Uno dei messaggi più forti e discussi del Vangelo è quello che riguarda il rapporto tra possesso di ricchezze e libertà nel servizio e nel dono. È quello che ha spiegato domenica Papa Francesco, prima della preghiera mariana dell’Angelus. Prendendo spunto dal capitolo 10 del Vangelo di Marco, in cui si racconta del giovane che chiede a Gesù: “Che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”, il Pontefice ha spiegato che quel giovane era un bravo ragazzo, non aveva nulla da rimproverarsi, ma è evidente che l’osservanza dei precetti non gli bastava, non soddisfaceva il suo desiderio di pienezza.
Secondo il Papa, Gesù guardò con tenerezza e affetto il ragazzo, dandogli una risposta radicale: “dai tutti i tuoi beni ai poveri e seguimi”. Quel giovane il cui cuore era diviso tra due padroni – Dio e il denaro – se ne andò via triste. “Questo dimostra – ha sottolineato Francesco – che non possono convivere la fede e l’attaccamento alle ricchezze. Così, alla fine, lo slancio iniziale del giovane si smorza nell’infelicità di una sequela naufragata”.
Per il Santo Padre, alla domanda che non è riferita solo alla vita dell’aldilà, ma è vita piena, compiuta, senza limiti: Gesù dà una risposta che riassume i comandamenti che si riferiscono all’amore verso il prossimo.
Ma come si fa a liberarsi dalla dipendenza dal possesso del denaro? Per approfondire un tema che ha interrogato tanti fedeli e che ha convertito tante persone che sono poi diventate sante – come Sant’Antonio Abate, San Francesco d’Assisi o la beata Madre Teresa di Calcutta – ZENIT ha intervistato padre Pietro Messa, preside della Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani presso la Pontificia Università Antonianum di Roma.
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Domenica, Papa Francesco ha riflettuto sulla risposta che Gesù diede al giovane di donare tutti gli averi e di seguirlo. Una prova di radicalità evangelica in cui ci si libera dalle tentazioni del denaro e si vive nella fede in Dio. Qual è la sua opinione in proposito?
Il brano evangelico che inizia con Mc 10,17 è stato oggetto di spiegazione e riflessione da parte di Giovanni Paolo II nella lettera Dilecti amici che nel marzo 1985 scrisse ai giovani e alle giovani del mondo in occasione dell’Anno internazionale della gioventù. In quello scritto affermò che “la giovinezza è una ricchezza singolare”; considerando tale accezione di ricchezza, donare i propri beni ai poveri e seguire Gesù sono atteggiamenti della medesima scelta ossia vivere nella gratitudine al Padre per tutti i doni ricevuti e restituirli ai fratelli e sorelle bisognosi nella gratuità.
La proposta di Gesù è stata molte volte fraintesa, tanto è che alcuni hanno pensato che essere ricchi è di per sé un peccato. Altri pensano che basta essere poveri per essere salvati. Come spiegare questo passo del Vangelo?
Anche il diavolo cita la scrittura per tentare Gesù quando è nel deserto; per questo essa va sempre letta assieme a tutta la tradizione vivente della Chiesa, ossia dei santi che l’hanno vissuta lungo i secoli. E questi hanno indicato chiaramente che il dunque è la carità. Lo stesso san Paolo afferma che se uno distribuisse tutti i suoi beni e desse il suo corpo per essere bruciato ma non avesse la carità non sarebbe nulla.
C’è differenza tra poveri e ricchi per raggiungere la salvezza dell’anima? E che cosa si deve fare per poter vivere in grazia di Dio?
Una volta si diceva che la cosa più importante della vita è stare in grazia di Dio. Se uno vuole fare una prova empirica constata che è proprio così: vi sono persone malate o tribolate che vivono il tutto nella grazia del Signore e trasmettono speranza a chi li incontra. D’altra parte alcuni, pieni di salute e possibilità sono in preda ad una tristezza cronica. Se uno osserva con attenzione e coglie ciò non può fare a meno di dire che veramente la cosa più importante è stare in grazia di Dio. Ciò naturalmente non significa che si è sempre nella gioia – Gesù stesso visse tutta la gamma dei sentimenti umani, compresa la tristezza, la paura e l’angoscia – ma che la parola ultima è la Sua presenza. Una volta una madre al termine del funerale della figlia ebbe a dire: sono una donna addolorata – come si fa a non esserlo in quel momento? Lo fu anche Maria sotto la croce – ma non disperata. Infatti si ringrazia il Signore non perché tutto va bene ma perché non ci abbandona mai.
San Francesco D’Assisi è l’esempio perfetto di una persona che ha donato tutti gli averi e ha seguito Cristo. Può raccontarci come arrivò a quella decisione e in che modo praticò la povertà?
Francesco d’Assisi si spogliò di tutti i suoi beni perché costretto dal padre che lo citò in giudizio in pubblica piazza davanti al vescovo. Infatti, quando vollero unirsi a lui alcuni che non vissero la medesima costrizione – come nel caso di Bernardo di Quintavalle – sorse il problema di cosa fare dei beni e così andarono in una chiesa di Assisi per consultare il Vangelo; inteso che si deve distribuire tutto ai poveri, eseguirono quanto udito. Al termine della vita Francesco nel testamento indicò quale momento del cambiamento non la povertà ma il fare misericordia con i lebbrosi. A questo proposito segnalo con piacere un piccolo libretto Francesco d’Assisi e la misericordia, edito dalle Dehoniane, che sta per giungere nelle librerie. La carità rende poveri nel donarsi ma non è detto che l’essere poveri renda caritatevoli.
Più volte Papa Francesco ha sostenuto il valore salvifico della povertà. Ci aiuta a capire che cosa intende dire?
Gesù stesso dice che è difficile che un ricco entri nel regno dei cieli. Francesco d’Assisi scrive che il peccato è appropriarsi dei doni del Signore; la povertà facilita ad accogliere ogni cosa come un dono e vivere in tale prospettiva. Proprio come il popolo d’Israele mentre camminava nel deserto verso la terra promessa.