Ha costruito la sua campagna elettorale scendendo in strada in mezzo agli indignados. Ora che è diventata sindaco di Madrid, tuttavia, non sembra che a indignarla davvero siano i gravi problemi economici e politici che vi sono, come altrove, anche in Spagna. Già, perché la preoccupazione maggiore di Manuela Carmena e della sua amministrazione di sinistra è di cancellare dalla vita pubblica tutti i segni e le tradizione cattoliche.
A meno di due mesi dal Natale, una decisione di Carmena ha già acceso una fiamma, che non è quella tenue di una candela, bensì è quella arroventata delle polemiche. La notizia, non ancora resa ufficiale, è che dalla capitale spagnola potrebbe sparire lo storico presepe di Palacio de Cibeles, sede del Municipio.
Secondo la Carmena, infatti, non tutti i cittadini si identificano con il simbolo della Natività. Motivo valido per lasciare il presepe in soffitta dimostrando con questo gesto che il Natale “non è patrimonio esclusivo” dei cattolici. Al contempo, si starebbero studiando soluzioni alternative cosiddette “inclusive”. Forse qualcosa che esalti la religione civile, tanto glorificata dalle ideologie positiviste e propagata dai regimi totalitari del secolo scorso, ed oggi tornata in auge grazie all’impegno degli alfieri del laicismo.
Poco importa se questo impegno si scontra con la volontà e forse pure con i sentimenti religiosi della stragrande maggioranza dei cittadini. Esempio calzante lo offrono proprio la città di Madrid e il suo celeberrimo presepe di Palacio de Cibeles. Quest’ultimo rappresenta ogni anno, in occasione delle festività natalizie, una eccezionale attrattiva. Sono stati 50mila i visitatori nel 2014, i quali hanno potuto apprezzare il folclore di una produzione napoletana del XVIII secolo. Ma il record si è registrato tre anni fa, quando circa 100 mila cittadini si sono messi in fila per guardare questa meraviglia artistica dal fascino immutato nel tempo.
Proprio dal cuore del popolo madrileno si è alzata una vivace protesta che potrebbe aver già dato i suoi frutti. Su Twitter la Carmena ha lanciato un sibillino messaggio: “Questo Natale sarà per tutti e tutte. Chiaro che ci saranno presepi, cavalcate e altre tradizioni. A metà novembre offriremo i dettagli”. Si tratta di una marcia indietro oppure è solo l’anticamera di un annuncio – come ritengono in molti – che il presepe verrà spostato altrove, lontano da luoghi che rappresentano le istituzioni?
Restano i dubbi, ma anche un’avvilente certezza: in alcuni ambienti politici progressisti vige un sempre più pesante clima di ripudio nei confronti della religione cristiana. Madrid, del resto, non è la prima città dove si siano accesi confronti su questi temi. In Italia, nonostante siano ancora tantissimi i Comuni che ostentano con orgoglio il bagaglio culturale e spirituale del cristianesimo, si assiste anche a cambi di amministrazione che decidono di rompere con le tradizioni.
È il caso di Milano, dove il sindaco Giuliano Pisapia ormai da anni ha deciso di vietare l’installazione del presepe nel cortile di Palazzo Marino, sede del Comune. L’anno scorso era stata persino paventata l’ipotesi di un divieto di allestire simboli religiosi nelle scuole meneghine.
Travalicando le Alpi, la battaglia per la rappresentazione della Natività interessa anche l’ambito giudiziario. È del dicembre scorso la decisione del Tribunale amministrativo di Nantes di vietare l’esposizione di presepi in luoghi pubblici. Una notizia rassicurante circa il mantenimento delle tradizione religiose è giunta però a luglio, quando un altro Tribunale amministrativo, quello di Montpellier, ha respinto il ricorso di alcuni gruppi anti-cristiani contro il presepe allestito con il consenso del sindaco di Béziers, Robert Ménard. Quest’ultimo, festeggiando per la sentenza, ha annunciato che quest’anno farà un presepe ancora più grande. Una testimonianza di resistenza alla secolarizzazione.