La Giornata mondiale della bambina, che si celebra domenica 11 ottobre, ha già il suo simbolo. Si tratta della piccola ZhenZhen, cinese, che sarebbe stata abortita a gravidanza quasi ultimata, se non fosse intervenuta l’associazione Women’s Rights Without Frontiers.
Il successo è stato reso possibile grazie alla campagna Save a Girl che, come racconta la fondatrice dell’associazione Reggie Littlejohn, si impegna contro la politica del figlio unico e contro gli aborti forzati in Cina.
E proprio un aborto forzato stava per stroncare, prima che vedesse la luce, la vita della piccola ZhenZhen. Sua madre era incinta di sette mesi quando, su pressione del marito e dei suoceri, si è recata da un medico per sottoporsi a ultrasuoni che determinassero il sesso del feto. Avendo già una figlia di tre anni, la famiglia di lui voleva a tutti i costi un secondogenito maschio.
Appresa però la notizia che la donna era in attesa di un’altra femmina, la famiglia del marito ha iniziato una vera e propria operazione di insistenza nei confronti della mamma affinché interrompesse la gravidanza. I nonni della piccola, sostenuti anche dal papà, hanno cinto d’assedio la donna dicendole che ormai erano anziani e che avrebbero voluto vedere un nipote maschio prima di morire. L’eco della vicenda si è diffusa anche fuori dalle mura domestiche, tanto che gli abitanti del villaggio hanno iniziato a guardare con disprezzo la donna.
“La mamma di ZhenZhen non sapeva cosa fare – spiega la Littlejohn -. Da una parte, sentiva la sua bambina crescerle dentro, giorno dopo giorno. Dall’altra, aveva paura che nessuna l’avrebbe ben accolta, e che anzi sarebbe stata respinta dal suo papà e dai suoi nonni”. Ciò di cui è però sicura la Littlejohn è che la donna “non voleva abortire sua figlia: desiderava vederla crescere”.
Desiderio che ha iniziato ad assumere contorni concreti nel momento in cui è venuta a conoscenza della situazione un’attivista della campagna Save a Girl. Si è recata nel piccolo e umile villaggio della donna e le ha bussato alla porta. “Ha spiegato alla mamma di ZhenZhen che tutte le bambine sono preziose, tanto quanto i maschi – racconta la Littlejohn -. Ha offerto alla donna uno stipendio mensile per un anno, per metterla nelle condizioni di allevare sua figlia e rendersi indipendente”. La donna ha accettato l’offerta e ha così partorito la sua seconda figlia. Che ha lanciato un messaggio positivo alla vigilia della Giornata mondiale della bambina.
Questo lieto evento, che si unisce ai tanti elencati nel sito Women’s Rights Without Frontiers, rappresenta però soltanto una goccia in un oceano di interruzioni di gravidanze che in Cina cresce ogni giorno. Nell’aprile scorso l’associazione umanitaria definiva gli aborti selettivi nel grande Paese asiatico “il più grande crimine commesso oggi contro le donne”.
I dati di un censimento di alcuni mesi fa testimoniano che in Cina lo scarto tra maschi e femmine (la cosiddetta sex-ratio) è stata nel 2014 di 115,8 maschi nati ogni 100 femmine. La media mondiale è invece di 103-107 maschi ogni cento femmine. Si tratta tuttavia di un progresso, visto che nel 2004 la sex-ratio aveva toccato la cifra di 121,18 maschi ogni cento femmine, la più alta di tutti i tempi.
La Womens’ Rights Without Frontiers denuncia che questa piaga non avrà fine sin quando in Cina non sarà abolita la politica del figlio unico. E proprio nel 35esimo anniversario dall’inizio di questo stretto controllo delle nascite, una fonte governativa anonima ha rilevato al China Business News che, a causa dell’invecchiamento della popolazione cinese con conseguente drastico declino della forza lavoro, entro breve si procederà verso una graduale eliminazione del “figlio unico”. Gli occhi a mandorla di ZhenZhen puntano dritti verso questo scenario futuro.