Christian shop owner in the Old City of Jerusalem

ACN

Terra Santa. Cristiani stanchi di pagare il prezzo del conflitto israelo-palestinese

L’ormai piccola comunità cristiana nel 1947 costituiva il 20% della popolazione, mentre oggi raggiunge a stento il 2%

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“I pellegrini hanno troppa paura e non visitano più la Terra Santa. Noi cristiani paghiamo un prezzo per ogni ondata di violenza, ogni intifada”. È lo sfogo raccolto da Aiuto alla Chiesa che Soffre di Alfred Raad, un negoziante cristiano di Gerusalemme.

Seduto dietro al bancone del suo negozio vuoto ormai da giorni, l’uomo racconta quanto le tensioni tra israeliani e palestinesi influiscano sull’unica fonte di sostentamento degli ormai pochissimi cristiani rimasti in Terra Santa: il turismo. “Ogni volta che si registrano scontri tra le due fazioni, l’attività resta inattiva per lungo tempo e sono costretto a contrarre debiti per dare di che vivere alla mia famiglia e mandare i miei figli a scuola. Ma non posso continuare così”. Sulla porta della sua piccola attività è appeso un poster di Papa Francesco che invita i clienti ad entrare. Ma non c’è nessuno a rovistare tra rosari, candele e altri articoli religiosi. E come in quello di Alfred, anche nei tanti altri negozi di articoli sacri gestiti da cristiani non ci sono clienti.

Le difficoltà economiche e la disoccupazione sono tra le principali cause del massiccio esodo di cristiani dalla Terra Santa. L’ormai piccola comunità nel 1947 costituiva il 20% della popolazione, mentre oggi raggiunge a stento il 2%.

Le uniche possibilità d’impiego offerte loro sono nel settore turistico e nella produzione di articoli sacri. L’arte di realizzare manufatti in madreperla o in legno di ulivo è un’antica tradizione importata dai padri francescani nel XV secolo e tramandata di generazione in generazione. Per le famiglie di fedeli questa arte rappresenta un’espressione della propria identità religiosa e al tempo stesso un mezzo di sostentamento che consente loro di continuare a vivere nel proprio luogo natio.

Padre David Neuhaus, gesuita incaricato della pastorale dei cristiani di lingua ebraica, sottolinea l’importanza della presenza cristiana nella regione. «Noi costituiamo circa il 2% sia in Palestina che in Israele e siamo chiamati ad essere ponti di pace. Ecco perché dobbiamo impegnarci a promuovere i valori in cui crediamo all’interno di entrambe le società». Il religioso teme tuttavia che lo scontro tra Israele e Palestina possa creare una frattura tra cristiani palestinesi e non palestinesi. “La Chiesa è fortemente impegnata nel promuovere l’unione in seno alla comunità cristiana. È una vera sfida: se le divisioni nazionali sono reali, specie in questi giorni di conflitto che stiamo vivendo, altrettanto reale deve essere l’unità che deriva dalla nostra fede”.

Alfred, attraverso Aiuto alla Chiesa che Soffre, lancia un appello ai fratelli nella fede di tutto il mondo. “Continuate a visitare la Terra Santa, è l’unico modo per sostenerci. Se noi cristiani non vivessimo più qui, la Città Vecchia e la Chiesa del Santo Sepolcro diverrebbero un museo. E in Terra Santa non vi sarebbero più pietre vive”.

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ZENIT Staff

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