La linea per la Chiesa italiana l’ha tracciata il Papa nel lungo, sferzante e programmatico discorso del 10 novembre, a Firenze, nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore. Francesco ha chiesto autenticità, gratuità, creatività e spirito di servizio, non lasciandosi ossessionare da ricchezze e potere, ma privilegiando l’attenzione ai poveri e la capacità di dialogo – anche politico – e di accoglienza.
Una linea che la CEI abbraccia pienamente a conclusione del V Convegno Ecclesiale Nazionale, che ha terminato oggi i suoi lavori nella ‘città della bellezza’. Il cardinale presidente Angelo Bagnasco traccia quindi le prospettive per il lavoro presente e futuro dei vescovi nostrani, in un cammino “condiviso e approfondito” dall’impronta “sinodale”, utile “a recepire le istanze conciliari, a rafforzare la testimonianza di fede e contribuire al bene comune” dell’Italia chiamata a diventare un “paese migliore”.
“La Chiesa italiana ha scelto di mettersi in gioco”, spiega Bagnasco presentando nella Fortezza da Basso il documento finale in cui confluiscono le proposte elaborate nei cinque gruppi di lavoro del Convegno. L’impegno è quello della “conversione” finalizzato a “individuare le parole più efficaci, le categorie più consone e i gesti più autentici attraverso i quali portare il Vangelo nel nostro tempo agli uomini di oggi”. Perché, come ha detto il Papa martedì scorso, “la Chiesa è madre” e tale consapevolezza – ribadisce Bagnasco – “ci fa percepire l’importanza che la nostra testimonianza sia limpida, che il nostro linguaggio raggiunga le menti e i cuori, e che sappiamo avvicinarci con compassione alle persone nelle tante fragilità che sperimentano ogni giorno”.
Tra queste il cardinale individua le innumerevoli “povertà” che caratterizzano il contesto sociale attuale, e che vanno a “incidere sul vissuto concreto delle persone, lasciandole talora ferite ai bordi della strada”. “L’uomo rimane spesso vittima delle sue fragilità spirituali e della disarmonia che deriva dalla rottura di alleanze vitali”, afferma, rilevando il profondo senso purtroppo “estremamente diffuso” oggi di “solitudine e di abbandono”. “Un sentimento di vuoto – dice – legato alla mancanza di mete alte e di persone con le quali condividere obiettivi e impegnarsi per conseguirli”.
“La nostra stessa vita – mette in guardia il presidente CEI – rischia di diventare un’astrazione, sempre più frammentata, priva di consistenza e separata da ciò che la circonda, perfino dagli affetti più profondi. Quanti passano buona parte delle loro giornate in mezzo ad altri, ma senza conoscere in modo profondo alcuno e senza essere da alcuno conosciuti nella loro intimità!”. In questo clima di “disagio profondo e insoddisfazione”, sono in particolare i giovani a farne le spese, a causa della “miseria culturale che hanno respirato, nella carente o del tutto assente educazione spirituale e umana, che ha fatto mancare la percezione e l’esperienza dei valori più genuini e non ha guidato a essi”.
La cultura dominante offre infatti alle nuove generazioni “ideali non autentici”, osserva il porporato, “legati al perseguimento di un successo effimero o di soddisfazioni momentanee”. E lo fa “con una pervasività e un’efficacia quasi disarmanti”. Il tempo appare sempre più “denaro”; guai a spenderlo “per stare vicino agli ammalati e agli anziani”: il valore delle persone sembra essere legato infatti “alla loro efficienza, con l’effetto di scartare o sopprimere la vita imperfetta o improduttiva; che dipenda essenzialmente dai beni materiali la qualità della vita”.
Ancora, rileva Bagnasco, sembra “che ognuno debba cavarsela da solo, tentazione che alimenta l’individualismo e sprona alla diffidenza e alla falsità, facendo mancare il collante della fiducia che tiene unita una società”. Tutto ciò “genera un carico di sofferenza profonda e in genere inespressa, che rivela il bisogno di una luce per orientare il proprio cammino, e di una mano per non compierlo da soli”.
Appare dunque urgente la rinascita di un nuovo umanesimo, come titola il Convegno. Esso – afferma il presidente dei vescovi italiani – si deve realizzare a partire da quelle “nuove alleanze” che la vita quotidiana ci chiama a “custodire e a risanare, se infrante”: l’alleanza col creato, l’alleanza uomo-donna, fra generazioni, fra popoli, culture e religioni, fra i singoli e le istituzioni sia civili che ecclesiali.
Un umanesimo della “concretezza”, dunque, attraverso cui “combattere la frammentazione e riqualificare il rapporto tra la nostra persona e la realtà che ci circonda”. Come quello che ha caratterizzato la storia del nostro Paese, basti pensare “al ‘made in Italy’, al volontariato, all’artigianato, l’arte, la cura, la carità, le tante forme di sussidiarietà ed economia civile, la famiglia”.
L’ispirazione è sempre e solo Gesù Cristo: Egli – afferma l’arcivescovo di Genova – è “l’antidoto” a questo mondo “spesso così esposto al rischio dell’autosufficienza o alla tentazione di ridurre Dio ad astratta ideologia”. “La vita di ognuno, infatti, si decide sulla capacità di donarsi” ed è “in questo trascendere se stessa che la vita arriva a essere feconda”. “Con i suoi gesti, le sue parole e i suoi silenzi, Gesù ci mostra anche come vivere il dolore senza disperare e come reagire alle provocazioni non con la violenza, ma con la forza della verità e del perdono”.
“Dio rivela la sua potenza nella debolezza”, prosegue; quindi il Vangelo “se nuovamente accolto, disegna un preciso progetto di vita che rovescia qualsiasi canone antropologico inautentico e oppressivo, e porta anche a un utilizzo del denaro, dei mezzi e delle stesse strutture all’insegna dell’essenzialità, della disponibilità e della gratuità”.
Cinque sono le vie per compiere tutto questo: “uscire, annunciare, abitare, educare e trasfigurare”. Uscire, perché “non basta essere accoglienti”, ma “dobbiamo per primi muoverci verso l’altro”, creando “condivisione e fraternità”. Annunciare “la persona e le parole del Signore, secondo le modalità più adatte perché, senza l’annuncio esplicito, l’incontro e la testimonianza rimangono sterili o quantomeno incompleti”. Non basta infatti “un grande cuore”, dice Bagnasco: “La formazione degli operatori, sacerdoti inclusi, deve interrogarci quanto l’educazione dei bambini e dei ragazzi”, e non bisogna trascurare l’importanza della comunicazione e della condivisione del messaggio attraverso le moderne tecnologie, “delle quali è importante servirsi con sapienza e senza timore”.
Terza tappa è abitare, ovvero essere, come credenti, “radicati” nel territorio e nella società, “nell’impegno amministrativo e politico in senso stretto, ma anche attraverso un attivo interessamento per le varie problematiche sociali e la partecipazione a diverse iniziative”. Qui, “un grazie convinto” il cardinale presidente lo rivolge alle diverse forme di associazionismo e partecipazione: “Sì, non partiamo da zero!”, afferma, “nel contempo, anche alla luce di recenti fatti di cronaca, ribadiamo che l’impegno del cattolico nella sfera pubblica deve testimoniare coerenza e trasparenza”.
In tal senso, comunità e credenti sono chiamati poi al compito di educare “per rendere gli atti buoni non un elemento sporadico, ma virtù, abitudini della persona, modi di agire e di pensare stabili”. Perché “è una famiglia ed è una comunità quella che educa: entrambe necessitano di adulti che siano tali”. Ben venga quindi tanto “l’indicazione ad accompagnare le famiglie, anche con percorsi di educazione alla genitorialità e alla reciprocità”, quanto il “porre nuova attenzione per la scuola e l’Università, come pure a fare rete con le diverse istituzioni educative pre
senti sul territorio”.
Tutti questi passaggi, e gli sforzi che ne accompagnano la realizzazione, sono tesi a trasfigurare le persone ma anche le relazioni, interpersonali e sociali. Se accolto e fatto proprio “dalle diverse realtà umane”, il messaggio evangelico infatti “trasfigura”, rimarca l’arcivescovo di Genova, e “scardina le strutture di peccato e di oppressione”, rendendo i cattolici “compagni di viaggio e amici dei poveri e dei sofferenti”.
“Con questo spirito”, in vista anche dell’Anno Santo della Misericordia – conclude Bagnasco – “facciamo ritorno alle nostre Chiese e ai nostri territori, senza la paura di guardare in faccia la realtà – anche le ombre -, ma con la lieta certezza di chi riconosce, anche nella complessità del nostro tempo, la presenza operosa dello Spirito Santo, la fedeltà di Dio al mondo”.