Negli articoli delle ultime settimane, abbiamo riflettuto su alcuni elementi portanti delineati nella Enciclica Laudato Si’: ecologia, tecnica, lavoro, città, bellezza. Ebbene, proprio a partire da questi elementi, mi sembra si possa ripensare un invito a prendere coscienza del profondo valore del lavoro manuale artigianale[1].
Sebbene l’artigianato in quanto tale non sia un tema dell’Enciclica, tuttavia questo tipo di lavoro sembra essere un elemento indispensabile per uno sviluppo produttivo creativo e sostenibile, rispettoso della dignità dell’essere umano. Leggiamo infatti nella Laudato Si’: «un percorso di sviluppo produttivo più creativo e meglio orientato potrebbe correggere la disparità tra l’eccessivo investimento tecnologico per il consumo e quello scarso per risolvere i problemi urgenti dell’umanità; potrebbe generare forme intelligenti e redditizie di riutilizzo, di recupero funzionale e di riciclo; potrebbe migliorare l’efficienza energetica delle città; e così via. La diversificazione produttiva offre larghissime possibilità all’intelligenza umana per creare e innovare, mentre protegge l’ambiente e crea più opportunità di lavoro. Questa sarebbe una creatività capace di far fiorire nuovamente la nobiltà dell’essere umano, perché è più dignitoso usare l’intelligenza, con audacia e responsabilità, per trovare forme di sviluppo sostenibile ed equo, nel quadro di una concezione più ampia della qualità della vita. Viceversa, è meno dignitoso e creativo e più superficiale insistere nel creare forme di saccheggio della natura solo per offrire nuove possibilità di consumo e di rendita immediata» (n. 192).
Il lavoro artigianale è radicato nelle culture e nel rispetto delle risorse ambientali, è un lavoro che rispetta la qualità della vita, in quanto consente di abitare dove si lavora, o poco lontano; è un mestiere intrinsecamente portatore di virtù, mira alla produzione, mediante le mani e l’ingegno, di oggetti duraturi, utili, belli: dunque è il lavoro produttivo ecologico per eccellenza ed è anche il lavoro che non disumanizza, ma consente la realizzazione della propria dignità.
La questione dell’artigianato è strettamente connessa alla questione dell’arte, anche se le loro strade sono state spesso forzosamente separate[2].
Secondo la ricostruzione di Shiner[3], il punto fondamentale per la costituzione del concetto di arte accadrebbe nella modernità e consisterebbe proprio nella distinzione tra arte e artigianato: l’artista si distingue nettamente da colui che ha competenze ed abilità manuali, come se ne fosse un superamento. Mentre “prima”, l’artista era anche artigiano, e nel campo delle arti entravano tutte le attività artigianali, “dopo”, l’arte costituisce un insieme separato, avendo perso l’attributo dell’artigianalità. Shiner prova a ricostruire il momento della prima separazione tra arte e artigianato, rintracciandolo di fatto nell’era dei philosophes, ovvero nel XVIII secolo. Dunque, secondo Shiner, nel Rinascimento arte e artigianato convivono ancora: «Sostengo […] che il Rinascimento non abbia instaurato gli ideali moderni di arte, di artista e di estetica; intendo infatti dimostrare che, malgrado siano stati compiuti allora passi importanti in quella direzione, l’antico sistema che univa l’arte e l’artigianato era ancora operativo tanto nell’Italia di Michelangelo quanto nell’Inghilterra di Shakespeare»[4] .
Shiner sottolinea come per un artista pre-romantico o romantico, a differenza dell’artista rinascimentale, tutto risieda esclusivamente in un ambito ideale: «dopo la rottura settecentesca, tutti gli aspetti nobili della precedente figura dell’artigiano-artista, come grazia, invenzione e immaginazione furono associati soltanto all’artista, mentre l’artigiano, o artiere, si disse che possedeva solo l’abilità, che lavorava seguendo la consuetudine, che mirava solo al guadagno»[5] . Questa rottura tra arte e artigianato merita riflessione. Separare l’invenzione dall’abilità ha avuto conseguenze profonde per l’arte, che si è trovata apparentemente libera dalle regole e nello stesso tempo privata di un mestiere.
Se, infatti, questo procedimento può sembrare positivo e liberatorio, di fatto pone alcuni problemi. Se si riconosce all’artista la capacità creativa indipendentemente dall’abilità tecnica, se artista è colui che è capace di esprimere se stesso in ogni modo e attraverso ogni mezzo, ecco allora che diventa problematica la definizione dell’arte stessa, tanto che il medesimo Shiner nota che «soltanto a seguito dell’instaurazione del moderno sistema dell’arte ci si può chiedere: “è davvero arte?”, oppure: “Qual è la relazione tra arte e società?» [6] . Come è noto, il sistema dell’arte che fa convivere arte e artigianato ha come fine una bellezza che coincide con la bontà dell’oggetto stesso, entro un orizzonte di pratica del mestiere e coltivazione delle virtù morali. Il regista svedese Ingmar Bergman ha espresso più volte il desiderio di essere come uno degli artisti-artigiani della Cattedrale di Chartres, sottolineando come «in altri tempi l’artista rimaneva sconosciuto e la sua opera era dedicata alla gloria di Dio. Egli viveva e moriva senza essere né più né meno importante di altri artigiani. La capacità di creare era un dono. In un mondo come quello fioriva una sicurezza invulnerabile e una naturale umiltà»[7] .
L’artigianato ha una intrinseca relazione con la bellezza; le produzioni industriali hanno abolito la “decorazione”, sia per motivazioni ideologiche estetiche ma anche per l’impossibilità di produrre decorazioni belle a basso costo. Gli oggetti industriali sono tutti uguali, invece gli oggetti artigianali sono portatori di un simbolismo, pregnante di significati legati alle singole culture e tradizioni. Forse il rilancio dell’artigianato fa parte di quel “torniamo indietro” che papa Francesco nella sua ultima Enciclica rivolge alle società industrializzate e disumanizzate: « se in alcuni casi lo sviluppo sostenibile comporterà nuove modalità per crescere, in altri casi, di fronte alla crescita avida e irresponsabile che si è prodotta per molti decenni, occorre pensare pure a rallentare un po’ il passo, a porre alcuni limiti ragionevoli e anche a ritornare indietro prima che sia tardi» (n. 193). Non si tratta ovviamente di un tornare al passato, in una sorta di tradizionalismo, ma di rintracciare il valore autenticamente creativo e innovativo proprio del lavoro artigianale.
Possiamo immaginare un rilancio dell’artigianato, non solo al livello politico delle economie degli stati, ma a livello pastorale, nelle Chiese locali: parrocchie e diocesi potrebbero valorizzare l’artigianato locale, mediante accademie e scholae, capaci di promuovere un lavoro profondamente umano, all’insegna della bellezza e della sostenibilità.
Rodolfo Papa è presidente dell’Accademia Urbana delle Arti. Sito internet: www.rodolfopapa.it Blog: http://rodolfopapa.blogspot.com e.mail: rodolfo_papa@infinito.it .
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NOTE
[1] Per quanto segue, cfr. R. Papa, Papa Francesco e la missione dell’arte, prefazione del card. R. Sarah e introduzione del card. A. Canizares, Cantagalli, Siena 2015 (in corso di pubblicazione).
[2] Per quanto segue, cfr. R. PAPA, Discorsi sull’arte sacra, introd
uzione del card. A. CANIZARES, Cantagalli, Siena 2012.
[3] L.SHINER, L’invenzione dell’arte. Una storia culturale [2001], trad.it., Einaudi, Torino 2010.
[4] Ibid., p. 11.
[5] Ibid.., pp. 15-16.
[6] Ibid., p. 18.
[7] I. Bergman espresse in modo particolare questi giudizi nel saggio Making films del 1954. Cfr. I. Bergman-R- Shargel, Interviews, University Press of Mississippi, 2007; M. Koskinen, Bergman revisited. Performance, cinema and arts, Wallflower Press, London 2008.