Paolo Sorrentino

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Paolo Sorrentino incontra il pubblico di Roma

In occasione della Festa del Cinema, il celebre regista si è raccontato, alternando momenti di profonda cultura ad altri di grande ilarità

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Un’interminabile fila di persone ha circondato la Sala Sinopoli dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, quasi bloccando la viabilità interna al teatro. Il  motivo è semplice: Paolo Sorrentino incontra il pubblico della Festa del Cinema di Roma.

Al celebre regista italiano è stato chiesto, da parte del direttore artistico Antonio Monda, di scegliere cinque sequenze da cinque film che rappresentassero la sua visione di cinema.

Il risultato è stato un incontro intenso in cui la cultura cinematografica si è fusa con la divulgazione: mai retorico e mai fine a se stesso, il regista napoletano vincitore dell’Oscar per La Grande Bellezza, ha saputo condividere la propria filosofia del cinema dando la possibilità a chiunque di imparare ed attingere da lui.

Ed è così che è emersa la passione di Sorrentino per la tematica della famiglia, tematica che l’ha spinto a scegliere il film The Ice Storm di Ang Lee (1997): “Un film che mi ha insegnato molto sulla sceneggiatura – ha spiegato il regista – un film capolavoro sulle bellezze e sui pericoli della famiglia e io da spettatore sono molto colpito dai film che trattano il tema della famiglia. L’ho scelto anche perché riesce a coniugare il bello col vero, cosa che negli ultimi anni sembra un sacrilegio. Pur mantenendo una stretta aderenza al vero non rinuncia all’estetica”.

Lo stesso tema tornerà poi nella scelta del quarto film, The Straight Story di David Lynch (1999), definito dallo stesso Monda come il film più spirituale degli ultimi 15 anni e riassunto da Sorrentino con un’unica, straordinaria frase: “È un film sulla forza sottovalutata delle cose insensate”.

Spazio poi alla sua passione per tre registi italiani, considerati i più grandi mettitori in scena del cinema, ovvero Antonioni, Fellini e Bertolucci, in occasione della scelta di La Notte di Michelangelo Antonioni (1961) come seconda clip: “non a caso Scorsese, un regista che amo, guarda moltissimo a Fellini, Bertolucci e Antonioni. C’è una sapienza in loro che lascia stupefatti”.

La punta massima di teoria cinematografica si tocca con Road to Perdition di Sam Mendes (2002). Sorrentino, analizzando una sequenza del film, affronta tutti i campi cinematografici, illustrando come una sola scena, se realizzata magistralmente, possa essere esplicativa di tutta la settima arte: “questa scena, se la vedessero dei ragazzi che vogliono entrare in una scuola di cinema, potrebbero fare a meno di fare due o tre anni. È una scena che spiega esattamente cosa è o cosa dovrebbe essere il cinema. C’è come si recita, come si costruisce un’epica, cosa si deve dire, come si usa la musica, il suono, come si illumina. È poco importante che sia vera, è sufficiente che sia verosimile. Il vero è abbastanza noioso, mentre il verosimile è il regno di chi inventa”.

Ma l’incontro non è solo teatro di analisi cinematografiche o noiose retrospettive… Sorrentino dà prova di saper intrattenere il pubblico, in prevalenza giovanile, alternando le lezioni a momenti di comicità e aneddoti curiosi. Come nel caso della spiegazione della scelta del film di Antonioni, quando alla domanda sul perché avesse scelto proprio quello e non altri film dello stesso regista, Sorrentino risponde: “e tu perché dai per scontato che io li abbia visti tutti i film di Antonioni?”.

L’incontro, alimentato da applausi e forti gesti d’approvazione da parte del pubblico, si conclude con la proiezione del cortometraggio inedito Lucky, episodio realizzato dal regista italiano per un film collettivo dal titolo Rio, eu te amo, realizzato nel 2014 da dieci cineasti. Ancora una volta, Sorrentino dà prova non solo della sua tecnica registica, ma anche, e soprattutto, della sua inaspettata dote di comico: “La storia rappresenta un classico cliché: l’uomo anziano e ricco sposa la donna giovane e bella. Ma stavolta ho voluto ribaltare lo stesso cliché, cambiando il finale: sarà l’uomo a desiderare la morte dell’amante. In fondo, dev’essere faticosissimo a ottant’anni tenere il ritmo di una ragazza di trenta”.

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Gianluca Badii

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