Al Sinodo sulla famiglia è il momento dell’ecumenismo. Una delegazione di dodici delegati fraterni è intervenuta oggi nell’Aula del Sinodo, affrontando, tra le varie tematiche, quella di interesse più immediato, ovvero i “matrimoni misti”.
Nella discussione spicca l’intervento del metropolita dell’Europa Occidentale, Jozif, rappresentante della chiesa ortodossa romena, che, in merito alle unioni “catto-ortodosse” ha sottolineato la necessità di “serietà e discernimento”, specie quando sono segnate da “rotture” o “divorzi”.
La crisi della famiglia, ha aggiunto il metropolita, è legata alla “crisi di ogni essere umano” ed entrambe sono state “assunte da Dio in Cristo stesso che ci concede la grazia del perdono e del pentimento”.
La famiglia, oltre a essere uno “splendore sociale” ed uno “splendore ecologico” (in quanto richiama il “rispetto delle creature e della creazione”), è la “prima cellula della Chiesa” e tutte le sue caratteristiche derivano dalla sua “struttura eucaristica”, essenzialmente fondata sul “perdono alimentato dall’umiltà”.
Un riferimento alla problematica del divorzio è stato fatto dal metropolita di Damietta, Kafr Elssheikh e Elbarari, rappresentate della Chiesa Copta Ortodossa di Alessandria, che ha elencato i casi speciali in cui la sua chiesa lo permette.
Il divorzio è previsto, ad esempio, quando uno dei due coniugi è omosessuale e costringe l’altro a prendere parte rapporti contro natura, risultandone quest’ultimo “danneggiato fisicamente, psicologicamente e socialmente”. Parimenti è possibile quando il coniuge ‘innocente’ venga costretto a “relazioni proibite per guadagno materiale o scambio sessuale”.
In questi casi, il divorzio e l’eventuale secondo matrimonio sono consentiti soltanto al coniuge vittima dei soprusi dell’altro.
Da parte sua, l’arcivescovo Mar Youstinos Boulos, rappresentante libanese del Patriarcato Siro-Ortodosso di Antiochia e di tutto l’Oriente ha esposto le problematiche della sua comunità, dove il costo dell’istruzione cristiana è diventato eccessivo, specie per le famiglie numerose e questo incide negativamente sulla natalità.
Il dramma dei profughi cristiani iracheni e siriani in Libano, ha aggiunto l’arcivescovo, è aggravato in particolare dal fatto che “le Nazioni Unite hanno cancellato i cristiani dal loro programma di aiuti perché non vivono sotto le tende”.
Per le famiglie che fuggono in Europa, invece, c’è il rischio che perdano “la loro identità” e divengano “preda di nuove ideologie”: una sfida per la quale la Chiesa Cattolica e le ortodosse dovrebbero collaborare.
Il vescovo anglicano di Truro (Gran Bretagna) Timothy Thornton, ha riferito il pensiero del’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, che vede la famiglia come “fondamento della società” e “non ha cambiato la sua comprensione del matrimonio tradizionale”.
Thornton ha aggiunto che il più grande problema della sua chiesa di appartenenza è il suo senso di “irrilevanza” nella società. “Appariamo noiosi, tristi e privi di ogni senso di gioia e speranza”, ha detto.
Più ottimismo è emerso nella relazione del vescovo emerito della Chiesa Evangelica in Sud Africa, Ndanganeni Petrus Phashawana, che ha riferito di come “sia i cattolici che i luterani pregano che le famiglie possano vivere la loro fede in comunione gli uni gli altri e con i loro vicini”, alla luce del dialogo catto-luterano che è stato incoraggiato dalle parole di Giovanni Paolo II: “Le cose che ci uniscono sono più grandi di quelle che ci dividono”.
Sono seguite le testimonianze degli uditori laici dalle quali, in generale, è emersa l’esigenza di un’adeguata preparazione al sacramento matrimoniale, nonché la preoccupazione per le ferite lasciate dagli abusi del clero sui minori, per gli anziani vittime della “cultura dello scarto” e per le aberrazioni apportate dall’ideologia del gender e dalla cultura anti-vita (aborto, maternità surrogata, fecondazione artificiale).
Largo spazio è stato poi dedicato al ruolo della donna nella famiglia e nella Chiesa, con l’auspicio che la Chiesa ascolti più le donne e conferisca loro un ruolo più incisivo nella vita della comunità.
Assieme a rappresentanti di famiglie filippine, statunitensi, indiane, tedesche, romene, neozelandesi, arabe, camerunensi, argentine, francesi, ruandesi, libanesi e maltesi, sono intervenuti Marialucia Zecchini e Marco Matassoni, membri della Commissione per la pastorale familiare nell’arcidiocesi di Trento, la cui riflessione è partita dal battesimo, “sacramento radice, che merita un’adeguata valorizzazione all’interno di una pastorale che si prende cura della famiglia nei suoi passaggi cruciali”.
Il battesimo, hanno affermato i due delegati italiani, la cui richiesta non è sempre “espressa con piena consapevolezza, assume una duplice prospettiva”: da un lato, per i genitori, può diventare “una preziosa occasione di condivisione di vissuti con altre famiglie” e può “aiutare a prendere coscienza che c’è un’origine che ci precede e ci supera”.
Parimenti, per la “comunità cristiana”, è “motivo di accompagnamento dell’intera famiglia in un cammino di riscoperta della fede, magari donata ai genitori da bambini e poi trascurata”.