“Il credente che abbia preso in seria considerazione la propria vocazione cristiana, per la quale il martirio è una possibilità annunciata già nella Rivelazione, non può escludere questa prospettiva dal proprio orizzonte di vita. I duemila anni dalla nascita di Cristo sono segnati dalla persistente testimonianza dei martiri”. Così scriveva Giovanni Paolo II nella Bolla di Indizione del Grande Giubileo dell’Anno 2000.
E il pensiero corre alle drammatiche vicende dei cristiani, sottoposti a inenarrabili violenze nel Medio Oriente in fiamme. Ma anche alle vicende di casa nostra, dove l’estendersi della corruzione e della piaga mafiosa mette a rischio il tessuto della convivenza civile. Pochi giorni fa si è avuta notizia dell’aggressione, avvenuta a Palermo, ai danni di una suora del “Centro Arcobaleno 3P”, dedicato a padre Pino Puglisi. Il Centro è stato più volte oggetto di attacchi e, in un’occasione, è stata persino danneggiata un’icona del Beato caduto sotto i colpi della mafia. E tornano in mente le ingiurie, di segno opposto ma non meno violente, con cui i malavitosi usurpano e strumentalizzano i riti sacri, come l’esibizionistico funerale dei Casamonica a Roma, o il presunto “inchino” fatto compiere alla statua della Madonna davanti alla casa di un boss calabrese nel corso di una processione.
Ma la realtà è fatta anche di persone che difendono il bene. E che non si arrendono al dilagare della violenza cieca, di cui sono vittime tanto coloro che la subiscono quanto coloro che la pongono in essere (“Noi combattiamo il peccato e non le sue vittime” proclamava padre Jerzy Popieluszko, martire polacco beatificato nel 2010).
Al di là dello stato d’animo di sconcerto indotto dal reiterarsi quotidiano degli episodi di violenza, e volendo inquadrare gli avvenimenti in una prospettiva più ampia, occorre riaffermare la consapevolezza che, nel momento in cui l’arroganza e la presunzione stanno per vincere, accade qualcosa che rimette tutto in discussione. È questa la dialettica del corso storico, che ci fa comprendere che siamo immersi in un “tempo di mezzo”, un tempo difficile che costituisce il lavacro di passati errori. Il dramma attuale potrà forse porre le basi per un grande cambiamento, per ritrovare una misura più umana alla nostra esistenza…
Sono sentimenti e stati d’animo ai quali i poeti sono avvezzi. I poeti sono impegnati in una continua riflessione sul destino dell’uomo e sulle insidie che sempre si ripropongono. E non hanno paura di prendere posizione. Vogliamo ricordare, a tale proposito, il caso di Danilo Dolci (1924-1997), poeta animato da un profondo spirito evangelico che, nel corso della sua attività in Sicilia, divenne una delle voci più intense contro la mafia. Ansioso di giustizia sociale, militò tra la gente umile, sfruttata, per indurre negli oppressi una crescita di consapevolezza.
Danilo Dolci diede vita a molteplici iniziative, fondò centri di studi per sostenere l’occupazione, promosse attività assistenziali e dibattiti sulla questione meridionale (una questione, a tutt’oggi, ancora irrisolta). Rifacendosi ad un modello tipicamente negro-americano, organizzò delle marce di rivendicazione sociale a favore della gente umile, oppressa dallo sfruttamento. Con Carlo Levi e Rocco Scotellaro, è considerato tra i più significativi esponenti della letteratura meridionalistica del secondo dopoguerra.
Dalla produzione poetica di Danilo Dolci pubblichiamo una bella poesia, intitolata Come è gustosa l’acqua, dove l’autore esalta la saggia semplicità dell’impegno nel lavoro e della fede in Dio. Con una prospettiva di speranza: dopo aver superato il male – “il marcio del mondo” – si potrà tornare alla spontaneità ludica, alle “soavissime parole senza senso” del canto infantile.
COME È GUSTOSA L’ACQUA
di Danilo Dolci
Come è gustosa l’acqua
bevuta dalla conca delle palme,
come sono soavemente forti
gli asceti con i calli sulle mani
ed il bianco sapiente che ti porta
nella camera linda
il vaso per la notte,
dopo averti nutrito di buon pane
di parole di Dio e di buon vino.
Posso ancora concedermi all’incanto
di biancospini folti nella luna?
E indugiare
lo sguardo verso la finestra dove
tra il verde dei viticci appare
lei, come a caso, a volte –
ora, ora che so?
E quando avrò succhiato tutto il marcio
del mondo, canterò con i bambini
soavissime parole senza senso.
*
E per restare in tema, ecco di seguito un’intensa composizione di Alda Merini (1931-2009), dove l’istanza poetica diviene strumento d’impegno etico e civile, nel proporre un tributo al sacrificio di Giovanni Falcone, il magistrato siciliano considerato una delle personalità più eminenti nella lotta contro la mafia, che nel 1992 rimase vittima della tristemente nota strage di Capaci, assieme alla moglie e a tre agenti di scorta.
PER GIOVANNI FALCONE
di Alda Merini
La mafia sbanda,
la mafia scolora
la mafia scommette,
la mafia giura
che l’esistenza non esiste,
che la cultura non c’è,
che l’uomo non è amico dell’uomo.
La mafia è il cavallo nero
dell’apocalisse che porta in sella
un relitto mortale,
la mafia accusa i suoi morti.
La mafia li commemora
con ciclopici funerali:
così è stato per te, Giovanni,
trasportato a braccia da quelli
che ti avevano ucciso.
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