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La metafisica aristotelico-tomistica (Sesta parte)

Ente come sostanza e come accidente

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I trascendentali, come abbiamo visto[1], sono modi di considerare, cioè di concepire e dire la realtà: uno (unum), cosa (res), qualcosa (aliquid), “buono” (bonum), “vero” (verum), “bello” (pulchrum) sono dedotti logicamente dal concetto di “ente” (ens), e hanno la stessa estensione di quest’ultimo. Di ogni realtà si può infatti affermare che è ente, cosa , qualcosa, buono, vero, bello e queste distinzioni sono soltanto concettuali e non reali.

I trascendentali sono così denominati perché trascendono le categorie, le quali sono determinazioni della realtà, e sono quindi realmente distinte le une dalle altre[2]. Aristotele presenta una sorta di “catalogo” della realtà, classificandola secondo dieci modi di essere: sostanza, quantità, qualità, relazione, azione (produrre), passione (subire), quando o tempo, dove o luogo, sito (le circostanze del luogo), abito (l’essere rivestito).

La categoria ontologica fondamentale, secondo Aristotele e San Tommaso, è la sostanza, perché tutte le altre sono ad essa subordinate, in quanto esistono soltanto in riferimento a lei[3].

Van Steenberghen, esemplifica questo concetto riferendosi a un individuo umano.

Scrive:

“Socrate è uomo, cioè un ente sussistente appartenente alla specie umana, una sostanza (substantia). E’ corporale o esteso, di piccola taglia ma largo di spalle: aspetti quantitativi (quantum). E’ bianco di pelle, nero di capelli, intelligente, onesto: aspetti qualitativi (quale). E’ orefice, lavora metalli preziosi: azione (actio). Ma è sensibile al freddo e ha subito il morso di un serpente: passione (passio). E’ figlio di Zenone e fratello di Calliade, che sono più grandi di lui: egli ha dunque delle relazioni con altri (relatio, esse ad). Ha 60 anni ed è vissuto nel IV secolo a. C.: la sua vita è misurata dal tempo (quando). Si trova a Tebe: occupa un luogo (ubi). E’ vestito di una tunica e porta un’arma: è il suo avere (habitus). Infine è seduto, sdraiato o in piedi (situs)”[4]

I filosofi scolastici definivano la sostanza “primum ens” e tutte le altre categorie “ens entis”, ente dell’ente, in quanto tutte ineriscono a lei, cioè si appoggiano a lei, ad-cidunt, “cadono” su di lei, cioè sono “accidenti”.

La sostanza ha l’essere in sé stessa, a differenza dell’accidente che ha l’essere nella sostanza. La sostanza ha l’essere in sé, e l’accidente ha l’essere in altro.

L’accidente è un modo di essere della sostanza.

Nel mondo esistono propriamente delle sostanze, ad esempio degli alberi, degli uomini e non degli accidenti. Non esiste in se stesso il colore verde o l’allegria. Il colore verde e l’allegria esistono, reciprocamente, soltanto negli alberi e in ogni sostanza colorata di verde o negli esseri umani.

Scrive in proposito Aristotele:

“Dicendo, ad esempio, che «il giusto è musico», esprimiamo un essere accidentale, in quanto «giusto» e «musico» sono solamente in quanto si riferiscono ad altro, il quale è in senso vero e proprio. E, così, esprimiamo un essere accidentale dicendo: «l’uomo è musico» in quanto «musico» è, appunto in quanto è accidente di «uomo», il quale costituisce ciò che propriamente è[5].

La sostanza è ciò che sub-stat, sta sotto agli accidenti e li sostiene. La sostanza è sempre “sostanza individua”, infatti esiste non l’umanità, ma questo o quell’uomo. Esistono gli individui: Pietro, Paolo ecc.

L’esistenza della sostanza è assolutamente innegabile. Scrive infatti giustamente Lucas Lucas:

“[…] L’esistenza della sostanza individuale si mostra evidenziando la contraddizione in cui cade colui che la nega e richiamando la stessa esperienza ordinaria. Chiunque afferma che certe qualità e certe determinazioni sono «di» qualcosa o «di» qualcuno, indica implicitamente una sostanza determinata: più proprietà e atti sono riferibili a uno stesso uomo. L’esperienza ci attesta e ci mostra che i corpi mutano e si trasformano, rimanendo gli stessi; è la stessa pianta, o lo stesso animale o lo stesso uomo, che nasce, cresce e muore”[6].

La sostanza sub-stat, sta sotto, agli accidenti, ma anche sub-sistit, sussiste[7].

Il cosmo è costituito da una totalità di sostanze esistenti, le quali permangono identiche, immutabili, fino a quando esistono: ad esempio Pietro rimane sempre lo stesso Pietro, la sua sostanza non può mutare, mentre ci saranno cambiamenti accidentali, perché con il tempo invecchierà, perderà la memoria ecc. ma rimarrà sempre lo stesso Pietro fino al momento della morte, quando avverrà, come vedremo in seguito, un cambiamento sostanziale.

La sostanza, come afferma Aristotele, è il “primo ente”[8]. Essa è l’ente in senso forte, infatti ogni accidente esiste soltanto in rapporto alla sostanza, è cioè ente dell’ente (ens entis). Gli accidenti sono i fenomeni sensibili che manifestano la sostanza; ad esempio, conosciamo la sostanza-sedia tramite la sua forma esteriore, visibile ai nostri occhi.

La sostanza è il fondamento degli accidenti, ma ciò non significa che questi ultimi siano influenti per la costituzione ontologica degli enti.

Nel caso dell’essere umano, come per ogni ente, le dimensione sostanziale, pur essendo fondamentale, determina in minima parte la realtà dell’ente.

E’ interessante notare che bambini cresciuti senza il contatto umano, ma allevati da animali in seguito al loro smarrimento o abbandono, sono privi degli accidenti che sono presenti normalmente in tutti bambini. Essi, infatti, non hanno sviluppato le più elementari operazioni vitali, come, ad esempio, parlare o camminare in posizione eretta, cioè sono privi di alcuni modi di essere accidentali che sono presenti nella sostanza umana, la quale permane sostanza umana anche se priva dell’accidente parlare e camminare.

Durante l’Illuminismo alcuni studiosi, come Condillac, Lamettrie e Rousseau, dissentivano tra loro circa l’essenza dell’uomo, definendolo o un “animale naturale” o un “animale culturale”. Per tentare di dirimere questo problema tali studiosi hanno esaminato alcuni casi di bambini allevati da animali, con l’intento di trovare conferme o smentite alle loro tesi[9].

Altri studi sui cosiddetti “ragazzi selvaggi” sono stati svolti, con intenti analoghi, anche in anni recenti[10] e tutti mostrano quanto sia necessaria un’opera di educazione che, dalla nascita in poi, aiuti l’essere umano a svilupparsi.

Ludovico nel suo saggio, intitolato La scimmia vestita. Bambini lupo, orso, leopardo, gazzella…47 casi di ragazzi selvaggi, riporta 47 casi di bambini e ragazzi allevati da lupi, orsi, capre, pecore, maiali, leopardi e gazzelle.

Nel caso dei bambini allevati dai lupi il linguaggio verbale è assente. Infatti “tutti [i bambini-lupo] condividono una caratteristica comune, che è importante per lo studioso della lingua più ancora c
he per lo studioso della mitologia, cioè la mancanza di linguaggio ”[11].

Le ricerche condotte sui bambini-lupo documentano che è frutto dell’educazione non soltanto l’acquisizione del linguaggio verbale ma anche l’assunzione della posizione eretta, la socializzazione con i propri simili e le abitudini alimentari. Viene riportato il caso di un bambino di circa 9-10 anni vissuto in isolamento, che, trovato in una tana insieme ad un lupo e a due cuccioli, viene catturato.

Inserito in un normale contesto sociale “il fanciullo cammina a quattro zampe; non parla ed emette solo ringhi. Ha paura degli adulti e scappa, al contrario, ringhia contro i bambini e cerca di graffiarli. E’ disgustato dai cibi cotti e invece divora con avidità la carne cruda. Mentre mangia non permette a nessuno di avvicinarsi, ma divide, senza opporsi, il suo cibo con un cane. In seguito impara a mangiare qualsiasi cosa, sebbene il cibo preferito rimanga la carne cruda; rosicchia ossi, specialmente se sono crudi, e mangia terra e sassolini. Non lo si può costringere ad indossare nessun indumento, neanche nella stagione più fredda. Continua a preferire cani, sciacalli e tutti gli altri quadrupedi, e non disdegna di dividere il cibo con essi. Non mostra attaccamento per nessuno e non gioca mai con i bambini. Sembra capire poco di quanto gli si dice e non curarsi di quanto gli accade intorno. Solo raramente adopera dei segni quando vuole qualcosa e soprattutto quando ha fame, allora si indica la bocca […]”[12].

E’ un fatto culturale il camminare in posizione eretta, esprimersi con una lingua, vestirsi, cibarsi di carne cotta, ecc. e tutto l’ambito della cultura delle acquisizioni culturali e religiose. Ogni uomo, da Adamo fino all’ultimo uomo, rimane sostanzialmente sempre lo stesso, mentre si diversifica accidentalmente da ogni altro per la cultura e la religione di appartenenza?

“La natura dell’accidente – scrive San Tommaso – è inerire”[13] nelle sostanze, e alcuni vi ineriscono in modo contingente, cioè possono esserci o non esserci, come nel caso del linguaggio verbale o del camminare in posizione eretta, e altri vi ineriscono in modo necessario, come nel caso delle facoltà fondamentali dell’anima, cioè l’intelletto e la volontà.

Scrive in proposito Maritain:

“Ci sono accidenti contingenti (cioè che possono mancare al soggetto) reali e realmente distinti dalla sostanza. […] Ci sono accidenti necessari (cioè che non possono mancare al soggetto) reali e realmente distinti dalla sostanza”[14].

(Il prossimo articolo segue sabato 7 novembre. La quinta parte è stata pubblicato sabato 24 ottobre 2015)

*

NOTE

[1] Vedi precedente articolo.

[2] Cfr. Aristotele, Metafisica, V, 7, 1017 a 22-27.

[3] Ibidem, IX, 1, 1045 b.

[4] F. Van Steenberghen, Le Thomisme, Presses Universitaires de France, Paris 1983, II ed., pp.54-55.

[5] Aristotele, Metafisica, V, 7, 1017 a 7. Il corsivo è mio.

[6] R. Lucas Lucas, Antropologia e problemi bioetici, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2001, pp. 92-93.

[7] Il termine sostanza può avere altri significati oltre a quelli qui espressi (cfr. San Tommaso d’Aquino, Somma Teologica, I, 29, 2 ). E’ all’interno del contesto di un discorso che si può comprendere il significato con cui viene usato il termine sostanza, come anche delle parole essenza e essere.

[8] Aristotele, Metafisica, citato in J. Maritain, Elements de philosophie, vol. I, Pierre Tequi, Paris 1994, XXXI ed., p. 222.

[9] Cfr. in proposito: E. de Condillac, Essai sur l’origine des connaissances humaines,  Armand Colin, Parigi 1924; J.O. de Lamettrie, L’uomo macchina e altri scritti, Feltrinelli, Milano 1973; J.J. Rousseau, Discours sur origine et les fondements de l’inégalité parmi les hommes, March Michel Rey, Amsterdam 1755.

[10] Cfr. A. Ludovico, La scimmia vestita. Bambini lupo, orso, leopardo, gazzella…47 casi di ragazzi selvaggi, Armando, Roma 1979.

[11] Ibidem, p. 31.

[12] Ibidem, p. 35.

[13] San Tommaso d’Aquino, De natura accidentis, n. 466.

[14] J. Maritain, Elements de philosophie, cit., pp. 163-164.

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Maurizio Moscone

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