Cantico dei cantici, Omelia V). 

Gli eventi descritti dal Signore nei brani precedenti ci aiutano a riconoscere in essi i germogli che preannunciano la dolcezza dell’incontro con Lui, il premio sperato e atteso. 

La Croce che ci accompagna ogni giorno attraverso gli sconvolgimenti della storia, purifica gli umori assorbiti dall’inverno degli inganni, e ci prepara ad accogliere l’estate, il Regno dei Cieli ormai vicino. Non a caso il suo avvento è descritto dal Signore come una mietitura: etimologicamente, in greco, therismós (mietitura) è collegato a theros (estate). Come scriveva San Gregorio, la nostra vita è nella primavera, nel cuore della Pasqua. 

Ci troviamo, ogni istante, al confine tra i due tempi, cioè tra quello della mestizia invernale e quello del godimento dei frutti nell’estate; come Natanaele, israelita in cui non vi è inganno, possiamo riposare all’ombra del fico, accogliendo, scrutando e meditando la Parola che non passerà mai. E così, mossi da essa, passare dall’inverno all’estate, entrare nel Regno preparato per noi. 

Sì, ogni evento è un germoglio che ci ricorda l’elezione che ci ha presi dal mondo, perché il fico è anche immagine di Israele: “guardai ai vostri padri come ai primi frutti di un fico” (Os 9,10). La storia concreta, le persone che ci sono date, tutto di noi e i
n noi segna la primo-genitura, il senso stesso della nostra vita, che è essere i primi frutti dell’umanità. 

È il Signore che ci chiama, giorno dopo giorno, da dietro il muro che sembra impedirci la felicità. Il muro che ci oppone il coniuge, l’amico, il collega, o la nostra debolezza fisica, la precarietà economica, la fragilità del carattere o i suoi difetti; il muro dei nostri peccati. 

Dietro a tutto si cela lo Sposo, innamorato e appassionato, che ci chiama ad alzarci; ci guarda con tenerezza, e ci annuncia oggi che è passato l’inverno, che la morte è vinta, che possiamo entrare negli eventi dai quali siamo sempre scappati terrorizzati. Bruciato il passato di morte nel fuoco del suo amore, possiamo correre verso l’estate che ci attende, liberi, e attirare con noi questa generazione.

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

Antonello Iapicca

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione