Può una teologia della credibilità centrata sul Rivelatore per eccellenza, Gesù Cristo, e sulla testimonianza della Chiesa, offrire segni convincenti a chi ancora non crede? È oggi possibile, superato il modello dell’Apologetica classica, elaborare una sistematica dei motivi di credibilità della Rivelazione che rendono ragionevole la donazione personale a Dio nella fede? L’opera di G. Tanzella-Nitti, Teologia fondamentale in contesto scientifico, ordinario di Teologia fondamentale presso la Pontificia Università della Santa Croce e direttore della Scuola Internazionale Superiore per la Ricerca Interdisciplinare (SISRI) affronta queste domande, esaminando senza sconti le implicazioni dell’annuncio del Vangelo nel contesto socio-culturale contemporaneo, accettando che la razionalità filosofica e scientifica facciano da “contrappunto”, con le loro obiezioni, alla pretesa cristiana. Destinati in primo luogo al dibattito teologico, i due corposi volumi intitolati, rispettivamente, La Teologia fondamentale e la sua dimensione di Apologia (vol. 1) e La credibilità del cristianesimo (vol. 2), appena pubblicati, saranno seguiti da altri due volumi di una Teologia della rivelazione in contesto scientifico, tuttora in preparazione. Le riflessioni proposte dall’autore offrono una sistematica sulle ragioni della fede che desidera essere fruibile, con le opportune mediazioni, anche in sede pastorale e catechetica, fornendo a coloro che vi operano un aiuto per il loro lavoro ecclesiale, restituendo alla Teologia fondamentale il suo compito di diaconia alla nuova evangelizzazione. Di seguito l’intervista al prof. Tanzella-Nitti.
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Siamo abituati a pensare che le scienze provochino la teologia con i loro risultati, ingaggiando spesso in accesi dibattiti. Come mai l’idea di una teologia fondamentale “in contesto scientifico”?
Proprio perché desideriamo andare al fondo delle cose e non ci accontentiamo di mezze verità, è logico chiedere che la teologia, nella sua riflessione, tenga conto di questi risultati, almeno nella misura in cui essi ci offrono una conoscenza certa e condivisa. La Teologia fondamentale è chiamata ad aprire la strada in questo senso, avendo al suo centro l’esposizione della Rivelazione e della sua credibilità e dovendo pertanto entrare nel merito del rapporto fra fede e ragione. Nella ricerca della verità la teologia ha come compagne di viaggio la filosofia, la storia, le scienze. Con loro deve saper condividere la fatica del cammino, con tutto ciò che questo comporta, comprese eventuali incertezze e battute d’arresto. La teologia non deve però mancare di indicare loro la stella di orientamento della Rivelazione.
La parola di Dio, infatti, indica la direzione verso cui dirigerci e, grazie a questa stella, il teologo può aiutare i suoi compagni a riprendere coraggio quando si perde la strada. Così è accaduto, ad esempio, ad una certa filosofia del Novecento quando ha smarrito la direzione di marcia, quella della domanda su Dio come fondamento e come fine a cui tende la ricerca dell’umana felicità. Conoscere gli insegnamenti della Rivelazione, però, non risparmia dal dover cercare la strada, che talvolta andrà tracciata perché, anche in teologia, potrebbe non ancora esistere. Una teologia in contesto scientifico deve saper svolgere i suoi argomenti sapendo accettare il contrappunto critico dei suoi compagni di viaggio, la filosofia, la storia e le scienze; se, da un lato, essa indica loro la stella di orientamento, dall’altro viene aiutata a formulare quegli argomenti in modo più convincente.
Nella sua opera torna a parlare di Apologetica e di preamboli della fede. Non erano temi ormai messi in secondo piano dalla Teologia fondamentale contemporanea?
La Teologia fondamentale contemporanea ha giustamente sviluppato la sua dimensione teologica, ricordando che i motivi ultimi della credibilità della Rivelazione vano cercati nella Rivelazione stessa, vanno fondati sul Rivelatore per eccellenza, Gesù Cristo. In tal senso, i motivi per credere non vanno chiesti alla filosofia, alla storia o alle scienze. In questo, forse, l’Apologetica tradizionale aveva tentato una fondazione troppo debitrice all’analisi razionale della fede, dirigendo meno lo sguardo verso la credibilità di Gesù Cristo, quella della sua persona, della sua misericordia, della sua personalità affidabile e attraente. Al tempo stesso, il superamento della precedente Apologetica non va interpretato in modo necessariamente conflittuale. La Teologia fondamentale deve saper recuperare quella sua dimensione di “apologia” che ha innervato le opere dei Padri, dei medievali e dei moderni. Un’apologia che non voleva dire difesa o condanna, ma illustrazione di un compimento in Cristo delle aspirazioni dell’umanità. Ritengo che l’affermazione patristica che il cristianesimo sia la vera religione e la vera filosofia conservi ancora oggi tutta la sua validità. Essa ha però bisogno di coraggiose traduzioni che la rendano fruibile nel contesto multiculturale e multireligioso in cui viviamo. Proprio la religione e la filosofia, l’autentica esperienza religiosa e il desiderio di conoscere la verità restano, a mio avviso, i principali preamboli della fede che occorre riscoprire e valorizzare.
Lei impiega con frequenza l’idea che la ragione contemporanea non pare più “capace di fede”, perché indebolita. Cosa suggerisce per risanarla?
La ragione è malata perché l’uomo è malato. Oggi, annunciare il Vangelo implica anche il compito di risollevare l’uomo. La società in cui viviamo è in larga parte non più cristiana, ma per certi versi anche sempre meno umana. Occorre, cioè, ridare slancio all’uomo e alla sua ragione, ricordandogli che può cercare la verità con fiducia e speranza. L’essere umano va incoraggiato a riconoscere la propria condizione di creatura in un mondo creato, esortato a fare l’esperienza dei beni relazionali come unici beni in grado di soddisfarlo; va in sostanza aiutato a vivere secondo la propria verità, quella di creatura a immagine e somiglianza di Dio. Quattro le condizioni per risanare la ragione contemporanea: occorre che la ragione sia realista, sappia cioè partire dalla conoscenza del mondo oggettivo, e non solo dal proprio io; è necessario che sia libera dai vincoli dell’ideologia, dell’ignoranza e del pressapochismo, libera di cercare la verità e legarsi solo ad essa. La ragione, inoltre, deve saper essere umile, riconoscendo che non può proporsi come misura del tutto, perché è immersa nel mistero dell’essere, che la precede e l’accompagna; ed infine deve saper essere ottimista, perché con la sfiducia, il dubbio e lo scetticismo non si costruisce un vero progresso conoscitivo, né si può vivere: occorre sapersi affidare all’altro accettando la parola di testimoni credibili. Solo una ragione così formata può aprirsi all’ascolto della Parola di Dio e riconoscerla significativa per l’uomo. Chi annuncia il Vangelo non può più ignorarlo. Diversamente, la predicazione cristiana corre il rischio di cadere nel vuoto e di scivolare via. E ciò non solo per un motivo di linguaggio o di canoni di comunicazione, come oggi si sente ripetere spesso, ma, più radicalmente, soprattutto per la mancanza di una ragione sana in grado di accoglierla.
Una volta l’Apologetica aveva come fine nutrire la pastorale e la catechesi. Non sembra che sia stato questo il compito della Teologia fondamentale dopo il Concilio Vaticano II. Cosa si propone la sua Teologia fondamentale in contesto scientifico?
I vecchi manuali di Apologetica presentavano una sistematica dei motivi di credibilità che veniva poi largamente impiegata nella pastorale e nella catechesi. Con l’avvento della contemporanea Teologia fondamentale e il superamento dell’Apologetica cattolica di impostazione neoscolastica questa sistematica è venut
a a mancare. Nell’itinerario verso la fede si sono valorizzate, e giustamente, le dimensioni esistenziali, esperienziali e forse anche quelle emotive, ma ciò ha fatto perdere forza al momento di dialogare con la cultura scientifica e con il sapere critico in generale. La sfida consiste nell’elaborare una sistematica della credibilità della Rivelazione che, senza tradire la nuova impostazione teologica, sappia offrire argomenti fruibili anche dai non credenti ed essere trasmessa, con le mediazioni del caso, nella catechesi ecclesiale. Questa Teologia fondamentale in contesto scientifico vuole raccogliere proprio questa sfida, armonizzando la precedente logica dei motivi di credibilità con quella odierna dei segni di salvezza. In tal senso, la Teologia fondamentale è chiamata a riscoprire la sua diaconia alla fede. Essa non può solo limitarsi all’esposizione del mistero cristiano, come già richiesto alla dogmatica, ma deve saper spiegare cosa rende questo mistero significativo per l’uomo, attraente, ragionevole, credibile.
Scorrendo l’indice dei suoi due ponderosi volumi si trovano capitoli dedicati a personaggi come Nicolò Cusano, Gerolamo Savonarola, il chimico Robert Boyle, il geologo Antonio Stoppani o il discusso Pierre Teilhard de Chardin. Cosa hanno da dire questi autori ad una Apologetica in contesto scientifico?
Sono stati una scoperta anche per me. La storia della teologia è ricca di personaggi straordinari, che mantennero un serrato dialogo con la cultura del loro tempo. Alcuni svilupparono un’apologetica esplicita, altri si preoccuparono di riconciliare la fede con la scienza del loro tempo, secondo un’implicita dimensione apologetica, come fa ad esempio Teilhard de Chardin. Un autore come Antonio Stoppani, padre della geologia del territorio italiano e sacerdote, esortò il clero ad approfondire le scienze perché, conoscendole poco, le avrebbero viste dapprima con diffidenza e poi combattute con ingenuità. Le opere di Robert Boyle, padre fondatore della chimica moderna e pensatore anglicano, sono ricche di spunti per una catechesi odierna agli uomini di scienza. Un’opera come De pace fidei di Nicolò Cusano, che fa entrare in campo i rappresentanti delle religioni e dei movimenti culturali del suo tempo allo scopo di individuare un’implicita base di dialogo, potrebbe essere rappresentata con successo ai nostri giorni, perfino in teatro, e rivelerebbe un’insospettata attualità. Dal Triumphus crucis di Savonarola, si potrebbe facilmente ricavare un corso di comunicazione della fede, come mostrano le 35 edizioni che conobbe l’opera in meno di due secoli. Insomma, c’è molta ricchezza nella storia del pensiero cristiano, una ricchezza che non va persa. In epoche di crisi come la nostra è anche a queste fonti che possiamo tornare ad attingere.
Un’ultima curiosità: lei dedica una lunga sezione alla Sindone di Torino e lo fa entro il capitolo sulla credibilità della Risurrezione di Gesù Cristo. Cosa vuol dirci di nuovo?
La Sindone è un oggetto straordinario e mi ha sempre suscitato interrogativi supremi. Mi sono chiesto perché la riflessione teologica, a parte un certo collegamento con l’esegesi biblica, non l’ha mai incluso nelle sue riflessioni documentali. Non sappiamo se l’uomo della Sindone sia Gesù di Nazaret, è vero. Ma possiamo ugualmente esplorarne le implicazioni teologiche, esaminandole scientificamente. È quello che ho cercato di fare. Altri reperti documentali ci parlano di personaggi che potrebbero essere Gesù di Nazaret, come il famoso Chresto impulsore di Svetonio o il mite re di Gerusalemme della lettera di Ben Serapion. Di essi si discute e si pongono in rapporto con altri reperti documentali per verificarne il contenuto. Con la Sindone di Torino non lo si fa, di solito, ma non vedo, in linea di principio, delle ragioni che ce lo impediscano. C’è poi da dire che una gran parte dell’ambiente scientifico è interessato a questo oggetto ed una Teologia in contesto scientifico come quella che intendevo proporre al pubblico non poteva passarvi oltre…
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Giuseppe Tanzella-Nitti (1955, www.tanzella-nitti.it) è professore ordinario di Teologia fondamentale presso la Pontificia Università della Santa Croce a Roma. Dirige il Centro di Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede (disf.org) e la Scuola Internazionale Superiore per la Ricerca Interdisciplinare (sisri.it). Laureatosi nel 1977 in Astronomia a Bologna, ha lavorato fino al 1985 nell’ambito della ricerca scientifica, prima come ricercatore CNR e poi come astronomo, pubblicando lavori in radioastronomia e astronomia extragalattica. Conseguiti nel 1988 la licenza e nel 1991 il dottorato in Teologia dogmatica, prima di dedicarsi alla Teologia fondamentale è stato docente del Trattato su Dio e di Antropologia teologica. Si occupa attualmente di Teologia della Rivelazione, dello studio dei rapporti fra teologia e filosofia, fra Rivelazione cristiana e pensiero scientifico. Autore di una quindicina di volumi e di oltre 150 articoli, ha diretto per Città Nuova, insieme ad Alberto Strumia, il Dizionario Interdisciplinare di Scienza e Fede in 2 volumi (Roma 2002).