Pope Francis at the tomb of Saint Don Bosco

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Don Bosco e il suo difficile rapporto con mons. Gastaldi

Il carisma del grande apostolo dei giovani ebbe difficoltà di interazione con l’autorità esercitata dall’Arcivescovo di Torino

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La vita di san Giovanni Bosco (1815-1888) è certamente ricca di molti aspetti luminosi che continuano a tutt’oggi a trasmettere insegnamenti, indicazione di metodi pedagogici, percorsi. Unitamente a ciò, è meno noto il fatto che anche l’apostolo dei giovani dovette, negli anni della sua vita terrena, affrontare diverse salite. Talora aspre e dolorose. Uno di questi momenti difficili lo si trova nell’interazione con due arcivescovi di Torino: mons. Alessandro Ottaviano Riccardi (1808-1870), e con mons. Lorenzo Gastaldi (1815-1883). A distanza di tempo, molti fatti perdono di vivacità e d’importanza. E restano cronache che possono interessare solo allo storico. Pur tuttavia, il ricordare delle prove che procurarono sofferenza a don Bosco, può essere utile per non perdere di vista un dato: nel cammino di ogni figlio di Dio esistono sempre dei momenti nei quali occorre confermare un fiat. Restando inginocchiati sulla nuda terra. In tale contesto, abbiamo posto alcune domande allo storico della Chiesa prof. Pier Luigi Guiducci.

***

Prof. Guiducci, don Bosco ha affrontato molte salite?
Sì. Certamente. Ebbe sostenitori ma anche detrattori. In ambito civile e nell’area ecclesiale.

Fermiamoci all’area ecclesiale. Perché ci furono non sintonìe con due arcivescovi di Torino, mons. Riccardi e mons. Gastaldi?
Perché ogni fondatore è una fucina di idee, di tentativi, di iniziative, di passi in avanti, di contatti che vanno oltre la stessa diocesi in cui opera…

E questo non andava bene alle autorità ecclesiastiche locali…
No. Finché don Bosco rimaneva all’interno di una realtà locale di beneficenza, non esistevano problemi. Se, al contrario, il progetto che seguiva oltrepassava i confini dell’arcidiocesi allora l’Ordinario del luogo si sentiva scavalcato, non considerato. Si offendeva. E soprattutto riteneva che tutte le risorse individuate da don Bosco dovevano essere investite solo ed esclusivamente nel territorio locale. La conseguenza è che al prete piemontese venivano messi i classici bastoni tra le ruote.

Incominciamo da mons. Riccardi, nato a Biella. Di famiglia nobiliare. Arriva a Torino nel 1867…
Vede, quello che colpisce è il fatto che, in precedenza, questo presule, quando era vescovo di Savona (1842-1867), aveva rivolto delle premure verso l’oratorio di don Bosco. Esistevano quindi buoni rapporti. Lo dimostra anche il fatto che, nel periodo in cui si stavano preparando le Costituzioni dei Salesiani, si volle attendere l’arrivo del nuovo arcivescovo di Torino – mons. Riccardi – per poter ricevere il suo autorevole avallo.

Che cosa causò una non sintonìa?
Ciò che riguardava la formazione dei chierici che cooperavano con don Bosco.

Era un punto-chiave per il fondatore?
Sì. Don Bosco sapeva che la pianticella appena inserita nel terreno (1854) era fragilissima. Occorreva seguirla con la massima cura. E sapeva anche un’altra cosa…

Quale?
Che quei primi salesiani sarebbero poi divenuti degli elementi trainanti nell’opera salesiana. Per questo motivo cercò di seguirli di persona. Di farli crescere nello spirito salesiano.

Che avvenne poi?
Mons. Riccardi non guardò allo sviluppo della nuova Famiglia religiosa. Si concentrò sulla propria arcidiocesi. E per tale motivo tirò le somme: i chierici dovevano essere completamente seguiti da lui attraverso i formatori del seminario locale. A chi rifiutava veniva negato l’Ordine Sacro. Evidentemente, dopo l’ordinazione, era il vescovo a decidere le assegnazioni di sede.

Don Bosco reagì?
Cercò di far comprendere che la sua opera era a sostegno della Chiesa di Torino e di altre Comunità. Non esistevano divisioni. Cercò pure di invitare più volte l’arcivescovo presso l’Oratorio di Valdocco.

E mons. Riccardi?
Non ruppe il collegamento ma mise dei paletti. A suo avviso, don Bosco assegnava incarichi di insegnamento e di assistenza a chierici ancora non preparati, e affidava le prime cariche nei collegi a chi era stato ordinato sacerdote da poco tempo. Riteneva che la disciplina e lo spirito dell’Oratorio esprimevano un qualcosa di poco ecclesiastico. In ultimo, non vedeva di buon occhio gli studi che si facevano all’Oratorio. Per lui, preti e chierici erano poco istruiti.

Come si sviluppò in seguito l’interazione?
In senso non favorevole a don Bosco. Mons. Riccardi si mostrò fortemente contrario all’approvazione definitiva – da parte della Santa Sede – della Pia Società Salesiana. Ne prese le distanze…

A questo punto?
Da Roma si cercò di capire quello che stava succedendo a Torino. E vennero chieste informazioni a più persone.

Si arrivò a chiudere la criticità?
Sì. La Santa Sede approvò le costituzioni della Società di San Francesco di Sales (1874). In tal modo, fu possibile garantire all’interno della Congregazione gli itinerari anche formativi voluti da don Bosco.

Il successore di mons. Riccardi fu il torinese mons. Gastaldi. È arcivescovo di Torino nel 1871…
Sì. Anche in questo caso esistono due fasi distinte nell’interazione con don Bosco. Divenuto sacerdote (1837), Gastaldi insegna, dirige il periodico “Il Conciliatore” (1848-1849). Nel 1851 entra nell’Istituto della Carità (poi ne uscì), fondato dal beato Antonio Rosmini (1797-1855). Dal 1853 al 1863 svolge una significativa attività missionaria in Inghilterra. Ed è proprio con riferimento a quest’ultimo periodo di tempo che si trova un dato interessante…

Quale?
Gastaldi volle restare in costante contatto con diversi cattolici di Torino (anche non ecclesiastici) che erano impegnati in attività caritative. Tra questi figurano don Bosco, il sacerdote Leonardo Murialdo (santo; 1828-1900), e quanti avevano proseguito l’opera di un altro prete: Giuseppe Cottolengo (santo; 1786-1842).

È una sottolineatura interessante…
C’è di più. Egli dimostra in questa fase storica una particolare vicinanza a don Bosco. Addirittura, nel 1853, progetta di lasciare alla nascente opera salesiana, in caso di morte, 70.000 lire. Una cifra derivante dal proprio patrimonio familiare.

Poi ritorna in patria?
Sì. Nel 1862. Cinque anni dopo è consacrato vescovo. È assegnato a Saluzzo (1867-1871). Poi, è nominato arcivescovo di Torino (1871-1883).

Che avviene a Torino?
Gastaldi ha delle qualità oggettive. Ma ha anche dei limiti. Si rivela di una rigidezza ferrea. Così, fin dall’inizio, sorgono attriti con il clero. Esisteva, poi, un altro aspetto non marginale…

Quale?
In lui era molto accentuato un principio: l’assoluta centralità del vescovo nel territorio di competenza. E anche per tale motivo non mancarono alcune resistenze alla sua azione pastorale, specie in occasione di una riforma del clero decisa proprio dal Gastaldi. Successe anche un fatto. Alcuni sacerdoti fecero appello alla Santa Sede, e – in parte – vennero ascoltati. Cominciano poi i problemi per don Bosco…

Che successe?
Don Bosco aveva attivato dei positivi collegamenti con la Santa Sede. Nel 1858 si era incontrato per la prima volta con Pio IX. Aveva ricevuto consensi. Ciò lo aveva incoraggiato. Si sentiva spinto ad ampliare la propria opera. Nel 1859 mosse i primi passi la nuova Società di San Francesco di Sales. Nel 1864 era arrivato il pontificio decreto di lode. Inoltre, nell’interazione con gli organismi pontifici e con lo stesso Papa, era stato proprio il fondatore dei salesiani a indicare il Gastaldi come persona adatta ad esercitare le funzioni vescovili. E il Gastaldi era divenuto vescovo. Ma qualcosa s’incrinò…

Perché?
Per alcuni autori il motivo è da ritrovare nel fatto che il Gastaldi non voleva legare la sua nomina vescovile a “una spinta”, ma solo a meriti personali. Ma ci possono essere state, a mio avviso, anche altre motivazioni.

Quali?
Beh, l’attività in espansione di don Bosco e di quanti lo aiutavano non risultava gradita al Gastaldi. Egli viveva tale fatto come una continua “invasione di campo”. Come una poca considerazione delle sue prerogative vescovili. E poi, probabilmente, non sopportava i buoni rapporti che don Bosco aveva con diversi vescovi, e con lo stesso superiore del Gastaldi: il Papa.

A questo punto, Gastaldi che fa?
Comincia a rendere difficile l’apostolato di don Bosco. Nega l’Ordine Sacro a chi non studiava nel seminario diocesano. I neo-sacerdoti vengono assegnati a sedi non legate ai salesiani. Gastaldi, poi, interviene anche presso la Santa Sede perché l’opera di don Bosco doveva restare sotto la giurisdizione della curia torinese.

E don Bosco?
Prega, e cerca in ogni modo di “coinvolgere” il presule nelle iniziative salesiane. Il risultato è negativo. Mai un sostegno.

Prof. Guiducci, secondo Lei esisteva in Gastaldi un problema psicologico?
Uno forse sì. Egli aveva nel clero degli oppositori. Alcuni di loro non avevano accolto delle sue disposizioni. Si erano perfino rivolti alle congregazioni vaticane. Da qui, una situazione difficile. Per uscirne, il Gastaldi usò la disciplina. E con l’autorità che possedeva, non gli fu difficile condizionare molte iniziative salesiane. Doveva far vedere che la centralità del vescovo era al di sopra di tutto.

Non mancarono, quindi, episodi spiacevoli. Durarono poco?
Dieci anni.

Qualche esempio?
Gastaldi si oppone alla concessione di privilegi per la congregazione salesiana. Critica l’uso di strumenti musicali nella chiesa di Maria Ausiliatrice. Esprime rilievi sulle missioni salesiane. Considera una posizione ribelle quella di aver fatto celebrare più di una volta l’Eucaristia a un prelato non torinese presso “Maria Ausiliatrice” (doveva celebrare una sola volta). Scrive lettere a esponenti della Santa Sede nelle quali annota rilievi sui salesiani. Afferma che quest’ultimi non sono affezionati a lui, non si mostrano riverenti, non risultano subordinati. Per un lungo periodo non si reca nelle chiese ove sono presenti i salesiani e non consente ad altri di recarvisi. Per sei volte fa stampare scritti sfavorevoli alla nuova congregazione. Rallenta l’iter di approvazione di testi religiosi stampati dai salesiani…

Che fa don Bosco?
Prega. Cerca di mantenere aperto un canale comunicativo (nelle lettere tenta di spiegare, di superare malintesi, di manifestare obbedienza…). E – per non fermare la vita congregazionale – si sforza di individuare delle soluzioni capaci di risolvere i problemi contingenti. Insomma, usa la testa.

Ad esempio…
Si può ricordare un episodio. Pio IX, con un Breve del 9 maggio 1876, aveva concesso alla Pia Unione dei Cooperatori Salesiani vari favori spirituali. Tra questi, tutte le indulgenze concesse ai Terziari Francescani. Però, Gastaldi pone il veto alla pubblicazione. Chiede chiarimenti a don Bosco. Quest’ultimo li fornisce per iscritto. Ma l’arcivescovo non trova adeguata la risposta. Mancava un documento di erezione canonica della Pia Unione. Non disponendo di quest’atto, perché la Pia Unione era stata – per così dire – smembrata dalla Società Salesiana e perché la stessa Santa Sede lo riteneva implicito nel decreto di erezione della congregazione salesiana (fino al 1874 i Cooperatori facevano parte della congregazione), don Bosco si rivolge all’arcivescovo di Genova (mons. Salvatore Magnasco, 1806-1892).
Quest’ultimo concede la licenza a stampare il Breve Pontificio nella tipografia salesiana di Sampierdarena. È poi lo stesso Magnasco a sottoscrivere una regolare erezione canonica della Pia Unione (15 dicembre 1877).

Un episodio significativo…
Sì. Certamente. Superato l’ostacolo, a don Bosco viene in mente di fondare un organo di collegamento delle varie Unioni di Cooperatori che stavano sorgendo in più luoghi. Inizia così la storia del “Bollettino Salesiano”.

Gastaldi-don Bosco, un’interazione difficile…
Sì. Da una parte, l’autorità che centralizza tutto. Dall’altra, il respiro di un carisma.

Come si concluse la vicenda?
La situazione era divenuta pesante. Erano anche usciti delle piccole pubblicazioni a difesa di don Bosco. Contenevano critiche all’arcivescovo. Arrivarono tra le mani di quest’ultimo. E scoppia il temporale. Alla fine, don Bosco scrive una lettera ai cardinali della Sacra Congregazione del Concilio nel 1881.

Che cosa scrive?
Ecco l’inizio del testo:
“Sono ormai dieci anni, dacchè il sottoscritto e la nascente Congregazione Salesiana soffrono gravi vessazioni per parte dell’Arcivescovo di Torino, Mons. Lorenzo Gastaldi, le quali, oltre agli innumerevoli disturbi che ci hanno arrecato, c’impedirono eziandio di attendere alla salute delle anime. Imperocché questo Prelato ora ci vietò di servirci delle facoltà conceduteci dalla Santa Sede; ora contro le prescrizioni ecclesiastiche pretese d’ingerirsi nel regime interno e disciplinare della nostra Congregazione, come se fosse solamente un Istituto diocesano; sovente senza ragione rifiutò di ammettere i nostri Chierici alle Sacre Ordinazioni; talvolta per futili pretesti negò ai nostri Sacerdoti la facoltà di predicare e di confessare ed anche di celebrare la Messa nella sua Diocesi; talora li sospese senza colpa canonica e senza far precedere le formalità richieste dai Sacri Canoni; ci proibì di pubblicare nella sua Diocesi Brevi ottenuti dal Sommo Pontefice a favore delle nostre Opere; biasimò Instituzioni benefiche già commendate e benedette dal Santo Padre; scrisse lettere a grandi e a piccoli, e stampò e pubblicò persino libelli per infamare i Salesiani ed il loro Superiore. Tutti questi atti paiono essere stati promossi dal nemico di ogni bene, per soffocare e distruggere la nostra povera Congregazione, o metterle almeno intoppi sopra intoppi, perché non possa conseguire quel fine, per cui venne stabilita ed approvata dalla Santa Sede.
Tutte queste ed altre innumerevoli molestie noi abbiamo fin qui tollerate in silenzio. I tempi corrono diffìcili per la Santa Chiesa, e io non voleva recarle disturbi, provocando solennemente l’autorevole e supremo suo giudizio a nostro sostegno. Mi doleva eziandio reclamare contro un Personaggio, verso il quale nutrii sempre stima e venerazione. Noi avremmo continuato ancora a sopportare in silenzio simili molestie e difficoltà; ma ultimamente l’Arcivescovo deferì alla Sacra Congregazione del Concilio, e pubblicò cose infamanti pel sottoscritto e per tutta la Pia Società Salesiana, invocandone provvedimenti; e perciò io mi trovo dal dovere dell’ubbidienza costretto a fare alla Santa Sede la presente Esposizione.
Siccome io compio questo doloroso uffìzio con grande ripugnanza dell’animo mio, così passerò sotto silenzio molti fatti e detti, che riguardano solamente l’umile mia persona, esponendo invece quelli, che riflettono alla Congregazione o a me stesso, siccome Capo e Superiore della medesima.
Torino, 15 Dicembre, ottava della festa di’ Maria Immacolata, 1881.
Sac. Giovanni Bosco
(omissis)”.

Un documento grave…
Sì. Senza dubbio. Lo stesso don Michele Rua (beato; 1837-1910) scrive al Papa per chiedere un aiuto. Gastaldi aveva perfino proibito a don Bosco di confessare i suoi ragazzi. A questo punto, si accentuò l’iniziativa di più uomini di Chiesa che si rendevano conto dell’inutilità di posizioni vescovili rigoriste. E fu così possibile facilitare un nuovo clima. Don Bosco dovette scrivere una lettera al Ga
staldi ove riconosceva il sussistere di realtà spiacevoli, e dove dichiarava obbedienza e sottomissione. Lentamente la vicenda si chiuse. Il Gastaldi, comunque, non fu creato cardinale (il suo successore, sì). Muore nel 1883. Arriva il genovese mons. Gaetano Alimonda (1818-1891). Con quest’ultimo le cose cambiano.

Prof. Guiducci, questa vicenda che insegna?
In questi anni ho scritto, tra l’altro, su don Bosco, sul beato don Pietro Bonilli (1841-1935; arcidiocesi di Spoleto), su san Pio da Pietrelcina (1887-1968; San Giovanni Rotondo era allora nella diocesi di Manfredonia), su don Enrico Nardi (1916-2009; diocesi di Fiesole; fondatore dell’Opera Assistenza Malati Impediti), e su altre luminose figure ecclesiali. Tutte queste persone, per diversi motivi, soffrirono profondamente per il comportamento di alcuni vescovi. Malgrado le avversità, restarono inginocchiate ove il Signore aveva comandato loro di stare. E, in unione con il Crocifisso, offersero le proprie sofferenze per il bene della Chiesa. Unitamente a ciò, non venne meno la loro premura verso le anime, verso i più deboli, i fragili, i disabili, i malati, verso gli emarginati… Esiste poi un’altra considerazione…

Quale?
Prolungare nel tempo delle non sintonìe è sempre un errore perché, a lungo andare, ci possono essere delle iniziative di sostegno della persona in difficoltà con il proprio vescovo che possono provenire anche dalla base. Qui il discorso si complica. Perché talune espressioni verbali o scritte, impregnate di animosità, possono aggravare le situazioni invece di modificarle in meglio. Ciò è avvenuto anche con alcuni sostenitori di san Pio.

In definitiva…
È importante impostare ogni piano pastorale – a tutti i livelli – sempre con un respiro missionario. L’apostolato non ha confini.

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fonte: carlomafera.wordpress.com

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ZENIT Staff

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