È passato un anno e mezzo, ma la ferita inferta da Bruxelles alla petizione Uno di Noi è ancora aperta. Con un repentino colpo di coda, nel maggio 2014, nel suo ultimo giorno di mandato, la Commissione europea decise di non presentare come proposta legislativa all’Europarlamento la raccolta firme più partecipata nella storia dell’Unione europea. A nulla servì che 1.894.693 persone dei 28 Stati membri chiedessero, con strumento democratico, il blocco dei finanziamenti europei alla ricerca scientifica che si serve di embrioni umani e a progetti di cooperazione che implicano la diffusione dell’aborto e dei farmaci abortivi.
Ma se qualcuno pensava di essersi liberato per sempre di quelle voci scomode, rimane oggi deluso. Un dossier pubblicato nelle scorse ore, infatti, annuncia la seconda fase dell’iniziativa Uno di Noi. L’obiettivo che si prefissano i promotori è quello di non rendere vano lo straordinario successo della petizione lanciata nel 2012. I destinatari del nuovo appello a Commissione e Parlamento europeo – che rimane inalterato nei contenuti – sono scienziati, medici, biologi, giuristi politici. La testimonianza pubblica di questi autorevoli professionisti consolida nella società il riconoscimento come “Uno di noi” del figlio fin dal concepimento.
D’altronde nel testo – che ZENIT ha potuto visionare in anteprima – si ribadisce quanto una “specifica conoscenza scientifica” ha decretato circa l’embrione, ossia che è appunto “uno di noi”. “Il nuovo genoma determina l’identità biologica specifica ed individuale del nuovo organismo – si legge -. Il processo vitale del nuovo soggetto umano è unico e continuo dallo stadio unicellulare alla morte individuale”.
Al contempo, i promotori dell’iniziativa chiedono che si dia una risposta coerente all’art. 2 del Trattato di Lisbona, secondo il quale l’Unione europea è fondata sui valori della dignità umana, dell’uguaglianza, e del rispetto dei diritti umani”. Sempre il Trattato di Lisbona – si rammenta nel dossier – introduce la cosiddetta “iniziativa dei cittadini”, a cui è attribuita grande importanza giacché la si ritiene idonea a ridurre il “deficit democratico” avvicinando i cittadini alle istituzioni politiche continentali. L’iniziativa dei cittadini, che consiste nella raccolta di almeno un milione di firme in tutti e 28 gli Stati membri dell’Ue, obbliga la Commissione a dare una risposta entro 3 mesi all’istanza presentata.
Risposta che è stata ritenuta insufficiente nel maggio 2014. Si fa un gran parlare, oggi, dei diritti umani, ma in pochi tra quanti ci si riempiono la bocca è capace di spiegare “chi è titolare di questi diritti umani”. Di qui la domanda che Uno di Noi ripropone alla Commissione europea: “L’individuo vivente appartenente alla specie umana, appena comparso nell’esistenza, è un soggetto o un oggetto, un fine o un mezzo, una cosa o una persona?”.
I promotori dell’iniziativa rilevano sommessamente che “le leggi e i comportamenti sono largamente coerenti con l’idea che l’embrione umano sia ‘una cosa’, ma ben pochi hanno il coraggio (o meglio l’impudenza) di proclamarlo”. Questo atteggiamento è la conseguenza – proseguono – di una “inquietudine di fondo che si manifesta nel ‘rifiuto dello sguardo’ sull’embrione umano”, che è lo sguardo “della mente e del cuore, ben più penetrante di quello degli occhi”.
Il dossier fa quindi menzione di un paio di sentenze che dimostrano che “nei rari casi in cui è stato impossibile sfuggire di fronte alla domanda fondamentale, il volto umano dell’embrione è emerso dalle nebbie”. Si tratta della sentenza Brüstle del 2011, quando la Corte europea di giustizia ha dichiarato non brevettabili le invenzioni che utilizzano embrioni umani. E si tratta poi della recente decisione della Corte Europea dei diritti dell’uomo (27 agosto 2015) di respingere la richiesta di una donna la quale – in nome del diritto di proprietà – pretendeva di donare alla scienza a scopi di sperimentazione distruttiva cinque embrioni crioconservati da molti anni.
Sentenze, queste due, che dimostrano come sia possibile contrastare la “dittatura del pensiero unico”, che vuole ridurre al silenzio l’obiezione di coscienza del personale sanitario. “In effetti – spiega il dossier – l’obiezione di coscienza mantiene nella società lo sguardo sul concepito ed è perciò intollerabile da chi vorrebbe imporre un pensiero unico. Tanto più, dunque, è necessario che nella coscienza collettiva l’obiezione mantenga quel valore etico che le è attribuito dalla Costituzione e dal progresso civile”.
Pertanto le testimonianze a favore della vita, se fatte giungere alla conoscenza dei popoli, possono – la considerazione dei promotori di Uno di Noi – “risvegliare la motivazione del coraggio nella mente e nel cuore di molte giovani donne, di madri e padri, di famiglie, di ambienti nei quali di fatto maturano le decisioni di vita o di morte”.
I promotori ammettono infine che “è facile avvertire un senso di stanchezza e delusione quando si chiedono forme di adesione in favore del diritto alla vita”. Il successo di Uno di Noi dimostra però che vale la pena andare avanti. Da questa petizione è nata infatti la Federazione europea per la vita e la dignità dell’uomo Uno di noi, una struttura permanente che ha lo scopo di non far dimenticare mai la voce dei 2milioni di cittadini che quell’appello hanno condiviso. “Sorvegliando l’azione delle istituzioni europee, organizzando eventi, elaborando studi e proposte – conclude il dossier -, tale Federazione assicura, già con il suo stesso esistere, che non ci sarà mai resa o rassegnazione di fronte alla congiura contro la vita”.