Pediatri, chirurghi, ginecologi, bioeticisti, psicologi, psichiatri, biologi, filosofi, saggisti, insegnanti, giornalisti. Ricco l’elenco di aree disciplinari dei 22 professionisti di comprovata esperienza che compongono la Commissione Scientifica per la Famiglia. Costituita la scorsa settimana, si propone di tutelare la famiglia “quale unica istituzione preposta all’evoluzione dell’umanità e all’educazione dei bambini”. Per farlo, produrrà informazione scientifica multi e inter disciplinare “alla luce degli studi sull’Uomo e sul suo sviluppo psico-fisico e antropologico”.
Portavoce della Commissione è il prof. Massimo Gandolfini, primario neurochirurgo e neuropsichiatra nonché anche portavoce del Comitato Difendiamo i Nostri Figli. Nell’intervista che segue, presenta a ZENIT il nuovo progetto a favore delle “verità scientifiche” e contro “le menzogne di una certa propaganda ideologica”.
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Professore, come nasce l’idea di istituire questa Commissione?
Nasce dalla consapevolezza che è mutato il terreno culturale. In passato nessuno si sarebbe mai sognato di dire che un bambino possa liberamente scegliere la propria identità di genere – anche in opposizione alla sua identità sessuata – ed essere cresciuto ed educato al di fuori di un ambito familiare composto da un papà e una mamma. Negli ultimi trent’anni circa, al contrario, si struttura l’idea del gender e si afferma che per la costruzione armonica della personalità del bambino non sono indispensabili le figure materna e paterna. Si tratta di affermazioni prive della più elementare scientificità; in particolare, in tema di genitorialità, in contrasto con tutta la letteratura internazionale sul tema, dal 1900 ad oggi. Quindi di fronte a una propaganda ideologica a favore della cosiddetta omogenitorialità (che è figlia degli assiomi gender), ci è parso necessario dover recuperare le nostre radici culturali e scientifiche. Di qui la nascita della Commissione, che ha un’impostazione razionale e non confessionale e che investe varie discipline.
Vostro obiettivo – si legge nel comunicato – è fornire risposte e indicazioni ai cittadini. In che modo?
Abbiamo già un rapporto stretto con tante associazioni e movimenti impegnati su due temi: quello del rispetto della famiglia come definita dall’art. 29 della Costituzione e quello del supremo interesse del bambino, come recita la legge 184 sull’adozione dei minori. Lavoreremo fianco a fianco con queste realtà attraverso le quali faremo conoscere la nostra Commissione. Abbiamo inoltre intenzione di diffondere la nostra presenza sugli organi di stampa per rendere ampiamente pubblici tutti i lavori scientifici – e di revisione bibliografica – sui temi del “gender” e dell’omogenitorialità, che andremo a produrre.
Lavorerete anche a stretto contatto con le istituzioni politiche?
Assolutamente sì. Credo che le istituzioni politiche debbano essere accompagnate in modo molto attento e le spiego il motivo. I politici, essendo i rappresentanti più visibili della società, rendono particolarmente manifesta la deriva culturale che stiamo vivendo. Essi discutono e persino arrivano a scrivere leggi sulla base di affermazioni non solo indimostrate, ma che talvolta sono false, e vengono vendute come verità scientifiche. Ci occuperemo anzitutto di dimostrare che queste “verità scientifiche” non esistono, e poi sarà nostro compito comunicare una sana informazione scientifica quale base per formulare leggi che siano davvero rispettose della scienza e non fondate su menzogne.
Può fare un esempio di legge scritta sulla base di slogan che affermano il falso?
Anche se in maniera indiretta, il ddl Cirinnà bis è un esempio di come non si tenga conto della scienza. Nella fattispecie, mi riferisco alla cosiddetta stepchild adoption, che consente al componente di una coppia omosessuale di adottare il figlio biologico del proprio partner. Ritenere ininfluente nella costruzione della personalità di un bambino il fatto di crescere con due persone dello stesso sesso è appunto anti-scientifico. Tuttavia, per avvalorare questa tesi a favore dell’omogenitorialità vengono proposti all’opinione pubblica dei dati che sono il frutto di questionari autoprodotti da persone che vivono queste realtà. Tecnicamente si tratta di self-report, cioè di libere dichiarazioni, non controllate, prodotte dalla coppia omogenitoriale in causa. Sono lavori, quindi, originati ed inquinati da un palese conflitto d’interesse, tutt’altro che scientifici. Sarebbe come chiedere ad un fornaio se il pane da lui stesso prodotto è buono o no: quale pensate possa essere la sua risposta?
Ma in che modo la diffusione dell’omogenitorialità nuoce all’istituzione familiare?
Se parliamo di minori, dobbiamo riconoscere che il supremo interesse del bambino è crescere in una famiglia composta da un padre e una madre. Dunque l’omogenitorialità non costituisce l’ambiente esistenziale più vantaggioso per la crescita del bambino, come dimostrato da rilevazioni statistiche che evidenziano condizioni di disagio in ragazzi cresciuti da coppie omosessuali. In questo senso, sono particolarmente significative le testimonianze sempre più numerose di ragazzi che, divenuti maggiorenni, raccontano i loro problemi di vita quotidiana durante gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, vissuti dentro la coppia omogenitoriale. Come non tenere conto di questi dati oggettivi, nel momento in cui si vorrebbero aprire le porte all’omogenitorialità? Certamente – come spesso si sente affermare – il bimbo ha bisogno soprattutto di amore, ma questo amore richiede di essere vissuto entro una relazione materna e paterna, veicolata da una corporeità chiara e definita: una donna ed un uomo. Ogni tipo di confusione non è certamente vantaggioso per il bimbo, che esige chiarezza e sicurezza. La storia della psicologia dell’età evolutiva ci dice che se queste mancano o vengono negate, si apre la porta della “disperazione”.
Crede che il ddl Cirinnà verrà approvato nei prossimi mesi?
È molto difficile pronunciarsi perché le variabili sono tante e perché le forze politiche sono percorse al loro interno da un dibattito, con toni anche accesi, trattandosi di un tema che investe la coscienza dei singoli. Il mio retro-pensiero è che verrà discusso non prima dell’inizio del 2016, ma – se devo essere sincero – può darsi che si tratti solo di una personale speranza. Temi tanto delicati, che riguardano l’intera storia culturale del nostro Paese, richiedono grande pacatezza e grande dialogo, con il massimo rispetto per la sensibilità popolare. Non si può prescindere dalla vox populi che si è levata da piazza S.Giovanni il 20 giugno scorso. Inoltre la fretta è la nemica più pericolosa della “sapienza”. Al di là dei tempi, voglio comunque sperare che nel dibattito parlamentare tutti gli aspetti critici che, di fatto, omologano le unioni civili alla famiglia quale società naturale fondata sul matrimonio, primo tra tutti la stepchild adoption, possano essere cancellati.
Tornando alla Commissione, a cosa si deve la scelta di affiancare ai tecnici anche una squadra di avvocati?
Il risvolto giuridico è di grandissima importanza. La legge ha non solo un valore normativo ma anche pedagogico. Laddove venisse formulata una norma che dovesse omologare la famiglia a qualsiasi tipo di unione civile, questa avrebbe anche l’effetto di creare una nuova cultura ed una nuova antropologia. Una posta in gioco così alta non può prescindere dall’apporto e dalla consulenza tecnica del mondo del diritto.