Questa mattina, nell’Aula Paolo VI, in occasione della Commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi presieduta da Papa Francesco, dopo l’introduzione del Segretario generale del Sinodo dei Vescovi, card. Lorenzo Baldisseri, e in seguito alla Relazione commemorativa esposta dal card. Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, sono intervenuti i cinque presidenti delle Conferenze Episcopali con una propria relazione.
I temi affrontati hanno riguardato innanzitutto l’importanza e la valenza che l’istituzione del Sinodo dei vescovi ha ricoperto in questi 50 anni in Europa, Asia, Africa, America e Oceania e di come esso deve essere sempre più ravvivato nel segno della comunione e della evangelizzazione dei popoli. Ogni intervento è stato principalmente incentrato sulla storia di ciascun continente, allargandosi prospetticamente alle sfide moderne che le Chiese locali, coadiuvate dalla Chiesa universale, debbono affrontare e discutere nei termini di una nuova pastorale.
Il primo a intervenire è stato il cardinal Vincent Gerard Nichols, arcivescovo di Westminster, Presidente della Conferenza Episcopale di Inghilterra e Galles, che esordendo in una maniera del tutto personale (alla maniera consigliata nel precedente intervento proprio dal card. Schönborn, il quale ha esortato i padri sinodali a parlare in prima persona senza concedersi ad astrattismi dialettici) raccontando la volta in cui arrivò a Roma e vide da vicino i lavori della seconda sessione del Concilio Vaticano II. Quella volta – ha confessato il cardinale – “ho compreso cosa fosse la collegialità episcopale, collegialità affectiva. Quei vescovi erano fratelli nel Signore, legati insieme dallo Spirito Santo nella sfida di un compito comune”. In seguito, il cardinale, ha rapportato il Sinodo all’Europa affermando che “le Assemblee e il lavoro del Sinodo dei vescovi hanno contribuito a superare la nostra visione eurocentrica nel mondo ed anche nella Chiesa” e che la creazione del Consiglio delle Conferenze episcopali europee non solo ha completato i lavori dell’assise sinodale ma ha anche servito la collegialità sull’intero continente europeo.
“L’Unione Europea – ha inoltre osservato mons. Nichols in relazione al gravoso fenomeno dei flussi migratori – sta affrontando questioni e tensioni critiche, soprattutto la tentazione di diventare una città fortificata, mirata a proteggere se stessa ed i propri beni e confort materiali, ottenuti, naturalmente, da ogni parte del mondo». Inoltre, l’arcivescovo di Westminster ha dedicato spazio anche allo “tsunami delle teorie del gender” e alla famiglia, che ha definito “il primo testimone di fede all’interno della nostra società e la spina dorsale di ogni parrocchia”. «L’Europa conosce chiaramente questa sfida – ha concluso – Noi vescovi d’Europa, ora insieme, siamo pronti a fare la nostra parte in questo Sinodo. Ringraziamo Dio con il cuore pieno di tutto quello che abbiamo ricevuto in questa Aula dal momento che il Sinodo dei Vescovi fu istituito cinquant’anni fa”.
In rappresentanza del continente africano invece è intervenuto mons. Mathieu Madega Lebouakehan, vescovo di Mouila, presidente della Conferenza Episcopale del Gabon ha offerto un ampio prospetto della “esperienza della cattolicità” inserita nel contesto sinodale: «Il punto culmine dei Sinodi è sempre la manifestazione reale della collegialità tra i membri del collegio episcopale col Sommo Pontefice e tra di loro, dopo uno scambio fraterno e fruttuoso di notizie ed esperienza, nell’ascolto reciproco».
L’esposizione della terza relazione continentale ha riguardato invece il continente americano presentato e raccontato storicamente dal cardinale Ricardo Ezzati Andrello, Arcivescovo di Santiago del Cile, il quale in lingua spagnola ha spiegato l’importanza del Sinodo per la Chiesa e per i vescovi dell’America Latina e dei Caraibi: il Sinodo – ha detto mons. Ezzati Andrello –, come è anche ricordato nell’Evangelii Gaudium, si basa sulla comunione e sulla uguaglianza fondamentale di tutti i fedeli che partecipano alla missione della Chiesa.
“Frutto di questa comunione sono la collegialità episcopale e i sinodi universali e locali”, a cui molto deve la storia dell’America Latina, si pensi ad esempio al Concilio Plenario Latinoamericano, tenutosi a Roma nel 1899, e alla nascita delle Conferenze Episcopali latinoamericana e dei Caraibi, ha ricordato il cardinale facendo notare che la sinodalità è stato un contributo fruttuoso evangelizzatore per l’America e che l’istituzione del CELAM nel 1955 è una “realizzazione felice del Sinodo dei vescovi”.
Il continente asiatico d’altra parte è stato rappresentato da Louis Raphaël I Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei (Iraq), Capo del Sinodo della Chiesa Caldea, che ha definito il Sinodo, quale intuizione di Paolo VI, una “iniziativa profetica”. «Adottare un metodo collettivo che unisce la chiesa di tutti i Paesi per studiare un tema, era una cosa nuova – ha esordito Sako -. Ci ha donato una ricchezza straordinaria, soprattutto nel sentirci una sola famiglia e più forti nel nostro cuore e nella nostra missione di pastori. Dialogare insieme (collegialità) è stato per noi un balsamo spirituale di bellezza profetica. Il nostro grazie va senz’altro ai suoi successori che hanno continuato la sua idea e non solo ma indire dei sinodi straordinari. Lavorare insieme per contribuire alla realizzazione di un progetto con tutti gli elementi spirituali ed ecclesiali non è facile, ma con la guida sicura dello Spirito Santo ha portato sempre dei frutti».
Inoltre il Patriarca ha pregato che i Sinodi diano ancora e di più un senso alla vita dei fedeli bisognosi di speranza, soprattutto nel contesto asiatico, dove la società musulmana non facilita il cambiamento. Di qui, l’appello di queste “piccole Chiese” ad essere “aiutate e non isolate o emarginate” e la sottolineatura a lavorare sulla formazione dei sacerdoti, religiosi e fedeli per realizzare “una casa comune” in cui tutti possano integrarsi ed amarsi da veri cristiani.
Infine, è intervenuto in inglese il cardinal Soane Patita Paini Mafi, Vescovo di Tonga, Presidente della Conferenza Episcopale del Pacifico (CEPAC), che dopo aver porto i saluti del suo continente a Papa Francesco ha anche rivolto un invito affinché il Santo Padre visiti l’Oceania al più presto.
Il “Baby cardinale”, così definito dal Papa, ha concentrato l’intero intervento sulla necessaria unione che deve esserci tra la Chiesa dell’Oceania e la Chiesa universale e sull’impatto che il Sinodo, negli ultimi cinquant’anni, ha avuto su di essa, incoraggiandola ed arricchendola. Il card. Mafi si è inoltre soffermato su alcune sfide particolari dall’esito positivo, come la stesura di linee-guida per i casi di abusi su minori, perpetrati da alcuni membri della Chiesa, o la questione dei richiedenti asilo.
«In conclusione – ha aggiunto il card. Mafi è una grande gioia notare che i vari sinodi della Chiesa dal 1965 ad oggi hanno ispirato le Chiese in Oceania. E ‘chiaro dalle varie esperienze illustrate dalle altre Conferenze Episcopali che diversi Sinodi dei Vescovi hanno avuto impatti positivi sulle Conferenze episcopali e sulle Chiese in Oceania. I sinodi nel corso degli ultimi 50 anni sono stati molto positivi, incoraggianti, arricchenti ed edificanti. Essi offrono l’opportunità di imparare da diverse Conferenze, e inducono a disegnare nuovi approfondimenti in merito alla cura pastorale del popolo di Dio».