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"Potevano convertirsi all'Islam e aver salva la vita, ma hanno scelto Gesù…"

Il vescovo di Samalout, dove verrà costruita una chiesa in onore dei 21 cristiani egiziani uccisi in Libia dall’Isis, racconta la loro storia

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L’immagine dei 21 cristiani decapitati in Libia dai terroristi dell’Isis, nel febbraio scorso, è rimasta impressa nella memoria degli egiziani. Nessuno, in particolare i cristiani del Paese nord-africano, potrà mai dimenticare quegli uomini in fila, vestiti con tute arancioni, inginocchiati davanti ai loro boia bardati di nero su una riva del mar Mediterraneo.

Questi uomini, già riconosciuti martiri dalla Chiesa ortodossa copta, sono molto venerati. Dopo il blocco a causa di alcuni cavilli burocratici, nei giorni scorsi è finalmente iniziata la costruzione di una chiesa che sarà dedicata a loro, nel villaggio di Al-Awar, zona da cui proveniva la maggior parte di quei 21 martiri.

“Siamo molto fieri dei nostri martiri. Sono stati obbligati a genuflettersi davanti ai loro assassini, ma erano loro i più forti”, spiega a Aide à l’Église en détresse (sezione francese di Aiuto alla Chiesa che Soffre) il vescovo di Samalout, mons. Bafnotios. Il quale spiega che “i più deboli erano gli assassini, nonostante le loro armi. Altrimenti, perché si sarebbero coperti il volto? Semplice, perché avevano paura. I nostri figli, invece, sono stati forti e hanno proclamato il nome del Signore fino all’ultimo respiro”.

Mons. Bafnotios ribadisce poi che da sempre la Chiesa sa che “il sangue dei martiri è il seme dei cristiani”. Infatti – aggiunge – “da Alessandria ad Assuan, in tutto l’Egitto, la fede dei cristiani si è rafforzata”. Il gesto di coraggio di quei 21 uomini non è passato inosservato nemmeno presso i fedeli all’Islam. “Tanti musulmani ci hanno detto di essersi sentiti fieri di loro. I nostri martiri hanno mostrato che noi egiziani siamo un popolo forte”.

Il Vescovo ricorda poi i giorni di attesa, tra il rapimento dei 21 cristiani e la loro esecuzione. “Abbiamo  pregato per 40 o 50 giorni – racconta -. Essi si sarebbero potuti convertire all’Islam, salvando così le proprie vite. Tuttavia hanno scelto Gesù Cristo e accettato la morte”.

Uno dei 21 martiri si chiamava Tawadros Youssef Tawadros. Aide à l’Église en détresse ha incontrato due sue figlie, le quali raccontano che l’uomo ha avuto “un sacco di problemi” in Libia “a causa del suo nome cristiano facilmente riconoscibile”. Gli è stato consigliato di cambiare nome, ma Tawadros ha resistito alle pressioni rendendo fiera la sua famiglia e la sua Chiesa. “Noi siamo fiere di nostro padre, non solo per noi, ma anche perché ha fatto onore a tutta la chiesa”, hanno detto le giovani. Resta però il dolore degli orfani, come spiega tra le lacrime un’altra bambina che ha perso il padre in Libia: “Mio papà è in Cielo, ma io sono triste. Perché il Cielo è così lontano”.

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ZENIT Staff

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