Era il 18 ottobre 1990 quando Giovanni Paolo II promulgò il Codex Canonum Ecclesiarum Orientaliumun, un documento che ha cambiato il rapporto tra le 23 Chiese cattoliche di rito orientale e che è stato “un rilevante evento legislativo che ha consentito di approfondire i punti d’incontro culturali, ecclesiologici e istituzionali tra le tradizioni orientali e la tradizione latina”. Lo ha affermato il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, intervenendo alla giornata di studio promossa per i 25 anni del Codice.
L’incontro, teso a mettere in evidenza soprattutto “le problematiche attuali e gli sviluppi legislativi”, si è svolto sabato 3 ottobre nella sala San Pio X, a Roma. A promuoverlo – informa L’Osservatore Romano – il Pontificio Consiglio per i testi legislativi e la Congregazione per le Chiese orientali, in collaborazione con il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e il Pontificio Istituto orientale.
Ricordando “i tristi avvenimenti del Medio Oriente che hanno sradicato centinaia di migliaia di cristiani, obbligandoli ad allontanarsi dalle terre dei loro antenati”, il cardinale Sandri ha rilevato come “questa realtà comporta nuovi problemi di tipo pastorale e giuridico che riguardano l’educazione e la formazione cristiana, la vita religiosa della famiglia, i matrimoni misti tra cattolici di diverse Chiese sui iuris e tra cattolici e acattolici”. Così, ha proseguito, “s’impone l’urgenza di considerare le conseguenze della presenza sempre più consistente di fedeli cattolici orientali nelle diocesi latine, della conservazione dei loro riti intesi come patrimonio spirituale, teologico, liturgico e disciplinare”. È allora necessario, ha affermato il porporato, “che latini e orientali tengano presenti le delicate implicazioni di una situazione che costituisce una vera sfida sia per la sopravvivenza dell’Oriente cristiano, sia per il ripensamento generale dei propri programmi pastorali”.
La medesima chiave di lettura è stata rilanciata dal cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del Dicastero per i Testi legislativi, il quale ha evidenziato come la riflessione sul Codice sia oggi “tanto più cruciale” nella prospettiva del Sinodo sulla famiglia, appunto in considerazione degli “eventi che stanno sradicando migliaia di cristiani dalle loro terre d’origine”.
Da parte sua, il cardinale Kurt Koch, presidente del Pontificio Consiglio per la promozione dell’Unità dei cristiani, ha evidenziato che proprio “dal modo in cui le Chiese cattoliche orientali riescono a vivere il loro carisma specifico all’interno dell’unica Chiesa cattolica, gli ortodossi si fanno un’idea sulla possibilità e sull’auspicabilità di una futura unità tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse in comunione con il Vescovo di Roma”. Il Codice, inoltre, ha in sé anche “una particolare valenza ecumenica” che, secondo il porporato, “può contribuire a far sì che la Chiesa cattolica riesca, al suo interno, a respirare meglio con i suoi ‘due polmoni’, che stavano tanto a cuore a Giovanni Paolo II. E ciò sarà fondamentale per spianare il terreno alla ricomposizione della Chiesa una e indivisa in Oriente e Occidente”.
Durante le due sessioni della giornata di studio – informa ancora il quotidiano vaticano – sono state esaminate numerose questioni pratiche. Nella prima parte sono stati valutati gli sviluppi nel dialogo ecumenico, i segni della pluralità teologica del Codice, l’assistenza pastorale dei fedeli orientali cattolici in emigrazione e la salvaguardia dei riti liturgici di ciascuna Chiesa sui iuris. Nella seconda sono state approfondite le problematiche giuridiche attuali, l’organizzazione della cura pastorale dei fedeli orientali cattolici sprovvisti della propria gerarchia, la tutela giuridica della famiglia e la necessità di revisione della tutela dell’identità ecclesiale dei fedeli. Infine l’esarca della Chiesa cattolica greco-bizantina, Dimitrios Salachas, ha illustrato le nuove norme del processo matrimoniale recentemente introdotte con il motuproprio Mitis et misericors Iesus.